intersezioni femministe

Nessuna voce è definitiva

Presentiamo oggi in questo spazio tre contributi sulla biografia e l’opera della scrittrice svizzera di lingua italiana Alice Ceresa. Il primo consiste nella sua  biografia, scritta da Rosanna Fiocchetto, gli altri due (in pdf) sono interventi della nota teorica lesbofemminista Teresa de Lauretis e di Paola Guazzo, co-curatrice di questa stessa rubrica. Il primo è tratto dalla rivista DWF, il secondo è la versione italiana di un intervento letto al Convegno Internazionale di studi lesbici di Toulouse (2009). Ci sembra importante ricordare, attraverso questi contributi, una messa in crisi  dei linguaggi patriarcali (ergo anche capitalistici ) operata chirurgicamente attraverso la destabilizzazione del linguaggio e dei canoni letterari. Messa in crisi che non fonda altre retoriche, siano esse pre-politiche o politiche,  viaggio e riemersione dagli abissi  – il diving into the wreck di Adrienne Rich che ci ha fatto conoscere Liana Borghi – con parole differenti e non fissabili in un casellario di definizioni-gabbie social e anche, purtroppo, sociali, dalle quali anche i femminismi non sono stati e non sono scevri.
Creatività che non va al potere.

Chiesa cattolica: è l’amministratrice del peccato originale e ciò ne spiega sia la pretesa di universalità che la misoginia di fatto, dato che tale peccato è universalmente diffuso e che alloggia nella donna” (Alice Ceresa, “Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile”).

Scrittrice, poeta, drammaturga, giornalista, traduttrice, Alice Ceresa è nata il 25 gennaio 1923 a Basilea, in Svizzera: “Mi è dunque successo di nascere per così dire già emigrata. Come spesso succede nella Svizzera quadrilingue, la mia famigliola di lingua italiana si era trasferita nella Svizzera tedesca, dove io appunto venni al mondo” (da: “Nascere già emigrata”, in “Tuttestorie”, n° 2, 1994). Dopo un altro trasferimento familiare, Ceresa cresce nel Ticino, in lotta contro il padre che non voleva finanziare i suoi studi universitari, dopo il diploma preso alla scuola di commercio di Bellinzona. Bilingue, comincia a scrivere in italiano, accumulando racconti e drammi inediti (“La strega”, “La macchina psicanalitica”, “Io cannibale”, “Il muro”, “Storia del vecchio con la barba”, “Messina”, “Uno di troppo”, etc.)  e pubblicando pochi testi, fra cui il racconto “Gli altri” sulla rivista di Guido Calgari “Svizzera Italiana” (1943), le prose “Preambolo” (1946) e vari articoli per”Weltwoche”.

Nel 1939 aveva lasciato la casa paterna di Bellinzona per vivere a Zurigo lavorando in un giornale, con frequenti soggiorni in Francia. Nel 1947 sposa Annibale Biglione, un breve matrimonio sciolto dopo due anni. Nel 1950 si trasferisce definitivamente a Roma, dove lavora come redattrice di “Tempo presente”, giornalista, traduttrice e poi collaboratrice della casa editrice Longanesi. Pubblica il racconto “Sabina e il fantasma” (1952) su “Botteghe Oscure” e conclude il dramma “”Il Ratto delle Sabine” (1945-1953), rimasto inedito. Nel 1967, con il suo romanzo sperimentale “La figlia prodiga”, edito da Einaudi, raggiunge la notorietà ed ottiene il premio Viareggio Opera Prima. Il testo è una paradossale e ironica dissertazione sulla (ir)rappresentabilità di un personaggio ipotetico, la figlia prodiga, inesistente o invisibile, dunque impossibile da scrivere. La sua “indicibilità” può essere rappresentata solo in negativo, attraverso una meta-narrativa che nega i codici linguistici tradizionali. Ceresa suggerisce che la sua “prodigalità” è invisibile perché “ci viene a bella posta nascosta”; e la sua storia “non è detto che anch’essa non sia stata di già magari all’inverso, o per negazione, o per esclusione, raccontata”. La “prodigalità” della quale Ceresa parla è l’estrema trasgressione della figlia: il lesbismo, una pratica che colpisce al cuore il patriarcato.

“La figlia prodiga” colloca Ceresa nel movimento della neoavanguardia italiana con una fisionomia creativa fortemente originale che anticipa e lancia l’eresia del femminismo, attirando senza clamori pubblicitari l’interesse della critica. Ma Ceresa non ne approfitta e per molti anni lavora su testi non destinati ad una pubblicazione immediata, come “Stratificazioni” (ripreso e provvisoriamente concluso nel 2001, con il sottotitolo “Autopsia di una vita”). Nel 1979 pubblica in “Nuovi Argomenti” n.62 la prosa “La morte del padre”, cui segue l’inedito “La morte della madre”. Negli anni Settanta-Ottanta stila il “Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile”, una ironica summa ideologica del suo femminismo, rimasta inedita (ad eccezione della voce “Grammatica” pubblicata sulla rivista “Tuttestorie” 6/7 nel 1997) fino a dopo la sua morte. Il suo ritorno al romanzo e alla stampa è “Bambine” (1990), con il quale riprende la critica alla famiglia eterosessista. In seguito lavora ad “Eloise”, rimasto incompiuto.

Ceresa è morta a Roma il 22 dicembre 2001, lasciando un fondo con tutte le sue carte e gli inediti all’Archivio Svizzero di Letteratura di Berna, e nominando curatrice delle sue opere la sua compagna di vita Barbara Fittipaldi. La sua scomparsa ha innescato un rinnovato interesse per la sua scrittura, che ha stimolato riedizioni e l’uscita di alcuni inediti.

Nel 2005 La Tartaruga ha pubblicato “La figlia prodiga e altre storie” (comprendente “La figlia prodiga”, “Bambine”, “La morte del padre”). La regista Gianna Mazzini le ha dedicato il documentario “Alice Ceresa, Se tu sapessi” (29 mn., Rai Educational). Il volumetto “Alice Ceresa” (2004), curato da Barbara Fittipaldi, ha raccolto una lunga intervista rilasciata alla “Review of Contemporary Fiction” (1991), due testi inediti (“Emily Brönte” e “La scrittura e la mucca pazza”), gli interventi critici di Patrizia Zappa Mulas (“Alice Ceresa: l’esperimento di essere in due lingue”), Juliane Cohen-Tanugi (“La famiglia nelle opere di Alice Ceresa”) e Alice Vollenweider (“La macchina della famiglia”) e una bio-blibliografia della scrittrice.
Nel 2007 le edizioni Nottetempo hanno pubblicato il “Piccolo dizionario dell’inuguaglianza femminile” in un “distillato” di una cinquantina di voci.

Si è così conclusa in modo postumo un’opera eternamente incompiuta e “in progress”, destabilizzatrice di certezze, della quale Ceresa diceva in una lettera a Michèle Causse del 1976 “lo scrivo perché va scritto”, ma anche: “nessuna voce è definitiva”.

Rosanna Fiocchetto

Articolo precedente
Le spogliarelliste di Los Angeles hanno ottenuto un sindacato. Ma la danza non è finita
Articolo successivo
Lesbiche in Africa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.