Il primo ministro Benjamin Netanyahu può e deve essere incriminato per crimini contro l’umanità, per crimini di guerra e crimini di apartheid commessi contro il popolo palestinese.
Chi ha titolo ed obbligo per farlo è la Corte Penale Internazionale con sede a L’Aja.
Le competenze della Corte Penale Internazionale riguardano tre materie, presenti fino dall’inizio nel suo Statuto: crimini contro l’umanità, crimini di guerra e il crimine di genocidio. Lo statuto della Corte e le relative Convenzioni danno di questi crimini la definizione giuridica e riportano in elenco le fattispecie di reato.
Nel 2020, dopo la ratifica dei cosiddetti protocolli di Kampala, le prerogative della Corte sono state estese al crimine di invasione, che ha richiesto una trattativa particolarmente laboriosa per proteggere quegli stati che, per un motivo o per l’altro, intendevano sottrarsi all’azione giurisprudenziale della Corte Penale Internazionale: Russia, USA, Cina e Israele, in primo luogo.
Al margine di sicurezza garantito per loro dai protocolli di Kampala – che escludono la perseguibilità di stati che non siano Stati Parte dello Statuto di Roma – si è aggiunta la clausola di massima sicurezza che prevede che qualsiasi procedimento in questo campo possa essere bloccato in mancanza dell’approvazione unanime del Consiglio di Sicurezza dove vale il diritto di veto di Cina, Russia e Stati Uniti.
Il crimine di apartheid riconosciuto nel 1973 dall’Assemblea Generale delle nazioni Unite è contemplato da una specifica Convenzione Internazionale entrata in vigore nel 1976. Anche il crimine di apartheid afferisce alla CPI a norma dell’art. V dello Statuto della Convenzione.
La Corte Penale Internazionale (CPI) è stata istituita nel 1998[1], ratificata nel 2002 con la promulgazione dello Statuto di Roma ed ha emesso la sua prima sentenza nel 2012. L’articolo 6) del suo statuto definisce il crimine di genocidio, l’articolo 7) elenca i crimini di guerra e l’articolo 8) i crimini contro l’umanità
Le competenze
La sua prima stagione, fino al 2016, è stata macchiata dal pregiudizio razziale. Fino al 2016 su trentuno imputati a vario titolo di crimini di guerra e contro l’umanità, trentuno erano africani dell’Africa Subsahariana: questo atteggiamento discriminatorio aveva spinto alcuni paesi africani, tra cui il Sudafrica, a minacciare ritirare la propria adesione alla Corte Penale Internazionale, aggiungendosi a quegli stati che non l’hanno né sottoscritta né ratificata, come la Cina e quelli che dopo averla inizialmente sottoscritta se ne sono poi definitivamente ritirati: USA, Russia e Israele.
Questo fatto ci aiuterà a capire perché – se la CPI ha emesso mandato di cattura internazionale contro il presidente Putin nonostante la Russia non aderisca allo Statuto di Roma – la stessa cosa può fare nei confronti del presidente Netanyahu nonostante Israele non aderisca allo Statuto di Roma; ed è veramente stupefacente sentire il procuratore capo Karim Khan[2], che ha firmato il mandato di cattura contro Putin, escludere nella maniera più tassativa che le autorità israeliane corrano il medesimo rischio; e anche solo quello di essere indagate.
Nel 2009 la CPI respinse la richiesta dello Stato di Palestina[3] di indagare sui crimini commessi a Gaza da Israele durante l’operazione Piombo Fuso, 22 giorni di devastazione tra 2008 e 2009. Nel 2014 identica richiesta fu sottoposta dallo Stato di Palestina alla CPI e ha dato il via a un lungo iter conclusosi nel 2021 solo alla fine del quale si è accolta la richiesta di apertura d’indagine. Nelle more si sono succedute le reazioni dei paesi occidentali contro quell’apertura, letteralmente furiose quelle di Israele, del governo tedesco, di quello americano e di quello canadese. Solo a partire da quella decisione – e dunque dal 5 febbraio 2021- il Procuratore può indagare su ogni condotta – da chiunque posta in essere – che possa costituire un crimine secondo lo Statuto di Roma, a partire dal 13 giugno 2014 (data indicata nel referral palestinese) e senza limiti di tempo, posta in essere sul Territorio Palestinese occupato secondo le linee del 1967, corrispondente a Gaza, alla Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Nel frattempo procedevano a spron battuto le indagini contro negri e russi.
