Pubblichiamo la prefazione al libro Passare con il semaforo rosso. Quasi un romanzo, di Giovanna Capelli –
Si raccontano qui, con una ricostruzione attenta, le speranze, i pensieri, gli ideali, le lotte e anche la fatica, le delusioni, in una parola la vita di compagni e compagne del Centro Mao, a Milano, negli anni che vanno dalla seconda metà dei ’60 alla prima metà dei ’70 del secolo scorso. Un tempo breve, lo definisce l’autrice. Eppure così intenso, ricco e felice! Altro che “anni di piombo”, come ha voluto consegnarli alla Storia un certo giornalismo che ha confuso tutto e contribuito a cancellare la memoria di una grande stagione di impegno civile. E la memoria ha bisogno di diventare un racconto incessante non solo per difendersi dalla storia dei vincitori ma per dare senso ai conflitti in corso, a quelli che potranno nascere ancora e che hanno bisogno di radici.
Benvenuto quindi Passare con il semaforo rosso, che è un libro di memorie e insieme la storia di un grande amore, non declamato ma sempre presente, nascosto tra le righe.
Da giovane ho vissuto nella stessa città e ho partecipato ai movimenti di quel periodo, ho fatto attività politica nell’area della sinistra milanese, iscritta nella sezione XXV Aprile del Pci. Chissà quante volte ci siamo sfiorate, Giovanna e io, in una manifestazione per il Vietnam o, dopo piazza Fontana, per Pinelli o Valpreda, contro la strategia della tensione. Abbiamo avuto mille occasioni di incontrarci: a qualche volantinaggio; ad una assemblea in CGIL Scuola; ad uno spettacolo di Dario Fo e Franca Rame; ai concerti con Giovanna Marini; a cantare insieme a Carlo Cuomo in qualche osteria di periferia, ad ascoltare Ivan Della Mea, Paolo Ciarchi, Gualtiero Bertelli… Abbiamo fatto esperienze simili, lei nella scuola media io all’elementare del Gratosoglio; a tutte e due è stata assegnata, come primo incarico, una classe differenziale; abbiamo contribuito a costruire lei la Scuola Media Popolare di San Giuliano, io il Tempo Pieno nel mio quartiere, con l’occupazione (concordata con gli abitanti) di tutti gli spazi ancora disponibili per evitare i doppi turni. Dopo la vita mi ha portato altrove e sono passati diversi anni, più di trenta, prima di conoscerci davvero, a Roma, nelle aule del Senato, con il gruppo di Rifondazione Comunista.
La vita mi ha portato altrove, dicevo, ma nonostante le molte ingiustizie incontrate e anche subite, ero sicura che la nostra Costituzione avrebbe continuato a difendere tutte e tutti. Invece ho dovuto rendermi conto che qualcuno, nel chiuso delle stanze del potere, aveva già cominciato a lavorare per stravolgerne il senso e per minare le leggi fondamentali, complice la disattenzione e la mancanza di partecipazione alla cosa pubblica di molti di noi, cittadini e cittadine. Il primo a essere allegramente raggirato e truffato è stato l’articolo 11, quello che “l’Italia ripudia la guerra”. A quante guerre illegali abbiamo partecipato dopo il Kossovo?! Le hanno addirittura chiamate esportazioni di democrazia! E quanto spendiamo oggi per micidiali aerei militari “di ultima generazione”, sottraendo risorse alla scuola e alla sanità?! Per non parlare dell’articolo 3, con gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana che non solo non vengono rimossi ma aumentano costantemente per un numero sempre maggiore di individui. O delle regole che sono alla base della rappresentanza democratica (non abbiamo neppure la possibilità di scegliere i nostri rappresentanti, abbiamo ottenuto un Parlamento di nominati, non di eletti dal popolo sovrano). O del diritto al lavoro. O della tutela del paesaggio… Ma c’è di più. Come i compagni e le compagne del Centro Mao, in quegli anni ho partecipato alle lotte che ci hanno permesso di conquistare molti diritti civili. Nel campo dell’istruzione, per una scuola pubblica attenta ai bisogni dei giovani, anche a quelli con problemi fisici o psichici o privi di un sufficiente retroterra culturale, che ancora venivano ghettizzati in classi differenziali o negli istituti; per una formazione universitaria accessibile. Abbiamo conquistato una riforma sanitaria capace di tutelare i non abbienti (e oggi paghiamo le conseguenze del suo progressivo deperimento). Abbiamo lottato per una legge di famiglia che stabilisse nuovi equilibri e non penalizzasse sempre e comunque la donna; per il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio; per l’introduzione del divorzio; per la diffusione di metodi anticoncezionali sicuri e la liberalizzazione dell’aborto. La mobilitazione operaia e di piazza ha conquistato condizioni di lavoro dignitose, una legge per tutelare il lavoratore come persona sottraendolo all’arbitrio del padrone; una scala mobile per legare i salari all’aumento del costo della vita garantendone il potere d’acquisto… Non sono state lotte facili né indolori. Il dissenso tuttavia era rispettato dall’opinione pubblica, faceva parte della democrazia. Oggi non è più così. Oggi se non sei d’accordo con una globalizzazione selvaggia che privilegia la finanza, che arricchisce i più ricchi e impoverisce i più poveri, ti deridono e ti condannano tra l’indifferenza, se non l’approvazione, della maggioranza. Se manifesti contro la devastazione e il saccheggio del territorio in cui vivi, finisci in galera e i giornali ti descrivono come delinquente o terrorista. Le minoranze, quelle che sopravvivono, danno fastidio perfino in Parlamento, anzi, dà fastidio lo stesso Parlamento: meglio esautorarlo, in modo che non sia di intralcio o possa ritardare le manovre dell’esecutivo. Meglio ridurre i numeri anziché migliorare la qualità. Oggi sembra normale che un giornalista venga manganellato mentre svolge il suo lavoro; avere il diritto alla critica sembra un lusso; viene accettata l’idea che usare un megafono sia un gesto grave, da punire con il carcere. Al contrario, chi manifesta simboli e concetti fascisti viene protetto dalle autorità senza destare scandalo.
Progettando una serie di libri, oltre a quelli che ci ha regalato prima di lasciarci, Paola Staccioli scriveva: La perdita della memoria in generale è una delle caratteristiche del nostro tempo, dominato dalla tirannia del presente, dalla rimozione del passato, dalla svalorizzazione della progettualità e del futuro. Siamo circondati da parole asservite, parole di intrattenimento, di consolazione e di distrazione; abbiamo bisogno di parole necessarie. Parole che concorrano a una ricerca di senso e che rompano il diffuso silenzio sulle contraddizioni e sui conflitti… per contribuire alla trasmissione della memoria della lotta di classe e dei movimenti, provare a raccontare la storia dal lato degli oppressi e dei ribelli.
Sì, abbiamo bisogno di parole necessarie. Come le parole raccolte in queste pagine.
Haidi Gaggio Giuliani