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Peace, bread and roses

di Stefano
Galieni

Soprattutto in questi ultimi anni si è mostrata, in tutta la sua fragilità, la debolezza di un pensiero comune europeo. Le modalità con cui si è affrontato il conflitto in Ucraina, come le politiche contro migranti e richiedenti asilo, lo spostamento verso una destra nazionalista, di vari Paesi, sono fattori incontestabili di questo momento di crisi. Per dirla in maniera dura, il VII Congresso del Partito della Sinistra Europea ha fotografato gli stessi ed altri elementi di criticità che dovrebbero portare a dire, problematizzando il tema, che non esiste un vero pensiero comune forte continentale neanche a sinistra. Si parta dal tema che ormai da oltre 100 anni è divenuto di divisione nel nostro campo, quello della guerra. Il documento presentato al Congresso risentiva eccessivamente di una posizione presente soprattutto nei Paesi del Nord e Centro Europa. Ovvio che si parlava con forza della necessità di giungere ad una pace stabile in Ucraina, ma si chiedeva di giungere ad un “cessate il fuoco” e ad un contemporaneo ritiro delle truppe russe come condizione fondamentale per giungere a trattative diplomatiche. Il tutto garantendo il rispetto dell’integrità territoriale ucraina. Su pressione della delegazione di Rifondazione Comunista e di altri partiti, il testo è stato rivisto, facendo divenire l’apertura dei negoziati e il rispetto dell’autodeterminazione dei popoli come fattori prioritari per ottenere il ritiro delle truppe di Putin. Numerose però le timidezze e le ritrosie rispetto alla modifica del testo che alla fine è stato approvato soprattutto per evitare una rottura.

Nel suo intervento di apertura, Heinz Bierbaum, presidente uscente, non ha nascosto le divisioni presenti e ha detto apertamente che si era faticato per giungere ad un documento condiviso, evidenziando l’importanza del risultato ottenuto per mantenere unita la Sinistra Europea. Ma gli interventi che si sono susseguiti, anche sui temi più diversi, non hanno fatto altro che rimarcare uno stato di difficoltà profonda che va affrontata. Per l’osservatrice/tore esterno, possono trattarsi di sfumature o semplicemente di approcci parziali ma, analizzando testi presentati e interventi, le stesse reazioni dei delegati, era palpabile come pesino ben altre dinamiche non omogenee e legate alle esigenze nazionali. In troppi interventi sembra aver pesato di più la necessità di parlare a militanti, simpatizzanti ed elettori del proprio paese più che ad una platea continentale. Lo stesso documento conclusivo di cui si è già detto sembra scritto in maniera tale da poter essere presentato per poi tornare a casa, a Congresso concluso, ognuna/o con una propria interpretazione. Questo non ha impedito alla Left Alliance finlandese, o almeno ad una sua parte, di dichiararsi osservatore e non membro effettivo della Sinistra Europea e all’Alleanza Rosso-Verde danese di porsi in maniera estremamente critica. E se i temi dell’ambientalismo e del cambiamento climatico hanno trovato critiche anche da parte della delegazione della Sinistra Bulgara, più complesso è stato affrontare alcuni temi apparentemente di carattere soltanto internazionale. L’esempio più evidente è emerso quando si è parlato di diritti del popolo kurdo e del conflitto aperto tanto in Iraq che soprattutto in Siria e in territorio turco da parte della Turchia. Nessuno ha negato solidarietà al popolo kurdo e apprezzamento per la resistenza nei cantoni del Rojava. Ma quando si è trattato ad esempio di parlare del Partito dei Lavoratori Kurdi (PKK) e della richiesta di libertà per Abdullah Ocalan, sono emerse timidezze. Germania e Belgio hanno una forte comunità turca con diritto di voto e che considera il PKK come organizzazione che nei decenni passati si è macchiata di terrorismo. Da parte di Syriza, partito dato in forte crescita al punto da poter aspirare ad un ritorno al governo della Grecia, c’è la necessità di non acuire lo scontro con la confinante Turchia. Col risultato che mentre il segretario di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo, veniva sommerso da applausi, quando, alla fine del proprio intervento, ha aperto la bandiera del PKK e invitato la Sinistra Europea a far propria, senza indugi, tale battaglia, nella mozione approvata in materia si è fatto cenno al partito Hdp, presente ancora nel parlamento turco, nonostante l’arresto dei suoi principali dirigenti, ma non si è fatto alcun cenno né a chi come Ocalan è detenuto dal 1999 in un carcere nell’isola di Imrali, né tantomeno al PKK di cui non si è chiesta nemmeno la rimozione dalla black list  europea delle organizzazioni considerate terroristiche. La mozione riguardante la solidarietà col popolo palestinese non ha potuto contenere alcun riferimento al boicottaggio dei prodotti provenienti dagli insediamenti abusivi costruiti nei “territori occupati”, mentre reiterati sono stati i punti in cui si chiede di tener conto della sicurezza di Israele. Un tema che interessa tanto in Germania quanto in Grecia per differenti ragioni: legate al passato e alle colpe del nazismo la prima, legate al presente e alla necessità di stringere accordi in chiave anti turca, la seconda. Ma sono stati realmente numerosi gli elementi di divergenza, diversamente motivati, che hanno caratterizzato più i testi scritti che il dibattito in plenaria. Dal rifiuto da parte bulgara di inserire, nel contesto dell’educazione sessuale nelle scuole i temi Lgbtqi (considerati come veicolo per l’ideologia gender, come dalla nostra destra), alla scelta di non mettere neanche in votazione una mozione un testo che proponeva il Basic Income (il reddito universale di base). Un no convinto imposto dai partiti dei Paesi in cui forme stabili di sostegno sono già in essere ma che non si è voluto espandere ai Paesi, come l’Italia, in cui tali misure vengono contrastate con ogni mezzo. Il tema del reddito di base attraversa comunque l’intera sinistra in Europa anche con posizioni diverse all’interno dei singoli Paesi. Da noi la misura è in alcuni settori vista come sostitutiva della lotta per la piena occupazione. Certo ci sono stati punti di caduta comune su cui, anche nelle votazioni, c’è stata la pressoché totale unanimità. Il testo per chiedere la libertà do Julian Assange, quello sulla non negoziabilità dei diritti umani (presentati da Die Linke) e quello per l’estensione a chiunque fugga da una guerra del sostegno garantito ai profughi ucraini con la direttiva 55/2001, proposta da Rifondazione, sono stati votati in un unico blocco ottenendo il 99,7% dei consensi. Si tratta però di testi impegnativi fino ad un certo punto. Si scrive di immigrazione riferendosi soprattutto ai diritti di profughi e richiedenti asilo ma non certo mettendo in discussione le condizioni di vita e di accesso ai diritti dei cd “migranti economici” sparsi nel continente. Trovare un punto di analisi e di proposta comune in tal senso significava entrare nel merito della vita dei singoli Paesi e quindi far affiorare divergenze non formali. Gran parte delle mozioni giunte in votazione hanno superato il 90% dei favori mentre, per ragioni ufficialmente formali, non è giunta in plenaria una proposta di Rifondazione, discussa con le altre delegazioni e relativa alla necessità di contrastare il neofascismo.

