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Non è di maggio

di Giorgio
Bona

Recensione di “Non è di maggio” di Luigi Romolo Carrino, edizioni Arkadia 2021 – 

È a Procida, la Procida di Elsa Morante celebrata con “l’isola di Arturo”, che Luigi Romolo Carrino, scrittore partenopeo, ambienta il suo nuovo romanzo “Non è di maggio”.

Altra opera di questo autore che si presenta con una scrittura vibrante, diretta nell’esprimere emozioni, sensazioni, rapportandosi con sentimenti intensi e profondi con il mondo.

E questo lo fa mettendo tutto se stesso, come si dice quando un autore dà interamente anima e corpo senza risparmiare nulla.

Con “Non è di maggio” ambientato negli anni successivi alla seconda guerra, Luigi Romolo Carrino opera ancora una volta la scelta di dar voce alla sua terra e innalzarla a quell’alto valore letterario di cui è degna.

Per cui niente di meglio se, fin dalle premesse, la dedica a Elsa Morante è evidente.

Il perno intorno al quale ruota la macchina narrativa è un amore impossibile, dove Angela, figlia di una blasonata famiglia partenopea, viene ripudiata dal padre in quanto innamorata di Salvo, un contadino dai sentimenti nobili e sinceri.

La fuga a Procida di Angela è un dramma, perché il sangue nobile non può mischiarsi a quello popolare e contadino, tanto che i genitori decidono di separare la madre dal figlio dopo che il destino avverso stronca la vita di Salvo prima del tempo.

Il piccolo viene strappato alla madre e viene affidato a una coppia di coniugi aristocratici sterili con la complicità di Rosina, la domestica muta, la janara dalla conoscenza e i poteri temuti da tutta l’isola.

Eppure la nascita inattesa di due gemelli sconvolge i piani e la strega decide di nascondere al mondo il secondo genito. Sarà la stessa Rosina ad allevarlo con l’amore che non ha avuto modo di donare ai figli e al marito dopo che il mare li ha portati via per sempre.

L’amore è la sua deficienza. Deficienza come assenza. Deficienza implica una mancanza. Ecco, una mancanza perché l’amore è così, senza cuore, un morso che lascia la carne a brandelli.

A differenza della narrativa di evasione, Luigi Romolo Carrino ha scritto un romanzo di grande impegno che ha risonanza nel cuore malato della nostra vita.

La lingua ha una straordinaria universalità, quella contaminazione con il dialetto ne eleva un valore letterario già altissimo perché, se la lingua è potere e se trasforma la società, questa simbiosi  non ci tocca soltanto le corde ma crea una dipendenza con la bellezza delle cose.

È in queste espressioni dove proprio la lingua si innalza a grande letteratura, pur restando con i piedi ben saldi a terra, mi pare di scorgere un omaggio a un’altra grande scrittrice del 900 italiano. Dopo il tributo a Elsa Morante mi riferisco a Anna Maria Ortese nella rappresentazione delle donne presenti nel romanzo. È  evidente quando l’autore mette in risalto la figura di Angela, porgendo ai lettori l’immagine di un dolore piegato dentro che non lascia spazio al rancore, all’odio, al livore. Un dolore puro, un pianto arcaico, un vuoto immenso.

È la sua grande abilità nel costruire personaggi, persino quando hanno una funzione palesemente negativa, adattando a ognuno di loro una lingua appropriata che serve a renderli ancora più veri.

Un libro complesso, ben riuscito, dove l’autore ha dato tutto se stesso riversando sulla pagina sentimenti e sensazioni, dove il dolore profondo è più forte dell’amore, dove il linguaggio non è soltanto tecnica ma fonte dell’anima, perché la ricerca della parola, come ci insegna Gyorgy Lukaks nel suo “Il marxismo e la critica letteraria” è l’appassionato studio della sostanza umana e rientra nell’essenza di ogni letteratura e di ogni arte vera.

Luigi Romolo Carrino ha slanci di prosa altissima in cui dà anima alla centralità degli spazi e dei corpi. Tracce di vita che giocano sul cuore e sulla memoria: scelte sofferte, vissuti complessi dove lo struggimento dell’abbandono e l’incomunicabilità sono nelle viscere di questa storia che ne butta fuori schizzi acidi pagina dopo pagina, anche se, l’autore medesimo, è grande traduttore di emozioni e ogni avvenimento viene sviscerato più dall’interno che dall’esterno.

La bellezza di questo libro sta nella sua forza perché in ogni riga la parola si dispiega lungamente, richiama particolari che si rivelano indispensabili, un fluire di eventi che diventa materia e anima.

 

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