di Antonello Patta – A sette anni dalla controriforma Fornero sulle pensioni appaiono dispiegati gli effetti devastanti di quello che già allora definimmo come “la legge più violenta e antipopolare contro le condizioni di vita delle persone tra quelle approvate dal dopo guerra ad oggi”.
Una vera e propria bomba sociale che in nome dell’austerità neoliberista e con la falsa motivazione della non sostenibilità del sistema ha inferto un colpo durissimo alla previdenza pubblica per fare cassa, favorire i fondi privati e arricchire la speculazione finanziaria.
Ha perseguito con scientifica ferocia due obiettivi dichiarati; in primo luogo l’allungamento della vita lavorativa e l’allontanamento progressivo dell’età pensionabile aumentando nel tempo gli anni necessari al pensionamento sia di tipo anticipato che di vecchiaia per arrivare a 70 anni e oltre per tutti. Oggi l’età minima è stabilita a 67 anni, essendo aumentata di 7 anni, quanti ne sono trascorsi dal varo della legge; così l’Italia è il secondo paese europeo dopo la Grecia in cui si va in pensione in età più avanzata.
In secondo luogo la controriforma ha operato per la progressiva riduzione degli assegni pensionistici.
L’aspetto più odioso e classista della legge è l’accanimento contro le fasce più deboli della popolazione mentre si avvantaggiano i redditi più alti; ad essere discriminati come si vede da alcune delle misure previste sono anche, in modo particolare, i giovani e le donne.
Il sistema contributivo fa sì che l’assegno pensionistico venga ridotto fortemente nel tempo in quanto non più commisurato né all’obiettivo di una vecchiaia dignitosa, come vorrebbe la Costituzione, né agli anni di lavoro prestati, ma al montante di contributi versati: a essere colpiti sono ancora una volta quelli che già hanno pagato con una vita di salari bassi, lavori precari e discontinui. Non basta. La legge fa dipendere l’assegno pensionistico non solo dai contributi versati ma anche dal numero di anni che restano da vivere in base all’aspettativa di vita media presunta, senza tener conto del fatto che la durata della vita dipende dalla qualità della vita e del lavoro fatti. I coefficienti cui moltiplicare il monte contributi per calcolare l’assegno della pensione infatti aumentano con l’aumentare dell’età in modo da incoraggiare l’andata in pensione più tardi (tra i 57 e i 70 anni il coefficiente aumenta ben del 150 per cento).
Lo stesso carattere discriminatorio hanno le misure che accompagnano la possibilità di accedere alla pensione con 20 anni di contributi che teoricamente resta, ma con l’obbligo che i contributi versati diano una pensione pari a 1,5 o 2,8 (rispettivamente per pensioni di vecchiaia e pensioni anticipate) stabilendo di fatto un privilegio per i redditi più alti (gli unici in grado di rispettare i due criteri insieme) rispetto a quelli più poveri e spingendo dunque questi ultimi a lavorare più a lungo. Una norma particolarmente punitiva verso le donne il cui salario medio è in Italia così basso che la maggioranza di loro, le operaie in particolare, quel requisito non lo raggiungono neppure con 40 anni di contributi. Ma riguarda anche i circa 13 milioni di lavoratori dipendenti che dichiarano un reddito tra 12 e 15 mila euro e tutte quelle categorie che hanno aliquote contributive molto inferiori a quelle dei dipendenti. Per tutti questi lavoratori sarà difficile andare in pensione a 67 anni, e spesso potranno farlo solo molto dopo i 70 anni.
Oggi a sette anni dall’ introduzione della controriforma i dati del rapporto dell’osservatorio dell’Inps 2019 ci restituiscono un quadro delle pensioni in Italia che racconta più di qualsiasi discorso la devastazione sociale prodotta: l’importo medio delle pensioni di vecchiaia è di 1.196 lordi euro per gli uomini e di circa, la metà per le donne; 12,6 milioni di pensioni sono sotto i mille euro; 10 milioni sotto i 750 euro, e di queste circa 4,5 milioni costituiscono per chi la riceve l’unica pensione e così bassa da richiedere forme di integrazione assistenziale; le pensioni sociali sono aumentate continuamente fino ad oltre i 4,5 milioni attuali.
