articoli

Non è il tempo dell’Antropocene

di Paolo
Cacciari

Il 4 marzo 2024, la Subcommission on Quarternary Stratigraphy, della International Commission on Stratigraphy (ICS) della London Society’s Stratigraphic Commission, custode della età cronogeologica del pianeta, ha respinto (12 membri contrari su 18) la proposta di riconoscere l’inizio di una nuova unità temporale (un’epoca post-Olocene, “del tutto recente”, iniziata 11.700 anni fa, al termine dell’ultimo periodo glaciale) nella scala del tempo della Terra. Secondo gli autorevoli scienziati non ci sono marcatori stratigrafici sufficienti – chiamati golden spike, “chiodi d’oro” –  rinvenibili nei depositi geologici per stabilire l’inizio di una modificazione persistente della morfologia del pianeta, rilevabile in diversi punti della Terra, di origine chiaramente antropogenica.

Paul Jozef Crutzen non sarebbe contento. Il simpatico chimico dell’atmosfera olandese, premio Nobel per il lavoro sul buco dell’ozono, ci ha lasciati il 28 gennaio del 2021 dopo aver speso molte energie per sostenere la causa del riconoscimento di un nuova epoca geologica che chiamò col neologismo di Antropocene1. Raccontano le cronache che nel 2000, durante una conferenza sul cambiamento climatico globale a Cuernavaca, in Messico, non riuscì a trattenersi: «“Smettiamola di usare la parola Olocene. Non siamo più nell’Olocene!”. All’inizio vi fu un silenzio attonito, in seguito, durante il coffee break, il termine Antropocene cominciò a circolare, diffondendosi prima nei circoli professionali e poi, nell’ultimo decennio fra un pubblico più vasto, fino ad entrare in ogni ambito, dalla sociologia all’arte» (Sachs, 2022).

In un articolo su Nature, l’anno successivo, Crutzen provò ad elencare i modi in cui le attività umane avevano cambiato i connotati della Terra. Tra questi: una crescita decuplicata della popolazione umana in tre secoli; l’allevamento di di 1,4 miliardi di bovini; lo sfruttamento del 20-25% delle terre emerse; la distruzione delle foreste pluviali tropicali; lo sfruttamento di oltre la metà dell’acqua dolce accessibile; un calo del 25%-35% del pesce; un aumento di 16 volte maggiore del consumo energetico nel corso del XX secolo e il raddoppio delle emissioni di CO2; un uso raddoppiato dei fertilizzanti azotati; la crescente concentrazione in atmosfera di gas serra, ai massimi livelli rispetto agli ultimi quattrocentomila anni… (Cruzen, 2002). Ma nessuno di questi eventi sembrano ora avere le caratteristiche dei “chiodi d’oro” a cui appendere la vita del pianeta.

Come può essere che una definizione che ha avuto un così largo consenso tra gli scienziati della vita e un successo anche nella comunicazione mainstream venga ora bocciata?
In realtà, forse, allo stesso Crutzen non importava gran che delle dispute geocronologiche dei suoi colleghi geologici. Il suo intento era attirare l’attenzione dell’intera opinione pubblica sul fatto che le attività antropiche hanno cominciato ad avere effetti devastanti sugli assetti geo-bio-chimici della ecosfera che sorreggono la “rete della vita” (F. Capra). La presenza e il comportamento degli esseri umani sono diventati una forza geologica (al pari delle eruzioni vulcaniche, dei terremoti o di agenti cosmici) tale da influenzare direttamente e fuori da ogni possibilità di controllo i cicli vitali naturali della Terra.
Possiamo oggi tranquillamente dire che nonostante la ICS il messaggio lanciato da Crutzen è passato comunque. Definire Antropocene la nostra epoca serve a riconoscere l’enorme potere umano raggiunto attraverso gli strumenti tecnologici, denunciare i suoi effetti catastrofici e richiamare le nostre responsabilità. L’Antropocene è l’epoca dell’antropocentrismo,  dell’arroganza, della hybris, della presunzione del dominio sulla natura, della crisi ecologica, del boomerang, della “grande cecità” – per dirla con Amitav Ghosh – nei confronti delle relazioni obbliganti che gli esseri umani intrattengono con l’ecosfera. Secondo la geologa scrittrice di geoetica, Silvia Peppoloni, «l’Antropocene è l’epoca in cui la storia del pianeta e quella umana si intrecciano, ed è di fatto connotato da Homo sapiens, incontrastato dominatore della natura, modificatore incessante della sua nicchia ecologica secondo le sue necessità e il suo desiderio di soddisfare gli istinti di primato sui suoi simili» (Peppoloni, 2021).
Per Crutzen Antropocene significa la fine della (falsa) separazione tra storia naturale e storia umana ed invece il riconoscimento della interrelazione umano e non umano, tra tempi storici e tempi biologici. Antropocene è una chiamata alla responsabilità, ad un salto di qualità culturale, etico e politico, prima ancora che “scientifico”.

