Domenica 6 febbraio si è consumato, utilizzando una delle tante pessime trasmissioni che ci eroga il servizio pubblico, “Che tempo che fa”, l’ennesimo processo di autoassoluzione della coscienza pubblica progressista nel Paese. Si è utilizzata una delle poche figure rappresentative di questi anni, il pontefice, per ricordarci che siamo i finanziatori e i sostenitori economici e politici, dei lager libici e questo è certamente un messaggio utile e significativo. Le parole del Papa hanno colpito credenti e non credenti, certamente animati da spirito umanitario ma produrranno effetti reali, dal punto di vista legislativo, o serviranno unicamente a farci sentire moralmente rappresentati da qualcuno, senza modificare di un centimetro le scelte politiche che vengono poi fatte nei luoghi decisionali? Bergoglio, sin dall’inizio del suo pontificato, esprime parole di condanna rispetto alle leggi che regolano l’immigrazione, da anni parla di lager, di cinismo degli accordi fra Stati, dell’indifferenza europea, lo fa non da un pulpito, un tempo laico, come quello televisivo ma da San Pietro, parlando a centinaia di milioni di persone. E c’è un battersi il petto diffuso e miserando che attraversa da anni il parlamento, i governi, gli opinionisti a corrente alternata, che diventano antirazzisti solo quando a sbraitare sono Salvini e simili. Per carità uno dei più pagati giornalisti Rai è stato anche capace di portare in studio alcune vicende scomode per il Paese, dall’uccisione di Giulio Regeni alle persecuzioni contro i curdi o al confine bielorusso / polacco, ma il tutto sempre con un retrogusto di melassa, di buoni sentimenti con cui guai a contestare il potente di turno.
Un potente che quando giunge nel nuovo salotto buono, per le opinioni di chi è animato di afflati umanitari, non viene mai messo in discussione ma omaggiato, riverito, con domande preconfezionate e una sequela di apprezzamenti tali da far divenire trasmissione a rischio per chi soffre di diabete. E per un Papa che bastona l’indifferenza – salvo poi intervenire mostrandosi umano fra gli umani e strappare anche un sorriso-, come non tornare all’incontro, la settimana precedente, sempre nello stesso studio televisivo, con la nuova presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola. Dell’euro parlamentare maltese, del Partito Popolare, si ricordano gli interventi per un piano globale sull’immigrazione in Europa realizzato insieme alla rappresentante italiana del gruppo Socialisti & Democratici, Cécile Kyenge. Un testo pessimo che è stato in parte apripista degli accordi del 2017 con la Libia – su cui torneremo – e su cui le migliori parole le ha forse spese Barbara Spinelli, allora europarlamentare del gruppo GUE/NGL, relatrice ombra in Commissione Libe del testo. Scriveva nell’aprile 2016 – occhio alle date – : «Da mesi, tuttavia, le politiche dell’Unione vanno in tutt’altra direzione e assistiamo a un degrado senza precedenti. Siamo di fronte a un accumulo di scelte, della Commissione e del Consiglio, che sanciscono al tempo stesso la chiusura delle frontiere come conditio sine qua non della sopravvivenza di Schengen, e un’indifferenza di natura criminosa verso la sorte dei rifugiati. La più decisiva di queste scelte è l’accordo con la Turchia, accordo giudicato illegale dall’ONU e da molti esperti di diritto internazionale ed europeo». Eppure è stato lasciato che Roberta Metsola, forse improvvisamente convertita sulla Via di Damasco, parlasse di “Europa senza muri” e di “superpotenza dei diritti”. Ovviamente nessuna domanda scomoda, tanto la settimana dopo, a dare il colpo alla botte sarebbe intervenuto nientepopodimeno che il Santo Padre. Anzi ad essere sinceri alla prima è stata fatta almeno una domanda sul suo dichiararsi antiabortista nell’unico paese UE che non permette l’interruzione di gravidanza, mentre all’alfiere di tale posizione in tutto il pianeta questo è stato risparmiato. Ma anche la risposta di Metsola era ben confezionata per il pubblico televisivo.
