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di Stefano
Galieni

«Siamo tornati ai tempi del “piano Minniti”. Si adottano prassi differenziate e si reagisce diversamente in base a quali sono le navi che chiedono di approdare. Con l’aggiunta che il governo non agisce in prima persona ma indirizza organi amministrativi periferici, come le capitanerie di porto, per contrastare o quantomeno limitare il soccorso in mare». A parlare in maniera così netta è il professor Fulvio Vassallo Paleologo, vice presidente dell’Associazione Diritti e Frontiere (ADIF www.a-dif.org) e considerato fra i maggiori esperti di politiche dell’immigrazione e, più in particolare, di quanto avviene da anni nel Mediterraneo. I tentativi di fuggire dalla Libia o di partire dai porti di Tunisia e Algeria per giungere in Europa non si sono mai interrotti, sono soltanto finiti nel dimenticatoio dei notiziari mainstream durante l’emergenza Covid. Il Mediterraneo Centrale è stato per mesi un deserto, caratterizzato da naufragi dimenticati, al largo della Tripolitania o in acque internazionali rimaste prive di qualsiasi controllo.

La “strage di Pasquetta” ha avuto una piccola eco ma per il resto è prevalso un silenzio complice. Le tanto disprezzate “navi umanitarie” delle Ong hanno per alcuni giorni ripreso il largo, fra tutte la tedesca Sea Watch e la Mar Ionio dell’italiana Mediterranea, sono riuscite con fatica a operare salvataggi di persone portate poi in quarantena. Uomini, donne e minori stremate dal viaggio che, in assenza di spazi di accoglienza in grado di garantire isolamento ma soprattutto per non infastidire governo nazionale e giunta regionale, sono state trasportate su navi italiane certamente migliori e con maggiori spazi ma sempre in mare. In questa maniera si è realizzato un meccanismo di stampo pilatesco. Ufficialmente le autorità portuali hanno obbedito al decreto legge del 14 aprile che definiva, a causa dell’emergenza covid, l’Italia come “porto non sicuro” e quindi vietava gli sbarchi. Di fatto, trasferendo le persone su navi battenti bandiera italiana le si portava su territorio nazionale avviando poi i percorsi post quarantena. Il tutto con tempi lunghi e costi enormi.

«Sarebbe stato sufficiente utilizzare i fondi impiegati per le navi da quarantena per mettere in sicurezza i centri di accoglienza a terra che si sarebbe speso meno e si sarebbero garantite condizioni migliori per i naufraghi» ha ripetuto più volte Giorgia Linardi portavoce di Sea Watch. L’ong, divenuta celebre lo scorso anno per la vicenda di Carola Rackete che, dopo essere rimasta bloccata al largo dalla politica dei “porti chiusi” di Salvini, decise, in nome delle condizioni di stress a cui erano sottoposte le persone salvate, di forzare il blocco e di approdare a Lampedusa dove venne prima arrestata, poi liberata e alla fina assolta da ogni responsabilità. Aveva agito rispettando le leggi del mare e chi come l’allora inquilino del Viminale l’aveva insultata deve ora rispondere di una querela per diffamazione. Sempre un anno fa e sempre in questi giorni approdava un piccolo veliero di 18 mt, l’Alex di Mediterranea, la cui “nave madre era stata posta sotto sequestro.

«Sono orgoglioso di esser stato il Capo missione di uno straordinario equipaggio che non ha esitato un solo istante a rischiare la propria vita per salvare quella di 59 esseri umani. E con loro la nostra stessa umanità. -racconta il parlamentare di Leu Erasmo Palazzotto -Per quella missione io ed il Capitano della Alex Tommaso Stella siamo ancora indagati dalla Procura di Agrigento per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e resistenza a nave militare. Abbiano disobbedito ad un ordine che ritenevano illegittimo. E lo abbiamo fatto perché sapevamo che era la cosa giusta da fare.Sono sicuro di parlare anche nome suo nel dire che lo rifaremmo e ci assumeremmo di nuovo tutta la responsabilità delle nostre azioni». Ma, tornando ad oggi, la situazione nel Mediterraneo è senza dubbio peggiorata. Le persone continuano a partire, se va loro bene non incontrano nessuno e, se il mare è clemente, riescono a giungere a Lampedusa o addirittura sulle coste siciliane. Se vengono intercettati dai droni, se da Malta o dall’Italia ci si accorge del loro passaggio, si da mandato alla cosiddetta Guardia costiera libica, di riportarli indietro, nei centri di detenzione dove torture e ricatti continuano. Le ultime operazioni di salvataggio andate a buon fine sono quella dell’Ocean Viking di SOS Mediterraneè e della nave Talia. L’Ong francese, creata 5 anni fa ha effettuato in tale periodo 271 operazioni assistendo 31799 persone che altrimenti avrebbero seriamente rischiato di perdere la vita.

«L’organizzazione europea di ricerca e salvataggio SOS MEDITERRANEE è stata creata cinque anni fa. Da allora, le nostre squadre di soccorso hanno effettuato 271 operazioni e assistito 31799 persone nel Mediterraneo centrale. «Abbiamo attraversato crisi terribili, salvataggi drammatici, lunghi stalli in mare, ma nel corso della nostra breve storia, i nostri equipaggi hanno sempre agito con la massima professionalità e il più rigoroso rispetto degli obblighi legali e delle procedure previste dal diritto marittimo e dalle convenzioni internazionali. Questo è stato ripetutamente riconosciuto da tutti gli attori statali con i quali abbiamo sempre cercato di mantenere un dialogo costruttivo» ha affermato in un comunicato stampa Nicholas Romaniuk, Coordinatore delle operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo della Ocean Viking.

