Anche in Spagna, nonostante sia stata colpita dalla pandemia non meno dell’Italia, si potrà votare. Dopo la Catalogna toccherà alla Comunità autonoma di Madrid, che include la capitale e i comuni che la circondano, sottoporsi al giudizio degli elettori.
Madrid è governata da molto tempo dalla destra. Alla sua guida c’è Isabel Ayuso, astro nascente del partito Popolare, che era alleata a Ciudadanos con l’appoggio del partito di estrema destra neo-franchista Vox. Nelle settimane scorse, la Spagna, governata a livello nazionale dal PSOE e da Unidas Podemos con il sostegno di formazioni politiche della sinistra nazionalista basca e catalana, ha subito qualche scossone politico.
La destra, un tempo dominata dal Partito Popolare, conservatore ma con una forte corrente di nostalgici del franchismo, colpita da numerosi scandali che hanno mostrato un’estesa corruzione, si è riarticolata in tre formazioni. Prima è sorta Ciudadanos, presentatasi come alternativa populista light e liberista all’irruzione di Podemos. Inizialmente formatasi in Catalogna come partito “spagnolista” e antiseparatista è stata lanciata a livello nazionale per evitare che una parte del voto di protesta anti-establishment, tradizionalmente orientato in senso conservatore, si spostasse a sinistra. L’operazione ha avuto successo fino al momento in cui Ciudadanos (considerato da Renzi un “partito fratello” come quello di Macron in Francia) ha dovuto fare scelte politiche e schierarsi nella tendenziale bipolarizzazione del sistema. Problema che ha avuto anche Podemos dall’altra parte dello spettro politico, con esiti per ora migliori.
Infatti Ciudadanos è andato incontro ad una profonda crisi di identità. Fallita, anche per mancanza di numeri parlamentari, l’ipotesi di alleanza con il PSOE, è rifluita a destra, alleandosi non solo con il PP ma anche con l’estrema destra populista e neo-franchista di Vox (come in Andalusia). Ha perso rapidamente molti consensi che si sono per lo più diretti verso le altre due formazioni affini. Questa rapida tendenza al declino e alla marginalizzazione ha prodotto qualche reazione contraria.
E’ il caso della comunità murciana dove Ciudadanos e PSOE si sono messi d’accordo per far cadere la “giunta” guidata dal Partito Popolare. Per il PSOE questa operazione aveva anche un retropensiero nazionale, crearsi un margine di manovra maggiore nei confronti di Unidas Podemos e in prospettiva un piano di ritorno ad una politica centrista, decisamente più gradita all’establishment economico-finanziario.
Nella Murcia, l’operazione non è riuscita perché i Popolari sono riusciti a sottrarre qualche consigliere a Ciudadanos. La stessa operazione era però stata ideata a Madrid, dove Ciudadanos dispone ancora di numeri consistenti e in più la principale forze a sinistra (ma non molto) del PSOE è Mas Madrid, una coalizione locale sorta dalla separazione di Inigo Errejon da Podemos e dalla rottura nella capitale con l’ex sindaca Manuela Carmena. Mas Madrid e il PSOE hanno presentato una mozione di censura per far cadere la Ayuso, la quale ha cercato di giocare d’anticipo utilizzando il proprio potere di dissolvere la Comunità Autonoma e convocare le elezioni.
Siccome questo potere viene interdetto nel momento in cui viene presentata una mozione di sfiducia (che, col sostegno di Ciudadanos, sarebbe quasi certamente passata) esistono forti dubbi che l’operazione della Ayuso fosse pienamente legittima. Ma in ogni caso il percorso procede e si andrà a votare il prossimo 4 maggio.
La sfida di Madrid contro la destra “cavernicola”
I sondaggi sono piuttosto favorevoli alla Presidente uscente, il cui Partito Popolare potrebbe recuperare gran parte dei voti persi a favore di Ciudadanos nelle elezioni precedenti. La Comunità di Madrid è stata quasi sempre governata dalla destra, grazie al sostegno dei quartieri benestanti della città, che tendono a prevalere sulla periferia più operaia e popolare. Anche perché la destra, molto più determinata, riesce a mobilitare la propria base sociale, a cui garantisce poche tasse a discapito dei servizi pubblici r privatizzazioni a largo raggio. Si tratta di una borghesia cinica, arrogante e decisamente reazionaria. I ceti popolari, soprattutto per aver sperimentato le politiche tradizionali del PSOE, tendono invece a mobilitarsi in misura inferiore.
Il colpo di scena, arrangiato per provare a modificare questo quadro, lo ha messo in campo il leader di Podemos, Pablo Iglesias. Poco dopo la fissazione delle elezioni anticipate ha annunciato che si sarebbe candidato alla guida di Unidas Podemos contro la Ayuso e soprattutto per bloccare la prospettiva dell’ingresso al governo della regione della destra “cavernicola” di Vox.