Torniamo per un momento alla giusta denuncia sui lager libici. Al signor Fazio è venuto per caso in mente che tre giorni prima erano trascorsi 5 anni da quel Memorandum Of Understanding con cui si istituzionalizzavano i lager in questione? Non si può. Meglio parlare di generiche responsabilità, di egoismi, di disumanità diffusa, guai ad entrare negli aspetti prettamente politici. “I migranti vanno accolti” ha ripetuto giustamente il papa argentino, ma perché non fare nomi e cognomi di coloro che finanziano ufficialmente appunto, da almeno un quinquennio tale apparato. E ovviamente niente da dire su quanto avviene nella cattolicissima Polonia, nell’Ungheria, nella Croazia, che senza pudore alcuno usano anche la fede per chiamare a quella pulizia etnica con cui giustificare i loro muri, i loro lager. Solo le immagini pietose dei bambini – che tutti commuovono – messe lì in bella evidenza da sciacalli, per far inumidire qualche palpebra. Niente da dire sugli accordi fra UE e Turchia, sulle responsabilità di Frontex – decine di migliaia di persone rimandate illegalmente nei lager libici in tre anni – meglio rimuovere. Meglio accontentarsi del fatto che la personalità più eminente, in uno Stato che si professa laico abbia pronunciato la parola proibita, lager. Come se prima non si potesse usare, come se prima le Nazioni Unite, l’OIM, Amnesty International, Medici Senza Frontiere, Save The Children, Oxfan, tutte le organizzazioni umanitarie internazionali, le forze dell’associazionismo e della sinistra reale, non avessero mai utilizzato questo termine per definire la catastrofe libica enunciata. Il papa non è il nostro ministro dell’Interno né tantomeno il presidente del Consiglio, non è la presidente della Commissione Europea e quindi la sua intervista non poteva avere la valenza di proposta politica. A meno che non si possa considerare proposta politica da fare all’UE quella di “spartirsi i migranti che si possono accogliere, accoglierli, promuoverli e integrarli” perché i nostri paesi con un profondo calo demografico ne hanno bisogno. C’è un approccio coloniale e paternalista in questo discorso ma è quello che l’opinione pubblica europea progressista è oggi in grado di far propria, nulla di più. Guai a pensare di rimettere in discussione accordi internazionali asimmetrici, guai a provare a delineare diversi scenari di gestione per affrontare una questione che è strutturale per le società dei nostri paesi opulenti e di quelle in movimento.
E se il giornalista era troppo servile – come lo è stato spesso in passato – per porre domande simili, (sembrava abbagliato da una luce realmente divina), il pontefice ha risposto come può fare un papa illuminato, che nomina le cose col proprio nome, che pone questioni inerenti anche le responsabilità e le miserie individuali, ma non può certo dire che coloro che hanno contribuito o contribuiscono con azioni, discorsi, strategie, investimenti, a mantenere in piedi quei lager citati, non debbono più neanche avvicinarsi ad un sagrato.
Ma proviamo anche a pensare che quelle parole – da tante/i apprezzate – possano contribuire a creare una nuova consapevolezza e una nuova coscienza. I dubbi permangono: un esempio, il Memorandum siglato dal ministro Minniti, oggi manager della Leonardo Spa – uno dei migliori venditori di armi sul mercato, sotto il governo Gentiloni, ha validità triennale. Nell’approssimarsi del suo primo rinnovo ci fu un moto di coscienze, l’assemblea nazionale del Pd chiese di abrogarlo o almeno di apportare profonde modifiche per veder garantito in Libia il rispetto dei diritti umani elementari – già allora dei lager circolavano testimonianze, video, immagini – ma al momento clou furono pochi quelli che mostrarono dissenso verso il proprio partito, senza poi neanche trarne le ovvie conseguenze. Viene da pensare che alcune “anime belle” non solo nel Partito democratico, poterono votare contro sapendo che anche l’estrema destra fascista avrebbe garantito la maggioranza. E quanti sono stati coloro che, magari domenica sera applaudivano commossi le parole papali e a luglio avevano senza vergogna votato per la proroga delle missioni militari in Libia? E ancora, se non si utilizza la parola “evacuazione” come occasione per tutti coloro che sono emigrati in Libia e attendono o di trovare un lavoro che non porti verso la schiavitù o una barca pronta a partire, anche rischiando il naufragio, quale soluzione è possibile?
Secondo i dati più recenti i migranti e richiedenti asilo nel paese nordafricano – un tempo colonia italiana ma anche questo va rimosso – sono 620 mila, di questi certamente oltre 4000 sono rinchiusi nei centri di detenzione gestiti dall’esercito regolare (i lager meno crudeli) mentre è ignoto il numero di coloro che sono in quelli “informali” governati dalle milizie. Milizie che indossano anche una divisa e che vengono mantenute ancora con fondi italiani o europei.
