“Dopo il ciclo delle stagioni ENSO [ENSO – El Niño-Southern Oscillation] è la fonte più importante di variabilità climatica globale1. Nessun’altra perturbazione ambientale interannuale possiede altrettanta ampiezza o impatto allargato, in grado di creare inconvenienti a un quarto degli abitanti di cinque continenti”. Così Mike Davis all’inizio dell’ottavo capitolo – Climi della fame- del suo ‘TESTO OLOCAUSTI TARDO VITTORIANI – El Niño, le carestie e la nascita del Terzo Mondo’; possiamo definirlo un testo di Ecologia Politica, nel quale vengono analizzate le conseguenze di condizioni climatiche estreme -siccità e inondazioni- causate dalle dinamiche del cosiddetto ENSO, nel contesto di differenti strutture politiche e sociali. Il confronto, in particolare per quanto riguarda Cina ed India è tra il periodo coloniale -in India il dominio è diretto, prima quello della Compagnia delle Indie poi quello imperiale- e i regimi precedenti. In Cina nel diciottesimo secolo sotto il dinastia dei Qing 2 e in India nel periodo Mogul 3.
La mancanza di monsoni negli anni dal 1876 al 1879 -seguita da un periodo analogo dal 1896 al 1897- scatenò in buona parte dell’Asia e dell’America Latina una serie ripetuta di gravi siccità, il cui impatto sulla società agricola dell’epoca fu immenso. Le carestie che flagellarono la regione furono tra le peggiori che avessero mai colpito l’umanità. Più di cinquanta milioni di contadini morirono di fame e di malattia. Aree un tempo verdeggianti si trasformarono in deserti e la mortalità in alcune zone del mondo, dall’Etiopia alla Cina al Brasile, raggiunse i picchi di un olocausto nucleare. Una serie di eventi catastrofici, una tragedia, pressoché ignorata dalla storia ufficiale. Le conseguenze catastrofiche dell’evento climatico sulle popolazioni furono in realtà aggravate dal nascente imperialismo coloniale, dalla politica, dalla speculazione sui prezzi delle materie prime alimentari collegata alla capacità di operare previsioni climatiche4, l’introduzione del Gold Standard, il sistema monetario basato sul cambio aureo, e la totale assenza di una politica rivolta a sostenere le popolazioni colpite dalla carestia. Fu in quel breve arco di anni che il profilo del futuro “Terzo Mondo”. Particolarmente raccapricciante è la descrizione che fa Mike Davis della politica dei governatori britannici dell’India durante le carestie prodotte dalle dinamiche di El Niño nel totale rispetto delle regole del libero mercato nel totale disprezzo verso la vita delle popolazioni dominate.
L’organizzazione economica, politica e amministrativa in Cina e India, prima dell’avvento del pieno dominio coloniale, prima che si affermassero logiche di mercato, certo non aveva a suo fondamento non i principi di eguaglianza e liberta, ma certamente metteva in atto dispositivi atti a garantire la sopravvivenza, la riproduzione delle popolazioni che governava. Alla base c’era la conoscenza dell’andamento del clima, della produttività delle coltivazioni delle specie vegetali che erano alla base della alimentazione delle popolazioni. Conoscenze, organizzazione, divisione del lavoro, tecnologie costituivano un sistema che garantiva le condizioni di base per la riproduzione della società.
Mike Davis analizza le conseguenze di un andamento catastrofico del clima su una ampia fascia di regioni del globo le cui condizioni climatiche sono determinate da una medesima dinamica di carattere globale che origina in una vasta area dell’Oceano Pacifico. Strutture sociali complesse, insediate in territori fortemente antropizzati avevano sviluppato strategie per contrastare gli effetti più drammatici di quelle dinamiche.
Oggi le nostre società vivono gli effetti di un cambiamento climatico il riscaldamento globale dovuto all’emissione di gas serra (anidride carbonica, ma anche metano 14 volte più efficace nel trattenere le radiazioni infrarosse) dagli esiti catastrofici, che si stanno già abbondantemente manifestando; le emissioni sono il prodotto del modo di produzione dominante. A differenza di India e Cina del XVIII° secolo dobbiamo governare un processo che noi stessi -intesi come società- stiamo determinando. Ciò avviene in presenza di un apparato tecnologico5, di un sistema tecnologico sempre più complesso, esteso e differenziato reso possibile e innervato dalle tecnologie digitale, laddove ogni singola tecnologia, ogni singolo apparato incorpora, dipende per il suo funzionamento da un dispositivo di acquisizione e elaborazione dei dati. Acquisizione ed elaborazione dei dati, la capacità di elaborare dati, di produrre informazioni fungibili, si è sviluppata esponenzialmente assieme alla capacità di acquisire dati, di realizzare un sistema di ‘sensori’ nelle formazioni sociali, nel loro ambiente interno ed esterno.