Il 25 giugno scorso nelle zone SAR (Search And Rescue) hanno effettuato due operazioni di soccorso e altre 2 il 30 giugno al punto che nell’imbarcazione si sono ritrovati 181 richiedenti asilo. Dall’equipaggio hanno inviato 7 richieste per avere un POS (Place Of Safety), un porto sicuro insomma, senza ricevere per giorni risposta.

Ad inizio luglio la situazione è divenuta ingestibile, numerosi naufraghi hanno tentato il suicidio gettandosi in mare e ricevendo come unica risposta la visita di un medico e di un mediatore. Dalla nave hanno dichiarato lo stato di emergenza: «Un passo molto serio estrema ratio per richiedere assistenza urgente» ha dichiarato Fréderic Penard, direttore operativo dell’Ong. ù

A bordo si sono applicate misure rigorose per prevenire epidemia di covid 19 operazione estremamente difficile in uno spazio così ristretto ma che pure sono state rispettate. Comunque per alcuni giorni Malta e Italia hanno respinto ogni richiesta di approdo in barba ad ogni norma del Diritto internazionale. Soltanto il 7 luglio, dopo che la nave era giunta nei pressi di Porto Empedocle, i richiedenti asilo sono stati trasferiti a bordo di un’altra nave, la Moby Zazà, già utilizzata per porre in quarantena altre persone salvate. I migranti hanno effettuato tutti il tampone che ha avuto risultato negativo.

Diversa la vicenda della Talia, un cargo adibito di solito al trasporto di bestiame e che, ha incontrato sulla sua rotta un’imbarcazione con a bordo 52 persone fuggite dalla Libia le cui condizioni psicofisiche erano orrende. Non ci hanno pensato due volte, hanno preso a bordo i naufraghi e hanno cercato un porto sicuro tentando intanto di rifocillare chi era stato reso scheletrico dalla fame e dalle torture. Li hanno salvati perché hanno scelto di percorrere una rotta che nessun armatore percorre più, preferendo spendere più denaro in carburante piuttosto che correre il rischio di incappare in natanti da soccorrere e di dover fermare il proprio lavoro. Basta guardare piattaforme come Marine Traffic o Vessel Finder (da cui è possibile osservare il tratto di mare che interessa) per vedere come la rotta più semplice resti deserta. «I migranti che abbiamo salvato sono in pessime condizioni di salute, non abbiamo più cibo, acqua, siamo tutti molto stanchi. Abbiamo veramente bisogno di aiuto – ripete Mohammed Shaaban, comandante della nave in un video che è stato rilanciato su twitter dall’ong Open Arms-. Spero che Malta faccia sbarcare il prima possibile queste persone. Facciamo appello a tutti: per favore, per favore aiutateci!».

L’Italia si è rifiutata di intervenire e, soltanto ieri in tarda serata da Malta è giunta l’autorizzazione allo sbarco. Dopo il soccorso la nave aveva proceduto verso Lampedusa, la scelta più naturale perché più vicina e perché i soccorsi sanitari necessari per chi aveva segni di tortura (ossa spezzate o percosse) potessero giungere più rapidamente. Nel frattempo il mare era in tempesta – peraltro prevista e che avrebbe dovuto rendere ancor più urgente il trasbordo in Italia – ma da Roma hanno fatto finta di nulla, col risultato che si è reso necessario spostare i migranti su uno dei ponti (nelle stive c’erano gli animali). Un ponte reso lurido dagli animali. Si tratta insomma dell’ennesima vergogna determinata dalle politiche di scaricabarile.

«Nei fatti si prosegue con le politiche del precedente governo ma con meno urla e meno propaganda – conclude Fulvio Vassallo Paleologo – Oggi non ci sono ong operative nel Mediterraneo Centrale ed è aumentato il numero delle persone riportate in Libia. Il ministro Di Maio ha incontrato recentemente il presidente (di fatto della sola Tripolitania) Serraj ha cui ha garantito appoggio. È in essere l’operazione italiana “Nauras” Mare Sicuro che garantisce assistenza tecnica della Marina Militare italiana Tripoli. L’UE resta sullo sfondo rifiutando di applicare il pre accordo di Malta sulla redistribuzione dei profughi. L’agenzia Frontex collabora con militari libici e maltesi per riportare in Libia le barche in difficoltà. Anche alcune navi “semiclandestine” sono state utilizzate per riportare migranti in Libia mentre domenica scorsa, a Malta si è tenuto un incontro fra i vertici de La Valletta e il presidente Serraj».

Le vicende libiche hanno avuto un riflesso politico anche in Italia dove in queste ore si è votato per il rifinanziamento delle missioni militari all’estero. Al senato la maggioranza ha retto unicamente grazie all’approvazione di un emendamento di IV che impone una revisione del Memorandum di Minniti negli accordi con la Libia. Alla Camera, dove si è votato nella Commissione Esteri, si è proceduto prima ad una votazione per ogni singola missione dove una parte della maggioranza (alcuni di Pd e Leu) hanno votato contro il finanziamento del supporto militare alla Guardia costiera non considerando garanzie le promesse libiche di un “maggior rispetto dei diritti umani”. Alla fine, nonostante il risultato, sempre in commissione, alcuni parlamentari si sono astenuti sul voto complessivo aprendo un problema nella maggioranza di governo che andrà ricomposto.

 

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