Al di là delle possibili motivazioni psicologiche della scelta di Iglesias (più motivato nelle campagne elettorali d’assalto che nella complicata gestione delle attività di un governo di coalizione in cui i rapporti con il PSOE sono tutt’altro che facili), che possono interessare fino ad un certo punto, esiste una sostanziale convergenza dei commentatori nel valutare le ragioni politiche della sua scelta.
L’esperienza di Podemos ha vissuto una fase “eroica” di crescente impatto e consenso nell’opinione pubblica e nel sistema politico, al punto da profilarsi come primo partito, seguita da un periodo non lunghissimo di stallo, in cui è fallito il tentativo di sorpasso del PSOE per diventare il partito guida della sinistra. A questa è poi succeduta una fase più complicata. Da un lato si poteva vantare un successo, ovvero la formazione di un governo di coalizione coi socialisti di Pedro Sanchez (che si sono dovuti piegare obtorto collo alla soluzione) con una presenza di comunisti e di esponenti della sinistra radicale che non si vedeva dalla fine infausta della guerra civile. Dall’altro si registrava la perdita di consensi e con essa una tendenza ad invertire il processo unitario che aveva consentito di raggruppare attorno a Podemos non solo Izquierda Unida, ma anche molte realtà attive a livello locale. Anche nel gruppo dirigente si sono registrate delle rotture. Prima quella di Errejon sul versante moderato con la creazione di Mas Paìs, che ha registrato uno scarso seguito elettorale ma ha pesato nel distacco di settori importanti a Madrid e a Valencia. E poi sul lato sinistra la fuoriuscita di Anticapitalistas, la corrente trotskista (già a suo tempo fuoriuscita da Izquierda Unida), poco influente a livello nazionale, ma con un significativo seguito in Andalusia attorno a Teresa Rodriguez.
A Madrid, Unidas Podemos rischiava di non rientrare nella Comunità, perché sotto la soglia del 5%, e questo avrebbe rischiato un effetto negativo di smobilitazione e frammentazione di tutta questa realtà politica, accentuando la speranza del PSOE di liberarsi del vincolo a sinistra e di ritornare ad accamparsi sui propri lidi moderati. Il PSOE, e questo lo distingue dal PD ad esempio, mantiene un significativo consenso in ampi settori di elettorato popolare tradizionale, laddove invece Podemos ha fatto presa nei settori di “nuovo proletariato”, spesso precario, ma fortemente urbanizzato e con più elevati livelli di istruzione.
La scommessa di Iglesias è di polarizzare lo scontro politico di Madrid, in questo caso ponendosi come alternativa radicale alla destra ed in particolare all’arrivo al potere di Vox. Sembra difficile scalzare la destra, ma una maggiore mobilitazione di elettorato popolare potrebbe contenerne il predominio, e contemporaneamente, a sinistra ridarebbe forza e slancio al progetto di Unidas Podemos. Se l’adesione alla scelta di Iglesias da parte di Izquierda Unida è stata netta, Mas Madrid ha rifiutato l’alleanza. La coalizione locale però ha il problema di essere collegata ad un progetto nazionale che è sostanzialmente fallito.
La scelta di Iglesias ha fatto emergere due tipi di critiche. La prima di essere stata calata dall’alto confermando tendenzialmente l’idea di un partito leaderistico e personale (critica non del tutto priva di fondamento, ma la cui unica alternativa è stata spesso la frammentazione e la concorrenza tra partiti altrettanto leaderistici ma più piccoli), la seconda di avere così emarginato la leader femminile uscente di Mas Madrid (il “predominio del testoterone”), anch’essa candidata alla carica.
L’ascesa della Ministra comunista Yolanda Diaz
Oggi pochi si sbilanciano a fare previsioni sull’esito della sfida di Iglesias. Intanto la sua scelta produce degli effetti sugli equilibri governativi e all’interno della coalizione di Unidas Podemos. Al suo posto come vicepresidente va la Ministra del lavoro Yolanda Diaz. Nella sua gestione di un Ministero sempre delicato, ma ancora più di frontiera per gli effetti economici e sociali della pandemia, la Diaz ha raccolto molti consensi anche al di fuori del suo campo politico. Soddisfatti i sindacati che hanno trovato dopo tanto una reale interlocuzione, è comunque riuscita a trovare soluzioni di compromesso più avanzati del quadro precedente.
Per l’esponente politica galiziana Il terreno su cui muoversi, al di là della gestione dell’emergenza, consiste nel rimettere in discussione le politiche del lavoro introdotte dai governi del Partito Popolare, che si sono mosse nella direzione della precarizzazione e dello spostamento netto dei rapporti di forza a favore dell’impresa. Per questo deve anche tenere conto che il PSOE è molto sensibile ai desiderata della grande impresa. All’interno del governo le diverse prospettive tendono a polarizzarsi attorno a Yolanda Diaz, da un lato, e alla socialista Nadia Calvino, dall’altro.