Il sistema tecnologico, la capacità di conoscere, analizzare e prevedere gli andamenti climatici assieme alla misura dei raccolti delle principali derrate alimentari che sono alla base del sostentamento delle popolazioni, è ben altra cosa rispetto alle tecnologie disponibili nel XVIII° secolo. Ciò nonostante le contraddizioni, le diseguaglianze, gli esiti catastrofici dell’evoluzione del sistema, mutano di forma e si aggravano.
L’affrontamento della crisi climatica dovrebbe costituire un obiettivo primario di ogni strategia politica, vincolante per processo trasformativo, per ogni dinamica di innovazione, dovrebbe costituire il contesto, il limite al quale vincolare ogni competizione. Nella realtà ciò non accade, appare invece come un fattore subordinato a dinamiche ben più cogenti, in primo luogo le guerre che costituiscono la manifestazione esplicita di una condizione permanente dei rapporti economici, politici e sociale, uno stato di belligeranza permanente; uno stato che si incarna in un apparato militare e di sicurezza pervasivo, primo produttore e utilizzatore di quelle tecnologie digitali che pervadono l’universo mondo. Il cambiamento climatico a sua volta è diventato un elemento ineludibile nella elaborazione delle strategie militari, componente degli scenari sempre più complessi della cosiddetta ‘guerra ibrida’ che, attraverso un utilizzo di informazioni raccolte in tempo reale e modelli costruiti su di esse, prevede di confliggere su ogni dimensione delle società.
Questo stato di cose -a questo stadio di sviluppo delle società, delle civiltà umane- pone l’interrogativo su quale razionalità complessiva siamo in grado di produrre, quali possibilità di sopravvivenza abbia la nostra società ovvero quale parte della società abbia la possibilità di sopravvivere se non di prosperare nel medio periodo; interrogativo che non trova certo risposta nei valori pubblicamente professati, magari in buona fede.
In gioco ovviamente sono le dinamiche interne alle società, le stratificazioni e le articolazioni culturali, i rapporti di potere, la funzionalità dei processi di produzione e condivisione delle conoscenze ai rapporti di potere; il rapporto tra le tecniche di sopravvivenza e di miglioramento della propria condizione di vita, a livello personale, di gruppo, di classe ed a livello di sistema. Se la formazione sociale globale appare come un treno lanciato verso un abisso senza che nessuno ne abbia realmente la guida, appare logico pensare come soluzione quella di cercare di ridurne (ad ogni costo?) la velocità, di decrescere le prestazioni complessive del sistema come lo conosciamo, ma il sistema come lo conosciamo non sembra in grado di rallentare, quantomeno di essere agito in modo realmente coordinato da un qualsivoglia insieme di dispositivi di governo. La metafora del convoglio nella sua configurazione rigida e lineare certo non è adatta a rappresentare la complessità del sistema mondo, la sua interazione, la sua fondazione e dialettica col sistema. climatico ed il mondo della vita; tuttavia è il sistema in tutta la sua complessità che deve rallentare, che deve trovare nuove traiettorie in tutte le sue componenti.
La straordinaria capacità di produrre conoscenza, di creare modelli dei processi sociali, climatici e biologici appare comunque costretta ad inseguire le contraddizioni che si generano. La dimensione politica, il governo delle società è il luogo dove si esprime il limite che del sistema nel governare le proprie contraddizioni. Il confronto con la pandemia ne è stata la manifestazione più evidente; l’impreparazione iniziale di fronte alla gravità delle manifestazioni patologiche ed alla velocità del contagio, la divaricazione delle strategie adottate- chi si ricorda la sottovalutazione se non il negazionismo di Jhonson, Trump e Bolsonaro? – l’incapacità dei governi di adottare tempestivamente strategie di contenimento, le mascherine mancavano tanto in Italia quanto negli Stati Uniti6. L’imposizione dei lockdown come dispositivo necessario per contenere il contagio è stata l’unica scelta di fronte alla incapacità dei sistemi sanitari di affrontare in modo articolato la pandemia; ricordiamo come, sulla base della esperienza della SARS e di considerazioni sui fenomeni di zoonosi, fossero stati prodotte previsioni e simulazioni di processi pandemici paragonabili a quella prodotta dal Sars-Cov-2, ciò nonostante i sistemi sanitari si fecero trovare impreparati. La famosa ‘immunità di gregge’ si è dimostrata un orizzonte irraggiungibile, mentre la soluzione è stata la realizzazione di vaccini efficaci e la minore gravità degli effetti delle varianti successive benché altamente contagiose. Nonostante le interpretazioni, che sulle misure di restrizione delle libertà individuali hanno costruito architetture basate su tutte le possibili rappresentazioni di un potere dispotico, la realtà è stata l’impatto formidabile sull’economia, il collasso delle filiere logistiche e di fornitura, la delegittimazione di quei governi che si sono rivelati incapaci di affrontare la pandemia, la contraddittorietà e l’inadeguatezza delle strategie adottate dai diversi governi.