Due pesi e due misure del giudice Khan
La seconda fase della Corte Penale Internazionale è stata caratterizzata dal doppiopesismo programmatico del giudice Khan che è entrato in funzione nel marzo 2021 dopo una lunga fase di aperta ostilità degli Stati Uniti nei confronti della CPI e del precedente procuratore generale, la giurista gambiana Fatou Bensouda – inclusa al solito l’imposizione di pesanti sanzioni contro il procuratore generale, i suoi collaboratori, i famigliari e chiunque intrattenesse rapporti con la Corte[4].
Appena entrato in funzione, nell’agosto 2021, il procuratore generale Khan fece sapere che chiudeva con un non luogo a procedere l’indagine per crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Afghanistan dalle truppe occupanti, indagini che andavano avanti da anni e che – a detta dello stesso procuratore – avevano prodotto una quantità considerevole di materiali probatori – stiamo parlando di stupri, di esecuzioni sommarie, di esecuzione di prigionieri, di rendition, di torture, di punizioni collettive, di deportazione, di stragi, etc. La motivazione data dall’ineffabile Khan fu che non c’erano abbastanza soldi per proseguire quell’indagine, mentre si poteva continuare quella sui crimini commessi dai talebani, che evidentemente costava meno.
Ristabilito in quel modo un buon rapporto con il governo americano, il giudice Khan mostrò la sua solerzia allo scoppio della guerra in Ucraina, dove i soldi si materializzarono in grande quantità e già nel 2022 c’erano in Ucraina oltre cinquanta esperti della CPI impegnati ad indagare sui crimini dei russi. Khan spiegò che oltre quaranta governi, la maggior parte dei quali inviavano armi all’Ucraina, avevano finanziato quell’indagine, il che indurrebbe a pensare che, se c’è una tariffa, forse pagando di più si possono ottenere sentenze generose[5].
Nel marzo 2023 sono arrivati i mandati d’arresto per il presidente Vladimir Vladimirovich Putin e per Maria Alekseyevna Lvova-Belova, Commissario per i diritti dei bambini presso l’Ufficio del Presidente della Federazione Russa[6], ma per via dei meccanismi farraginosi che regolano la Convenzione sui crimini d’invasione non si è usata quella fattispecie di reato, ma quella di un crimine contro l’umanità, il rapimento di bambini.
Le norme procedurali della CPI fanno sì che un mandato di arresto internazionale sia già una condanna. Infatti il procedimento a carico di Putin, e il suo diritto a difesa, non può iniziare fino a quando l’imputato non sia effettivamente arrestato. E ad arrestarlo può provvedere chiunque, anche coloro che si sono guardati bene dall’aderire al trattato di Roma, ad esempio Israele e Stati Uniti.
È una procedura indegna, ma comunque se è andata bene fin qui per i negri e per i russi, può andar bene anche per Netanyahu.
Per i crimini da imputare a Netanyahu c’è solo l’imbarazzo della scelta. Se il crimine di apartheid non gli può essere imputato dalla CPI nei confronti dei palestinesi cittadini di Israele – la Convenzione infatti dice che non possa essere perseguito per apartheid nei confronti dei propri cittadini uno stato non firmatario come Israele– per quel crimine Netanyahu può essere tuttavia perseguito avendolo reiterato nei confronti dei palestinesi dei territori occupati, che non sono cittadini israeliani ma di cui Israele, potenza occupante, è integralmente responsabile. La responsabilità di Netanyahu e dei membri del suo governo è legata al fatto di avere promosso, con atti giuridici, e tutelato con la propria forza armata, una politica di apartheid nei Territori Occupati.
Lo stesso vale per uno dei crimini contro l’umanità considerato tra i più gravi, lo stabilimento di colonie nei territori occupati anch’esso promosso e garantito da atti legislativi del governo israeliano e tutelato dalla sua forza armata e da milizie civili armate, altro gravissimo crimine in sé.
Quanto a Gaza, il procuratore non ha che l’imbarazzo della scelta, se occuparsi di bombardamenti a tappeto, distruzione di ospedali e scuole, o di strage di giornalisti e addetti all’informazione.
La satrapia della giustizia
Nelle scorse settimane il procuratore Khan si è recato in Israele dove ha incontrato le autorità di quel paese. Ha visitato i kibbutz attaccati da Hamas, ma non Gaza. Ha agito come portavoce del governo israeliano chiedendo l’immediato rilascio di tutti gli ostaggi “presi da Hamas e da altre organizzazioni terroristiche” e rassicurando i suoi interlocutori e mentori che i crimini di Hamas saranno puniti. Quanto alla situazione di Gaza, si è limitato a dire che è intrinsecamente complessa, ma il diritto umanitario internazionale “deve essere applicato e l’esercito israeliano conosce la legge che deve essere applicata”.