Alcuni elementi hanno caratterizzato, anche se spesso fra le righe il dibattito. Intanto l’approccio diverso fra forze ecosocialiste e forze comuniste, queste ultime, al loro interno, con impostazioni e impianti ideologici e culturali non certo omogenei. Poi l’attenzione molto forte ad alcune tematiche fondamentali: ambiente, femminismo, internazionalismo, diritti, ma minore impegno ad un’analisi delle condizioni di classe di lavoratrici e lavoratori dei singoli Paesi. Su questo che dovrebbe essere l’elemento principale e unificante di forze che si richiamano ad una sinistra alternativa, è intervenuto il presidente Da ultimo, la tendenza espressa da parte di alcune forze politiche, sia eco socialiste che comuniste, a costruire un fronte progressista che veda lavorare uno schieramento più ampio (chiaro riferimento a S&D e a Verdi). Un approccio moderato ma frutto di quanto si affronta nei singoli Paesi poco compatibile con quello di chi, come in Italia, considera, le forze un tempo socialdemocratiche, oramai votate al liberismo guerrafondaio, come quelle che hanno permesso e favorito l’affermarsi dei partiti di destra. Un altro tema che si è soltanto accennato in alcuni interventi e con diverse sfumature riguarda poi l’avvicinarsi delle prossime elezioni europee – primavera 2024 – a cui, secondo molte/i bisognerebbe giungere con proposte ed azioni concordate. E il tempo non è molto.

Il fatto che il Partito della Sinistra Europea uscito da Vienna, abbia potuto eleggere un nuovo segretario, l’austriaco Walter Bayer, nuove/i vice – presidenti, un segretariato, in cui è presente la nostra Eleonora Forenza e un organismo esecutivo, è comunque da considerarsi un successo ma non è possibile restare sugli allori. Il Congresso ha svelato che, le divisioni interne dimostrano un fatto inequivocabile. Non esiste una proposta, comune, realmente alternativa, capace di travalicare i confini e gli interessi nazionali. Una alternativa di società in grado di provare ad esercitare egemonia fra le classi di riferimento, pronta ad affrontare sfide nel mondo multipolare, per trasformarlo da conflitto fra imperialismi o fra interessi di potenze regionali in visione anche pragmatica in grado di offrire risposte, se non omogenee, ma almeno con una dimensione comune. Si tratta – e non è poco – di creare una condizione per cui lo spazio della sinistra nel continente non sia la sommatoria di difficoltà e di debolezze ma la sfida per dimostrare che realizzare un mondo diverso è possibile ed attuale.

