Loredana Fraleone*
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica…..”. Così recita l’articolo 9 della Costituzione in un contesto, in cui altri articoli come il 33, “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento……” disegnano una società improntata sulla libertà di funzioni che non avrebbero dovuto essere limitate da interessi parziali.
Uno sguardo lungo quello dei Costituenti, specialmente dei comunisti, preoccupati di proteggere il pubblico dall’invadenza del mercato, che orienta ormai le scelte dei consumatori, su cosa, quanto e come consumare, per accumulare il massimo dei profitti.
In un recente bell’articolo su “Il Fatto Quotidiano”, Barbara Spinelli ha posto l’accento di come la ricerca in campo farmaceutico sia fortemente condizionata dagli interessi delle case farmaceutiche.
Ci dobbiamo chiedere infatti, in un contesto drammatico dovuto alla pandemia da corona-virus, se la ricerca in campo farmaceutico, si dispieghi in tutte le sue potenzialità o sia limitata da interessi, come quelli del mercato, che non coincidono con quello delle persone.
A chi come noi sostiene il primato del pubblico, per garantire diritti fondamentali e universali, è stata rivolta spesso l’accusa di giudicare la realtà da un punto di vista ideologico, cioè astratto, ma “i fatti hanno la testa dura” e quando colpiscono la condizione materiale delle persone, tanto più se tutti se ne sentono minacciati, diventano convincenti.
Pfizer una delle più importanti multinazionali statunitensi dell’industria farmaceutica ha dirottato i propri ingenti investimenti dalla ricerca su Alzheimer e Parkinson, che non è risultata conveniente, su filoni più sicuri per i propri profitti. Sulla base di questo e altri esempi del genere, alcuni studiosi ritengono che l’efficacia della ricerca si sia fortemente ridotta da alcuni anni.
Naturalmente l’esempio delle multinazionali rispetto al settore dei farmaci è più toccante di altri e ci preoccupa molto di più del fatto che un po’ in tutti i settori vi siano queste difficoltà.
Dovute, come dicono i dati, ad una generale riduzione degli investimenti, in particolare nella ricerca pubblica e specialmente in quella di base non finalizzata ad un’applicazione immediata.
In Italia per la ricerca in generale si spende l’1,34% rispetto al PIL, a fronte della media europea del 2%, ma quella pubblica è allo 0,5%, a fronte di quella tedesca all’1% del PIL.
Nonostante ciò la ricerca pubblica in Italia produce risultati importanti, come si è visto recentemente a proposito dell’isolamento del corona-virus da parte di ricercatrici “precarie” dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani, che hanno ricevuto una riconoscente quanto effimera attenzione per una attività sottovalutata e sottopagata.
La ricerca è sempre stata una molla fondamentale per lo sviluppo dell’umanità, ma una società che mette al primo posto il profitto ne limita le potenzialità, perché mortifica l’attività finalizzata al bene collettivo ed emargina quella ricerca di base, indispensabile per dispiegare fino in fondo curiosità e creatività, che senza uno scopo applicativo immediato hanno prodotto scoperte straordinarie, utili in seguito anche ad applicazioni pratiche.
Governi di centrodestra e di centrosinistra si sono esercitati nei tagli alla ricerca e in particolare a quella di base, destinando anche parte dei fondi pubblici all’innovazione delle imprese, a scapito dei nostri Enti di Ricerca. Non è necessario essere storici della scienza per sapere che la ricerca di base è la condizione per l’esistenza della ricerca applicata, del progresso scientifico e tecnologico.
Numerosi esempi si possono portare a sostegno di questa semplice verità da Pitagora ai nostri giorni, in cui sono stati assegnati premi Nobel, in campo biomedico, per scoperte apparentemente estranee a malattie e cure, che grazie invece a quelle ricerche hanno trovato risposte valide. Al momento è necessario trovare cure per il virus che sta mettendo in ginocchio il mondo globalizzato, ma sostenere la ricerca pubblica e quella di base può consentire di individuare l’origine di epidemie sempre più frequenti. Vaccini e cure per il corona-virus saranno trovati, rappresentando ora un gigantesco affare per chi sarà in grado di produrli, ma come si è visto nell’ultimo ventennio di virus nuovi ne nascono sempre più frequentemente. Bisognerebbe allora investire nella prevenzione, in quella salute del cittadino che era il faro della riforma, che istituì il Sistema Sanitario Nazionale, stravolto in seguito dall’istituzione delle “Aziende” Sanitarie locali, rispondenti a logiche di mercato. “Prevenire è meglio che curare” era lo slogan di un tempo, ma la prevenzione non produce la necessità di farmaci in mano ormai a multinazionali che decidono anche cosa curare e cosa no in base ai loro profitti. Invertire tendenze che rispondono agli interessi delle multinazionali non è facile, ma molto dipende da una consapevolezza diffusa che quegli interessi non coincidono con quelli dell’umanità.
*Responsabile Scuola Università Ricerca PRC/SE