articoli, recensioni

Pensa il risveglio

di Paola
Guazzo

“It’s the end of the world as we know It”, come cantavano i Rem nell’87 e nel 91, ma il protagonista di Pensa il risveglio non può aggiungere la frase parentetica della canzone, ovvero ” And I feel fine”. Un mondo si svuota e deflagra in una “cattiva infinità” hegeliana di mondi biotec-nazi senza soluzione di continuità, nell’incipit del romanzo di Alessandro Cinquegrani (TerraRossa Edizioni, 2021). Un horror si addensa attorno al set di un film distopico sulla biopolitica nazista trasposta in chiave fantascientifica, a cui il protagonista sta lavorando come attore ed aiuto regista, e il “pensare il risveglio” sembra voler portare, nella trama, al suicidio sacrificale di una coppia di amanti non adatti al progetto eugenetico del potere. Lorenzo, il regista, amico fraterno e in un certo senso doppio del protagonista, tuttavia scompare. Inizia così una trama di indizi (anche falsi, come nel caso del lager di Sachsenhausen, non davvero descritto  in Austerlitz di Sebald, dove si parla invece di un forte belga e di Theresienstadt) e scene traumatiche ripetute in location europee come le Alpi svizzere, Rodi e Berlino. Una trama si snoda, oltre che tra set e realtà, anche tra mondo interno ed esterno. Al centro il male.

Mengele, il medico sadico SS scomparso in Sudamerica e mai rintracciato e Albert Speer, il tecnocrate, l’architetto hitleriano che riuscì a mentire a Norimberga, a fare anni di carcere a Spandau, essere conferenziere di successo in Germania Ovest e venne infine smascherato come persona al corrente di ogni aspetto della Shoah e partecipe della Soluzione Finale. Dei due il modello che spaventa di più è il secondo, perché il protagonista, che si rivelerà chiamarsi proprio Alberto, oscilla nella sua zona grigia, compresa la committenza per il restauro di Villa Mussolini a Rodi. Architettura di complicità? La ricerca di Alberto, attraverso sistemi di segni, indizi a volte labili o distorti, entropie amorose e legami di  entanglement  tra  luoghi e tempi, dal presente al Terzo Reich, dal sogno alla realtà, a volte rasentando il reale lacaniano, lo porterà a sciogliere il legame con Speer come demone inconscio. Nessuna casa fascista sarà restaurata. Resterà solitaria a corrodersi un’orribile villa del passato.

Il sadismo, una sorta di quotidiana tendenza al male, è la bussola a poli invertiti della cosiddetta normalità, sia essa sessuale o di potere. La complicità con il male è forte, a volte squassante.  Abissi si dischiudono tra film, sogni, gesti aggressivi e gesta solo apparentemente salvifiche.  Le macchine desideranti si inceppano e invertono la rotta verso il monstrum piccolo-borghese fascista del Salò pasoliniano, che, pur ora irrappresentabile nella sua dimensione coprofiliaca, aleggia tra le architetture classicistiche ed imperialistiche del romanzo. A questa descensio ad inferos risponde solo la costruzione di un nuovo io, un io di neo-padre che cerca di costruire un rapporto più accettabile con se stesso e con il mondo. Pensare il risveglio è salvare un’eredità d’affetti, costruire una genealogia non votata a distruggere e ad essere distrutta.

Una struttura “architettonica”, che tende alla fuga senza fine in iperspazi dove il neoclassicismo nazista di Speer si mescola alle visioni di Escher. La scrittura di Cinquegrani è consapevole, come poche in Italia, del rapporto linguaggio-mondo e ricerca una cura, sia in termini di linguaggio che di mondo.

Limite rappresentativo è quello dei personaggi femminili, che restano bloccati nella fissità simbolica di un femminile-materno, pur sensato, più razionale e meno fascista del maschio eroe, e/o nel ruolo della seduttrice. La psicologa esperta in traumi che aiuta il protagonista ad affrontare il mondo di sotto non costituisce lei stessa un’eccezione: il lavoro di cura è lavoro associato al suo genere. Il blocco, da questo punto di vista, non è affrontato, resta chiuso l’orizzonte di contaminazione  di un punto di vista femminista e queer. Eppure questo orizzonte, se non relegato alla sola voce dei soggetti che ne hanno esperienza individuale e sociale o agli stigmatizzatori della stessa, potrebbe avere risultati di maggior presa sulla dimensione profonda della lotta dell’eroe-protagonista.  Lo sanno persino Marvel e Disney+. Altre declinazioni, più musiliane,  saranno possibili? Il limite del romanzo italiano contemporaneo è nel suo sostanziale conservatorismo simbolico? Osare come fece Piovene ne Le Furie, romanzo sperimentale del 1963 che attraversa alcuni temi presenti in Cinquegrani, risolvendoli con una  prospettiva meno psicoanaliticamente edipica e a suo modo rassicurante, è ancora possibile solo in parte? Deleuze e Guattari sono definitivamente sepolti?  Lasciamo questi interrogativi aperti, con gratitudine e apprezzamento per un romanzo che ha il merito raro di scoprire molti nervi. Scrittura è interrogare continuamente, diceva Blanchot.

Paola Guazzo

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