Si comprende, negli incontri, l’importanza di una dimensione europea come spazio unificante in grado di divenire capace di contribuire alla costruzione di un pensiero egemonico ma poi ci si ferma ai confini territoriali dimenticando tanto la comune connotazione di classe quanto il fatto che tali confini, validi per le persone che arrivano da fuori, molto meno per merci e capitali, determinano queste si un pensiero unico in cui si globalizza la mercificazione del pianeta. La parola “convergenza” tante volte auspicata, troppo spesso unicamente declamata, nel dibattito italiano, è quella che forse potrebbe identificare un cammino comune. Un cammino non escludente ma carico di riappropriazione di senso e di definizione di prospettive futuribili. In tal senso anche la mozione approvata di proporre una iniziativa forte di Transform Europe, di cui nel 2024 ricorrerà il ventennale dalla fondazione, potrebbe avere un importante valore. Molti interventi “interni”, di fatto hanno riaffermato le condizioni di strategia difensiva su cui l’utopia si è rattrappita, rimettendosi ad una insufficiente riduzione del danno, ma bisogna anche avere lo sguardo lungo e non guardare unicamente il “bicchiere mezzo vuoto”. In tanti anni l’esperienza della Sinistra Europea è stata l’unica capace di restare interna ai movimenti e ai conflitti che si sono prodotti. Certo mancano oggi le dimensioni dei Social forum o della battaglia sulla Bolkestein, per fare alcuni esempi, ma almeno il confronto c’è stato e a volte riesce a riproporsi come nelle battaglie contro il monopolio di big pharma. Molti temi di un dibattito che non ha neanche sfiorato Verdi e Socialisti democratici, sono rimasti al centro, pur in assenza della capacità di trovare proposte efficaci e soluzioni dirompenti. Nel resto delle sedicenti forze progressiste, o liberal-ambientaliste, non c’è neanche traccia di critica al modello dominante. La “maggioranza Ursula” sembra essere la fine e il principio di tutto, quasi pensando di poter far avverare le profezie fallaci di Fukuyama.

Importanti, anche per l’autorevolezza della sede e degli interlocutori, gli interventi di chi del Congresso era semplice ospite, sono riemerse suggestioni che dovrebbero fare riflettere e ripartire con un profondo lavoro di analisi, forse lungo ma necessario. Fra quelli di rilievo, da considerare rilevanti le parole di Feleknas Uca, co-speaker per la Commissione degli Affari Esteri per l’Hdp, che partendo dall’ormai universale jin jiyan azadi (donna, vita, libertà) ha parlato di rivoluzione femminile che abbraccia non solo le lotte kurde in Iran, Iraq, Turchia, ma contamina tutti e tre i Paesi per spingersi oltre. L’intervento della rappresentante è stato ripreso con un forte accento femminista, pacifista e antirazzista, da Eleonora Forenza, che con questo congresso entra a far parte del Segretariato della Sinistra Europea. Acceso e liberatorio l’intervento di Jeremy Corbyn, le cui parole hanno infiammato la platea intrecciando pace e diritto al lavoro, dignità dei popoli, a partire da quello palestinese e necessità di ridare centralità al lavoro e al contrasto alla privatizzazione dei servizi. Forte, denso e di ampio respiro l’approccio di Babacar Diop, Sindaco di Thies – la seconda città senegalese – e Segretario generale di Force démocratiques du Senegal – Les Guelwaars. Un lungo e complesso intervento in cui ha riportato la volontà dell’intero continente africano di riappropriarsi di democrazia, risorse, dignità, emancipazione. Ma un intervento che conteneva un esplicito monito a chi ascoltava. Citando un grande intellettuale, cineasta e scrittore del suo Paese, Ousmane Sembène, venuto a mancare nel 2007 ha provato ad affrontare un tema scomodo come quello della necessità per la sinistra, di decolonizzare il proprio pensiero, di non sentire più l’Europa come unico centro del mondo.

Una sfida forte e significativa, di quelle che dovrebbero portare/portarci, a riguardare i nostri orizzonti in maniera meno asfittica, meno dominata da meccanicismi del passato ma capace di guardare al futuro senza dimenticare i bagagli ma con la forza di imparare le tante proposte che arrivano dal resto del pianeta. Babacar Diop ha ricordato le tante piazze africane, già dimenticate, che si sono riempite negli anni passati, di giovani in rivolta pronti ad esigere un futuro diverso da quello dato. Ritessere relazioni con quel mondo che non è affatto scomparso è alimento prezioso anche e soprattutto per la sinistra di un continente anziano e spesso sperso come quello europeo, incapace a contrapporsi radicalmente alla religione neoliberista.

Il titolo del Congresso era “Peace, bread and roses”. La pace, che non è solo un mondo senza guerra, il pane, che non è solo un mondo senza affamati, le rose, perché la ricerca di un futuro in cui l’ambizione vada oltre la sopravvivenza è motore fondamentale. Ma, i tanti interventi e le problematiche emerse, conducono al fatto che per poter alzare le rose, bisogna affrontare anche le tante spine.

Stefano Galieni

P.S. durante il Congresso c’è stato un momento toccante. Ricorreva il compleanno del grande Compagno Citto Maselli e la presidenza gli ha giustamente dedicato un breve tributo. L’applauso che ne è scaturito dalla platea è ennesima testimonianza di come, per costruire futuro, ci sia profondo bisogno di avere una forte e coerente storia.

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