Per queste ragioni la proposta di Crutzen ha aperto un interessante dibattito tra storici, antropologi e scienziati di ogni disciplina su quando datare l’inizio della nuova epoca, il point-break, il momento esatto in cui l’Homo sapiens comincia ad agire come forza geologica e lascia tracce rilevanti e indelebili sulla Terra. Originariamente fu proposto che l’Antropocene iniziasse nella seconda parte del XVIII secolo, come prodotto dell’era industriale, consolidatasi poi con l’uso crescente dei combustibili fossili. Altri preferivano prendere a punto di riferimento la nascita del capitalismo in quanto tale, ribatezzando la nuova epoca Capitalocene (Moore, 2017). Datazione possibile: la prima globalizzazione tra la conquista delle Americhe e la loro colonizzazione, a cavallo tra il 1500 e il 1600.
Altri invece – in cerca di marcatori geologici più evidenti – proposero di prendere in considerazione il fall-out di radioisotopi come il plutonio provenienti dai test nucleari e dalle bombe all’idrogeno che hanno lasciato tracce sul suolo, nei sedimenti, negli alberi, nei coralli, ecc. A tale scopo fu scelto il picco di plutonio riscontrato nei sedimenti eccezionalmente chiari del lago Crawford in Ontario, Canada. Da qui la proposta  dello scienziato del clima Will Steffen di datare l’Antropocene a partire dal 1950, nel periodo della cosiddetta Grande Accelerazione dell’economia mondiale. Altri, come il geologo Bill Ruddiman, retrodatano la nascita di un’era dominata dagli esseri umani alcuni millenni fa quando la maggior parte delle foreste nelle regioni coltivabili fu tagliata per far posto all’agricoltura (Erle C. Ellis, 2004).

Si può quindi giungere a pensare di sovrapporre l’inizio dell’Antropocene alla prima fondamentale tappa della trasformazione globale dell’ambiente terrestre con l’inizio della “civiltà umana”: la rivoluzione agricola neolitica 10.000- 12.000 anni fa, dopo l’ultima deglaciazione, con la domesticazione di piante  e animali e la mutazione della specie umana da nomade a stanziale (J. Diamond). O, quantomeno, possiamo pensare l’inizio di ogni male dalla nascita del patriarcato e delle prime culture guerriere: 4.000-6.000 anni fa. Chiamiamolo Androcene (Donna Haraway).

Forse Crutzen non se lo aspettava, ma ha aperto un fantasioso e istruttivo gioco di società: il ceneismo (dal suffisso “cene”). Dove ognuno può scegliere a piacere dove piantare il proprio “chiodo d’oro” sulla stratografia della storia del pianeta, a seconda delle proprie visioni del mondo. Vediamo alcune giocate. Oltre al gettonatissimo a sinistra Capitalocene (Jason Moore) e il suo clone Arguriocene (dal greco ἀργύριoν – ricchezza)  (A. Porciello, 2022), ci sono: Chthulucene (Haraway, 2019), Econocene, Tecnocene, Eurocene, Anflocene, Wastecene (Armiero, ), Plasticocene (Preston, 2020), Pandemiocene, Homogenocecene, Plantatiocene (Collettivo epidemia, 2021). Finiamo con Tanatocene (Thanatos = morte) e con “cancresimo” di Guido Dalla Casa (ecologia profonda) secondo cui il cervello umano è un errore dell’evoluzione.

Insomma, l’Antropocene non è nemmeno cominciata (ufficialmente), ma sarà bene uscirne il prima possibile. Come? Inventandoci altri cenismi più attraenti, facendo ricorso all’eco teologo Thomas Berry (1978) che invocava un’ “era ecozoica”. Potremmo chiamarla Ecocene (Boff, 2017) o Biocene (Biocene Foundation). Ma la preferenza credo dovrebbe andare a Koinocene (coniata, credo, dall’antropologo culturale Adriano Favole): l’epoca dei beni comuni relazionali, dell’interdipendenza, delle interconnessioni interspecie, nella comunità ecologica. Oltre ogni separazione tra cultura e natura.