L’altro dato altrettanto drammatico ce lo fornisce l’Istat con i dati che testimoniano gli effetti sull’occupazione di quella scelta scellerata nel contesto di una crisi occupazionale che colpisce soprattutto i giovani: nel 2012 gli occupati ultracinquantenni erano 3 milioni e 417 mila, a fine 2018 erano aumentati a 5 milioni e 200 mila; gli occupati tra 15 e 55 anni sono diminuiti di oltre 1 milione e 500mila unità, in maggioranza nella fascia d’età 15- 35 anni.
Il Conte 2 che si era presentato al paese come il governo del cambiamento e così è stato vissuto dai molti che anche a sinistra gli hanno dato credito, in realtà mantiene in vita le scelte antipopolari dei governi precedenti con politiche fiscali che favoriscono profitti e rendite. nel rispetto dei vincoli di bilancio imposti dai trattati europei.
Dalle scelte già annunciate risulta infatti risulta confermata la continuità della linea perseguita dai governi succedutisi da quello Monti-Fornero in poi. Resta di fatto il ricorso alle pensione come bancomat da cui drenare risorse per far quadrare i conti; non si ripristina la rivalutazione delle pensioni per assegni sopra i 2 mila euro lordi , tranne che per quelle fra tre e quattro volte il minimo che hanno ricevuto l’insulto di 44 centesimi al mese di aumento.
“Quota 100” ( che non è un regalo in quanto l’assegno pensionistico è commisurato ai contributi versati), di fronte alle spinte di chi dentro il governo vorrebbe cancellarla o modificarla in peggio, potrebbe resistere solo per la paura di perdere consensi elettorali. Appare chiaro che decadrà alla scadenza prevista per il 2021.
La cosiddetta pensione “di garanzia” per i giovani è per ora una proposta allo stato di bozze di discussione, che non vedrà alcuna attuazione in questa legge di bilancio, ma appare già chiaro che non interverrà strutturalmente sui vuoti contributivi dovuti ai lavori precari e discontinui e ai periodi spesi in formazione, ma, nella migliore delle ipotesi solo sulla possibilità di cumulare a una pensione insufficiente assegni di tipo sociale.
“Opzione donna” sembra che verrà prorogata, ma mantenendo le forti criticità originarie: calcolo dell’importo interamente col metodo contributivo, nessun intervento sulla difficoltà per le donne di cumulare 35 anni di contributi a causa degli anni della vita trascorsi in lavori di cura, una forte decurtazione dell’assegno pensionistico (25-35%), attesa di 12 mesi prima di ricevere l’assegno.
Appare del tutto evidente che non c’è nessuna volontà di invertire la tendenza neoliberista affermatasi negli ultimi vent’anni che ha prodotto un attacco massiccio alle conquiste storiche del mondo del lavoro in tema di diritti, aumento del salario diretto , indiretto e differito per migliori condizioni durante tutto l’arco della vita, liberazione di tempo dal lavoro per la cura degli affetti, la formazione, lo svago e la creatività, un sistema pubblico di protezione sociale per tutti:
È dall’interiorizzazione profonda delle idee e della mitologia neoliberista che discende la mancanza di un progetto riformatore complessivo capace di dare risposte in avanti alle tante sofferenze, ingiustizie e abissali disuguaglianze prodotte negli ultimi 30 anni.
Non si danno risposte alle giovani generazioni che per un verso entrano in ritardo e a fatica nel mondo del lavoro, dall’altro sono obbligati a rapporti lavorativi precari, discontinui con bassi salari e quindi avranno una copertura pensionistica del tutto insufficiente. Resta confermata per le future generazioni la miope scelta di fondo di ridurre la quota di reddito destinata alle pensioni, che si prevedono in discesa da circa il 45% attuale del salario medio a circa il 30 per cento entro i prossimi 15 anni.
Non si danno risposte alle donne che a causa dei salari ridotti e delle carriere lavorative discontinue e del non riconoscimento a fini pensionistici del lavoro riproduttivo e di cura stentano a raggiungere l’età della pensione e ricevono assegni più bassi degli uomini. Secondo gli ultimi dati dell’Inps sono per le donne il 75 per cento degli assegni sotto i 750 euro.