Per andare oltre l’indifferenza caro Fazio non basta la commozione e, caro papa, non basta la preghiera, non basta – per quanto necessario – il gesto solidale che in quanto tale è eversivo rispetto al potere.
Bisognerebbe evitare di entusiasmarsi perché finalmente una grande autorità (la trasmissione televisiva non il papa) dà finalmente spazio alle parole appropriate. Bisognerebbe far si che questo si trasformi in denuncia politica, in critica alla gestione dissennata dei cambiamenti in atto nel pianeta. Non basta – anche se è necessario – non voltarsi da un’altra parte, occorre alzarsi in piedi.
Per chi crede ancora nella democrazia parlamentare – mai come di questi tempi inadeguata e tenuta in scacco – occorrerebbe memorizzare, far tesoro di una lezione impartita e non concedere attenuanti agli ipocriti attuatori di un crimine di tale portata.
Per chi crede più nell’azione concreta occorrerebbe impegnarsi ancora di più tenendo presente sempre il nesso sostanziale fra emigrazioni forzate e peggioramento delle condizioni di vita fra le persone più disagiate, nella sostanziale e mai interrotta guerra che si combatte contro i poveri.
Bisognerebbe insomma ridare spessore politico alla vergogna etica e morale insita nella parola lager.
Eppure se si va a leggere i commenti social, vera letteratura sociale della sedicente coscienza critica del ceto medio, ci si affida al messaggio pontificio come unica possibile interpretazione del presente. Jorge Bergoglio ha una semplicità evocativa che non richiede analisi interpretative, che definisce una sorta di male 2.0 da cui difendersi e distanziarsi ma non può, per sua natura, farsi carico di alternative concrete se non di un generico richiamo all’amore universale.
In mancanza di una classe politica degna di questo nome ci sarebbe estremo bisogno poi di giornalisti con la schiena diritta in grado di invitare i Minniti, le Lamorgese, i Draghi eccetera, non per l’ennesimo omaggio da zerbino ma capaci di fare domande semplici con cui incalzare il leader di turno. Chiedere ad esempio all’ex ministro dell’Interno firmatario del Memorandum e intestatario dei lager il motivo per cui all’atto della firma dello stesso, parlò con spaventosa nonchalance di “rischio della tenuta democratica del Paese”. Un golpe sovranista in atto? Chiedere all’attuale titolare dello stesso dicastero cosa abbia ottenuto con le pratiche repressive portate avanti senza discontinuità con il precedente inquilino leghista del Viminale ma semplicemente urlando di meno e agendo di più: aumento dei rimpatri, dei respingimenti, delle morti in mare? Gestione ordinata del traffico di essere umani? O invitare l’attuale presidente del Consiglio senza perdersi in adoranti prostrazioni e chiedere conto di quanto fatto in Europa per affrontare una crisi globale che necessita di strumenti straordinari ma non emergenziali. E se proprio si vuole evitare il confronto col potere – tengo famiglia potrebbero dire gli anchor man – almeno portare all’attenzione cifre, denunce individuali e collettive, storie che hanno un nome e un cognome e che magari possono anche esprimersi senza bisogno di essere narrati perennemente dall’altro.
Ma no, accontentiamoci del fatto che il papa abbia pronunciato la parola “lager” che peraltro andrebbe contestualizzata storicamente, sentiamoci felici perché altre e altri 3,5 milioni di italiani lo hanno sentito. Li troveremo domani a pretendere giustizia per migranti e rifugiati in Libia? Sarò pessimista ma non credo proprio. Li troveremo, forse ci troveremo, come coloro che si sono sentiti pubblicamente e solo in parte dare ragione, ma in funzione del fatto che nulla cambi.
Stefano Galieni
P.S. sarà anche lo spirito ateo ma avremo presto il bis in cui ci verrà, in maniera edulcorata e accettabile, anche l’idea della donna che la chiesa non ha smesso di fare propria. Sentiremo parlare di pedofilia, di corruzione economica, politica e morale nella più potente istituzione esistente da secoli? Avremo modo di sentire parole di scusa per coloro il cui comportamento privato è considerato inaccettabile anche dall’illuminato Bergoglio? Al massimo, come è già accaduto la scorsa domenica, qualche critica al clericalismo e all’ipocrisia insita nella appartenenza ad un mondo complesso come la Chiesa. Un mondo che però, come ci viene ricordato ad ogni tg, in ogni programma di grande ascolto, persino nei talk show, ha qualche mela marcia ma nel complesso è grande, carica di amore e di splendore, incriticabile insomma. Questo in uno Stato laico.