L’esperienza della pandemia non è riassumibile nelle sole cifre dei contagiati, dei ricoverati, dei morti; essa ha messo profondamente in crisi il senso profondo della continuità della propria esistenza, a livello tanto individuale quanto collettivo, operando sulle dimensioni più intime e personali, mettendo in discussione strategie economiche e equilibri finanziari di governi e banche centrali, mettendo alla prova la legittimità degli stati di ridurre, sia pure temporaneamente, in modo sostanziale libertà fondamentali dei propri cittadini. Nelle diverse condizioni sociali si è avuto modo di sperimentare il peso delle diseguaglianze, nell’accesso ai servizi e nella maggiore o minore ristrettezza degli spazi di vita durante i lockdown, nella possibilità di garantirsi la continuità di lavoro o di accesso al reddito. Il rapporto stesso col lavoro, quantomeno nei paesi più sviluppati, il senso dell’impegno in esso di una parte così importante del proprio tempo, attenzione ed energie, è stato profondamente scosso7.
Quasi senza soluzione di continuità gli effetti a livello globale della guerra russo-ucraina -conseguente l’invasione russa del territorio ucraino con l’obiettivo di rovesciarne il governo ed instaurare un nuovo regime politico- si sono saldati a quelli della pandemia, contribuendo a prolungare e rafforzare l’instabilità delle catene logistiche e produttive, contribuendo a creare e incrementare condizioni di carestia in vaste regioni del globo, dipendenti dalle importazioni di materie prime alimentari.
Questa guerra, il confronto globale in cui si colloca e di cui alimenta assieme alle dislocazioni che produce nei rapporti di forza e nei posizionamenti a livello geostrategico, si presenta come qualcosa di ben più complesso rispetto al ciclo di guerre successivo all’attentato alla Torri Gemelle del settembre 2001, che diede origine ad un movimento contro la guerra di portata mondiale, di cui oggi non c’è traccia. Della guerra, per le popolazioni non coinvolte direttamente negli eventi bellici, si soffrono le conseguenze sulle proprie condizioni di vita, a queste si cerca di reagire senza dare origine e senso ad una rivolta generalizzata. Il quadro che emerge confrontando la situazione di diversi paesi in Europa è assai diversificato con la crescita dei conflitti sociali nel Regno Unito, salvo la pausa per la morte della regina, e la crescita dell’estrema destra nelle elezioni svedesi, collegata al disagio sociale di ben precise aree del paese.
Una cosa è certa non esiste un ciclo di lotta su salario, orario e nocività sul posto d lavoro, su casa, scuola sanità e reddito che alimenti un diffuso orientamento politico di sinistra, né tanto meno la capacità di un programma di forze politiche di sinistra di raccogliere vasti consensi su quegli obiettivi, in Italia in particolare. La frammentazione delle condizioni sociali oggettive ed ancor di più l’isolamento, la parzialità, la precarietà non è solo economica, oggettiva è anche la difficoltà, l’incapacità a dare un senso condiviso alla esperienza soggettiva della propria condizione. Lo sviluppo straordinario, della rete, del dispositivo digitale globale, la crescita esponenziale de flusso di dati raccolti in tempo reale ed elaborati da algoritmi sempre più sofisticati di Intelligenza Artificiale e Machine Learning sta producendo una gerarchizzazione dell’accesso all’informazione, della possibilità di elaborazione di nuove conoscenze, nuove forme di diseguaglianza radicali quanto quelle economiche che alimentano le forme di isolamento e compartimentazione sociale, bolle di relazione, senso e conoscenza; contemporaneamente non sono da sottovalutare le rivendicazioni ed i conflitti aperti sull’accesso all’informazione dalle conoscenze, come componente necessaria di ogni movimento di liberazione.