Paolo Cacciari

Riferimenti bibliografici

Marco Armiero e Maria Lorenza Chiesara, L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, la discarica globale Einaudi, 2021.
Leonard Boff, Un’etica delle Madre Terra, Castelvecchi, 2020.
C. Bonneuil, J.-B. Fressoz, La Terra, la storia e noi. L’evento Antropocene, trad. it. di A. Accattoli, A. Grechi, Istituto Enciclopedia Italiana, Roma 2019 (ed. or. L’événement anthropocène. La Terre, l’histoire et nous, Seuil, Paris 2013).
D. Chakrabarty, La sfida del cambiamento climatico. Globalizzazione e Antropocene, trad. it. di C. De Michele, Ombre Corte, Verona 2021 (ed. or. The Climate of History in a Planetary Age, The University of Chicago Press, Chicago 2021).
Collettivo epidemia, Riflessioni sul Plantationocene,  03/03/2021 Diario, Conversazione tra Gregg Mitman, Donna Haraway e Anna Tsing. https://www.collettivoepidemia.org/it/riflessioni-sul-plantationocene/.
Paul J. Crutzen and Eugene F. Stoember,  The “Antropocene”, «IGBP Newsletter», 41, maggio 2000, The Royal Awedish Academy of Sciences.
Paul J. Crutzen, Geology of Mankind, Nature, vol.415, n. 3, 3

gennaio, 2002.
Paul J. Crutzen, Benvenuti nell’Antropocene. L’uomo ha cmabiato il clima, in (a cura di) A.Parlangeli, La terra entra in una nuova era, Mondadori, 2005.
Santa De Siena, Ecocene, Orthotes, 2019.
Erle C. Ellis, L’Antropocene non è un’epoca, ma l’era umana è senza dubbio in corso, di Erle C. Ellis/The Conversation Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. http://www.lescienze.it/.
Erle C. Ellis, Antropocene. Esiste un futuro per la Terra dell’uomo?, trad. it. di C. Turrini, a cura di G. Bologna, Giunti,  2020 (ed. or. Anthropocene. A Very Short Introduction, Oxford University Press, Oxford 2018).
Alessio Giacometti, Come abbiamo creato l’antropocene, in Il pianeta umano, Einaudi, 2019.
Amitav Ghosh, La Grande Cecità. Il Cambiamento Climatico e l’impensabile, Beat, 2019.
Donna Haraway, Anthropocene, Capitalocene, Plantationocene, Chthulucene, «Environmental Humanities» 6, n. 1, 2015.
Donna Haraway,  Chthulucene. Sopravvivere in un pianeta infetto,(trad. Claudia Durastanti e Clara Cicconi), Produzioni Nero, 2019, Tit. Or.Staying with the trouble, 2016.
S.L. Lewis, M.A. Maslin, Il pianeta umano. Come abbiamo creato l’Antropocene, trad. it. di S. Frediani, Einaudi, 2019 (ed. or. The Human Planet. How We Created the Anthropocene, Penguin Books, London 2018).
Jason W. Moore, Antropocene o capitolocene? Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria, a cura di A. Barbero, E. Leonardi,  Ombre Corte, 2017.
G. Pellegrino, M. Di Paola, Nell’Antropocene. Etica e politica alla fine di un mondo, DeriveApprodi, Roma 2018.
Silvia Peppoloni, Riscoprire il senso dell’umano: Antropocene e tutti gli altri “ceneismi”, Storie di Gea, 1 Marzo 2021.
Silvia Peppoloni, Geoetica, Donzelli, 2020.
T. Pievani, M. Varotto, Viaggio nell’Italia dell’Antropocene. La geografia visionaria del nostro futuro, Aboca, Sansepolcro 2021.
Andrea Porciello, Filosofia dell’ambiente. Ontologia, etica, diritto,  Carocci, 2022.
Christofer Preston, L’era sintetica, Einaudi 2019.
Wolfgang Sachs, Fratelli tutti nell’ombra dell’Antropocene, Vita e Pensiero n. 2/2022.
Mario Salomone, Dall’Antropocene al Biocene. La sindrome di Phileas Fogg e i suoi antidoti, Scholé, Brescia 2012.
Carles Soriano,  Antropocene, Capitalocene e altri “-cene”: perché una corretta comprensione della teoria del valore di Marx è necessaria per uscire dalla crisi planetaria,  4 Dicembre 2022 Sito www.antropocene.org.
Jean Zalasiewicz, The Anthropocene as a Geological Time Unit, Cambridge University Press, 2019.

  1. In realtà, prima di Krutzen altri scienziati si erano avvicinati al concetto. Antonio Stoppani, un abate geologo, autore de Il bel paese (1876) scrisse di un’era antropozoica, con l’uomo forza tellurica che si impone alla natura. Poi il termine Antropocene fu usato da Aleksei Petrovich Pavlov, geologo dell’URSS nel 1922. Infine da Eugene Stoermer, biologo marino americano, negli anni ‘80 del Novecento.[]
Articolo precedente
Verità per il Gambia e per il mondo: a processo a Bellinzona l’ex ministro Ousman Sonko, accusato di crimini contro l’umanità
Articolo successivo
Regolare l’Intelligenza Artificiale o liberare l’intelligenza sociale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.