Lasciando Israele e la Palestina, oltre a rassicurare le autorità israeliane circa la loro permanente immunità, Khan ha promesso che indagherà sui crimini commessi da Hamas: un impegno concreto e verificabile; e che i crimini dei coloni non resteranno impuniti: in questo caso poco più di un auspicio, senza alcun impegno.
Che i crimini a volerli cercare ci sono e si trovano lo sanno tutti. E non solo quelli che si vogliono attribuire ad Hamas come crimini contro l’umanità; ma anche il crimine di apartheid che da settantacinque anni si perpetua contro i palestinesi con cittadinanza israeliana; i crimini di apartheid e contro l’umanità che da cinquantacinque anni lo stato israeliano, il suo esercito, i coloni e le forze collaborazioniste perpetrano contro i palestinesi dei territori occupati della Cisgiordania che per volontà di Israele e della comunità occidentale sono ridotti al rango di apolidi; i crimini contro l’umanità, di guerra e d’invasione commessi dallo stato israeliano nei confronti dei cittadini palestinesi di Gaza, reiteratamente nel quadro di un assedio che va avanti dal 2005 che ha semplicemente imposto sotto altra forma l’occupazione del territorio e le responsabilità che da ciò derivano e da cui Israele vuole in ogni caso sfuggire.
Sfuggire alle proprie responsabilità è la linea difensiva del governo israeliano e dei suoi sostenitori ed è per questo motivo che non ha sottoscritto e non ha ratificato il Trattato di Roma e ha chiesto a Khan rassicurazioni in merito.
Perché i crimini ci sono, ci sono le vittime e ci sono le testimonianze – non ultimi i 60 giornalisti palestinesi uccisi a Gaza in un vero e proprio tiro al bersaglio.
Quello che non si vuole è il giusto processo e prima ancora l’accesso degli organi d’informazione al terreno della scontro.
A meno di un improbabile cambio d’indirizzo della CPI il risultato di queste vicende non potrà essere che una totale e motivata sfiducia dei popoli e delle nazioni del Sud nei confronti di organi che testimoniano di essere istituti giurisdizionali a senso unico, a difesa dei prepotenti e offesa degli altri.
Khan è dovuto correre in Israele per rassicurare i suoi danti causa che non userà contro Netanyahu lo stesso metro che ha usato contro Putin, peraltro su loro insistenza, ma la sua posizione oltre che equivoca è traballante perché rischia di trascinare nel fango la credibilità internazionale di un organismo che non ha fatto molto per acquisirne, ma già la richiesta dell’incriminazione di Netanyahu servirebbe a capire chi sostiene che Netanyahu è un criminale, ma non va processato come tale; che la guerra di Israele è un po’ criminale, ma soprattutto giusta. Anche qui, due pesi e due misure.
[1] Frutto della lunga e faticosa elaborazione dei principi affermativi nel Processo di Norimberga (1945-1947) che ha giudicato i crimini di guerra tedeschi commessi durante la Seconda guerra mondiale.
[2] Karim Ahmad Khan è un avvocato britannico, Procuratore capo (Prosecutor) della Corte penale internazionale dal 2021.
[3] Lo Stato di Palestina è stato proclamato da Arafat nel 1988 e riconosciuto dall’ONU nel 1992, ottenendo nell’Assemblea lo status di Osservatore Permanente. Nel 2012 ha ottenuto lo statuto di Stato Osservatore non membro che rafforza la sua posizione internazionale. Nel 2014, con grande scandalo di Israele, lo Stato di Palestina ha aderito a numerose convenzioni sui crimini di guerra e contro l’umanità che Israele non ha mai sottoscritto.
[4] Si veda in proposito l’Executive Order on Blocking Property of Certain Persons Associated with the International Criminal Court, del Presidente Trump
[5] Si tratta più precisamente di 39 Paesi – con in testa la Lituania, l’Italia e tutti gli altri paesi dell’Unione Europea, insieme a Australia, Canada, Colombia, Costa Rica, Georgia, Islanda, Lichtenstein, Nuova Zelanda, Norvegia, Svizzera, Regno Unito e Irlanda. Tutti paesi occidentali bianchi.
[6] Gli illeciti contestati sono il crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione (bambini) e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa [articoli 8(2)(a)(vii) e 8(2)(b)(viii) dello Statuto di Roma].
Luciano Beolchi
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Forse la mia domanda/osservazione è troppo ingenua: se, come si evidenzia nell’articolo, a causa del comportamento del suo Presidente, la CPI non ha un atteggiamento uguale per tutti, elemento che dovrebbe essere fondamentale in un Organismo simile, ciò favorisce chi non lo riconosce e ha interesse che si sminuisca il suo potere. Chi può intervenire per ravvedere o, al limite, sostituire il Presidente della CPI in caso di errori madornali?