La rete dei servizi e degli apparati di comunicazione ed elaborazione dei dati (Information and Comunication Technology ICT) costituisce il sistema nervoso della formazione sociale, un sistema di dominio ed un terreno di conflitto attuale e praticato; costituisce un terreno di scontro fondamentale per fermare il convoglio in corsa verso l’abisso. Parte di questo scontro è la critica pratica delle forme di conoscenza, di relazione tra gli esseri umani, tra l’umanità, il proprio ambiente e le altre forme di vita. Questa critica, che oggi tocca le vette dello sviluppo tecnologico, ha le sue radici nelle forme di resistenza delle culture, che il sistema capitalistico sin dalla sua nascita ha distrutto secondo la prattica del genocidio, radicate nel rapporto equilibrato con il proprio ambiente, alla riproduzione degli ecosistemi che il sistema capitalistico devasta ed annienta. Un processo di liberazione non è pensabile senza una ricomposizione dei saperi, delle forme concrete di esistenza, resistenza e conflitto lungo tutte le dimensioni attuali della formazione sociale, della sua relazione con l’ambiente e le altre forme di vita, laddove le ‘altre forme di vita’ sono altrettanti ambiti produttori di senso, relazioni e linguaggi con cui dialogare o riprendere a dialogare.
Roberto Rosso
- https://www.metoffice.gov.uk/research/climate/seasonal-to-decadal/gpc-outlooks/el-nino-la-nina/enso-description [↩]
- In Cina nel diciottesimo secolo sotto il dinastia dei Qing l’evento El Niño del 1743-1744( definito eccezionale da Whetton e Ruthefurd) nel suo impatto sulle pianure del nord della Cina, il monsone mancò per due anni di fila, distruggendo il frumento invernale in due regioni, l’Hebei e lo Shandong settentrionale, le scorte provinciali di grano erano inadeguate per affrontare la mancata produzione conseguente. Tuttavia di in base ad una ricostruzione accurata si sa che -sotto l’esperta amministrazione confuciana di Fan Guancheg, l’esperto di agricoltura e idraulica che diresse la campagna di aiuti nello Zhili- i rinomati granai ‘sempre normali’ di ogni contea iniziarono a distribuire immediatamente razioni nelle contee ufficialmente dichiarate sinistrate. Quando le riserve locali si dimostrarono insufficienti Guancheng trasferì miglio e riso dal grande deposito di grano dei tributi di Tongcang fino al capolinea del Grande Canale, poi uso il Grande Canale per muovere enormi quantità di riso dal sud. Due milioni di contadini furono sostentati per otto mesi.[↩]
- In India nel periodo Mogul “ I Mogul non avevano nulla che somigliasse alle risorse dello stato centralizzato dei Qing nel suo apogeo settecentesco (…) Inoltre abbiamo le prove che nell’India prebritannica, prima della creazione di un mercato nazionale del grano assicurato dalle ferrovie, le riserve di cibo nei villaggi fossero maggiori, il benessere patrimoniale più diffuso e i prezzi del grano nelle zone di surplus più isolati dalla speculazione.” [↩]
- E’ del 1848 la fondazione del Chicago Board of Trade, fondato per sopperire ad una mancanza del mercato dei cereali. A causa della mancanza di una borsa apposita, infatti, si assisteva ad una continua fluttuazione dei prezzi, sino ad arrivare al punto in cui d’inverno i cereali acquisivano costi elevatissimi ed in estate raggiungevano dei prezzi talmente bassi da portare alcuni agricoltori a bruciare il raccolto in eccesso poiché i costi di spedizione potevano essere più costosi della vendita dei cereali. L’idea alla base del Chicago Board of Trade era quella di stabilire in anticipo il valore che i cereali avrebbero assunto, in modo da poter mettere d’accordo venditori e acquirenti. Inizialmente non vi erano le Futures, il primo tipo di contratto ad essere utilizzato, infatti, fu quello forward. Esso però non garantiva il fatto che entrambe le controparti avrebbero rispettato l’accordo. Si passò quindi a dei contratti forward standardizzati per arrivare nel 1864 a contratti Futures. https://en.wikipedia.org/wiki/Chicago_Board_of_Trade [↩]
- Sulla natura, la definizione di tecnologia: W. Brian Arthur – La natura della tecnologia – Codice Edizioni [↩]
- https://jacobinitalia.it/tornare-al-lavoro-equivale-ad-allargare-il-disastro/ Tornare al lavoro equivale ad allargare il disastro – Mike Davis -29 Aprile 2020 Jacobin Italia [↩]
- https://www.digital4.biz/hr/talent-management/great-resignation-cosa-e-dimissione-persone-italia-cosa-devono-fare-aziende/ [↩]
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