La motivazione relativa alla presunta insostenibilità del sistema pensionistico non valeva ai tempi della Fornero e non vale oggi. Non è vero che il sistema non regge: il rapporto tra spesa pensionistica e Pil continua a essere in calo nonostante i bassissimi livelli di crescita e anche il rapporto tra contributi versati e pensioni pagate al netto dell’assistenza e delle tasse (più pesanti che nel resto d’Europa) e che rientrano allo stato continua a essere in attivo.
Si è palesata la menzogna che riducendo i “privilegi” dei vecchi si sarebbero favoriti i giovani: le pensioni in essere sono sempre più povere, è peggiorata la situazione dei lavoratori più prossimi alla pensione, ma ancora più pesantemente sono state modificate le prospettive previdenziali per le giovani generazioni.
I problemi veri anche per il sistema previdenziale sono la disoccupazione, i lavori precari discontinui, i part time obbligati, i bassi salari, paghe minime orarie intollerabili pur in presenza di contratti “regolari”, l’enorme mole del lavoro schiavile non dichiarato nell’economia sommersa.
Occorre ed è possibile una svolta. La Sinistra alternativa ai poli che hanno governato in questi anni ha il dovere di unire su contenuti antiliberisti tutte le forze sociali, e sindacali e i soggetti colpiti dalla devastazione prodotta dalle elites politiche, economiche e finanziarie europee in un grande movimento di lotta per il cambiamento.
Sarebbe necessaria una risposta europea perché tale è la dimensione dell’attacco. Intanto facciamo come in Francia dove i lavoratori sono in lotta e preparano un grande sciopero generale per il 5 dicembre contro i tentativi di Macron di smantellare il sistema previdenziale frutto di tanti anni di lotte su una linea simile a quella che si è affermata in Italia con la Fornero.
In previsione di una piattaforma più larga in grado di unificare tutti i soggetti sociali divisi dall’offensiva neoliberista e i movimenti che già lottano su vari terreni, provo a indicare alcuni dei punti che dovrebbero comporre una proposta più completa in tema di pensioni che accompagni la lotta per l’abolizione della legge Fornero:
- diritto alla pensione per tutti con 62 anni di età indipendentemente dalla data di inizio della vita lavorativa con almeno 5 anni di contributi versati
diritto alla pensione con 40 anni di contributi versati indipendentemente dall’età anagrafica; - eliminazione del meccanismo che collega l’assegno pensionistico all’aumento dell’aspettativa di vita;
- introduzione, come ad esempio in Germania, ai fini del calcolo degli anni per maturare il diritto alla pensione di contributi figurativi per i periodi di cura dei figli fino a 10 anni di età e delle persone non autosufficienti, di disoccupazione, di incapacità di lavoro, di istruzione superiore e universitaria a partire dai 17 anni; e per le donne ulteriori tre anni di contribuzione aggiuntivi per ogni figlio.
Vanno inoltre previsti interventi particolari con annualità di vantaggio per cause di invalidità sul lavoro e lavori usuranti.
Aumentare
le pensioni previdenziali basse, riducendo il prelievo fiscale,
ripristinando la rivalutazione completa delle pensioni fino 5 mila euro
lordi, e portando quelle assistenziali sopra il livello di povertà
relativa.
In risposta al problema
dell’equilibrio del sistema proponiamo di scorporare dal bilancio
dell’Inps tutti i costi relativi agli interventi assistenziali e
restituire allo stesso ente le tasse che i lavoratori pagano sulla
pensione ricevuta.
Non si continui a
dire che non ci sono le risorse, come predica da anni l’ideologia
della scarsità, purtroppo penetrata profondamente nel corpi sociali
colpiti dalla crisi. Si possono e si devono recuperare molti miliardi
per politiche sociali attraverso: il ripristino della progressività
fiscale prevista dalla costituzione, una vera lotta a tutta l’evasione
fiscale, una tassa sui grandi patrimoni (sopra 800 mila euro), tagli
alle spese militari e a quelle per grandi opere inutili e dannose.