Complesso anche il rapporto della Diaz con le componenti della coalizione di Unidas Podemos. E’ stata per molti anni leader della componente galiziana di Izquierda Unida, oltre che militante del Partito Comunista. Alla fine del 2019, per dissensi sulla gestione politica di Alberto Garzon, della coalizione di sinistra radicale, ha rinunciato all’adesione a IU, restando però militante del Partito Comunista Spagnolo. Benché questo partito sia una componente fondamentale della coalizione, l’iscrizione a IU è individuale. Per questo è sempre accaduto che militanti comunisti, critici sulla scelta di inserire il partito in un soggetto plurale e più ampio, non si siano iscritti ad Izquierda Unida. Mai però con ruolo di primo piano. La stampa si era sbizzarrita nel prevedere un possibile futuro di Yolanda Diaz come leader di Podemos. L’interessata ha sempre smentito, ma la sua promozione a seconda vicepresidente del Governo la colloca in un ruolo di possibile futura leader della coalizione.
La figura di Yolanda Diaz potrebbe riunire in sé diverse caratteristiche. Uno spirito fortemente unitario, l’abilità nel gestire un ruolo di governo e non più solo di tecnologia comunicativa dall’opposizione (specifico di Podemos), e un discorso più tradizionalmente classista rispetto alla narrazione immaginifica e un po’ post-moderna che ha connotato la figura di Iglesias. Tutto questo renderebbe forse Unidas Podemos più simile alla migliore Izquierda Unida. Ma resta sullo sfondo anche un potenziale ruolo nazionale della sindaca di Barcellona, Ada Colau, che rappresenta la terza gamba, quella per ora presente solo in Catalogna, della coalizione di Unidas Podemos.
Izquierda Unida vota per l’unità, ma un’unità migliore
Nel frattempo, Izquierda Unida ha proceduto a realizzare la sua assemblea nazionale nelle condizioni rese più difficili dalla pandemia. Ai 38.000 iscritti del movimento sono state sottoposte due mozioni. Ha prevalso largamente, con oltre il 70% dei voti, quella guidata dal leader uscente, nonché Ministro del governo Sanchez, Alberto Garzon. La componente maggioritaria punta sullo sviluppo della coalizione con Podemos e con altre forze radicate a livello locale e lancia l’obbiettivo, tradizionale per i comunisti che rappresentano circa metà degli iscritti, della instaurazione di una Repubblica con una struttura federale. La minoranza rivendica invece un ruolo più autonomo di Izquierda Unida ed una maggiore difesa della propria identità distinta da quella “populista di sinistra” sulla quale si è formata Podemos. Il successo della tendenza maggioritaria è netto ma limitato dalla partecipazione al voto che si è fermata a circa 7.000 iscritti, poco più del 20% del totale.
In un’ampia intervista rilasciata a Mundo Obrero, rivista del Partito Comunista Spagnolo, Alberto Garzon ha spiegato che gli obbiettivi che si pone IU all’interno della coalizione è di migliorare i meccanismi di coordinamento interno, democratizzare le modalità di assunzione delle decisioni e soprattutto di riuscire a costruire un tessuto organizzato più forte attraverso le confluenze di forze nei territori. La prospettiva viene sintetizzata con la parola d’ordine: “più unità, ma una unità migliore”1.
Il leader di IU ha rivendicato la giustezza della scelta di entrare a far parte della coalizione di governo, pur sapendo di dover governare con un socio che ha idee diverse su alcuni temi sensibili. L’opzione perseguita andava valutata nel contesto, quello di una certa stabilità tra i blocchi, il blocco progressista o delle sinistre e il blocco conservatore o reazionario, con un incremento spettacolare dell’estrema destra.
Garzon sottolinea che nell’ultimo periodo si è riscontrata una offensiva “brutale” contro Unidas Podemos, Izquierda Unida e Pablo Iglesias per ridurne l’influenza politica in una fase nella quale si potranno disporre di risorse ingenti, frutto di una battaglia importante condotta a livello europeo (75 miliardi di euro). La sinistra è sotto attacco perché parla di “riforma delle pensioni e riforma del lavoro, vogliamo parlare di modernizzazione del Paese e abbiamo un’agenda politica che si focalizza sulla struttura del potere e della ricchezza”.
La sinistra radicale, anche con qualche mutamento di equilibri all’interno, cerca di fronteggiare questo attacco da parte di settori importanti dell’oligarchia spagnola e di far pesare il suo ruolo nelle istituzioni e nella società.
- https://www.mundoobrero.es/pl.php?id=10516.[↩]