focus

Molte leader donne nella sinistra radicale europea

di Franco
Ferrari

Il quadro dei partiti della sinistra radicale in Europa (le forze politiche che si collocano a sinistra della socialdemocrazia e che sono in gran parte unite nel gruppo dell’Europarlamento “The Left”) presenta un significativo processo di femminilizzazione delle leadership. Se consideriamo che i partiti politicamente rilevanti, ovvero con una presenza parlamentare a livello nazionale ed europeo, si possono calcolare in una trentina (di cui alcuni hanno una leadership collettiva), almeno 13 contano una leader donna (presidente, segretaria nazionale o portavoce parlamentare a seconda delle strutture organizzative) e questa tendenza si è andata ampliando negli ultimi anni.

Questo aspetto è sicuramente inseribile in un contesto globale di protagonismo femminile di cui parla su questo numero di Transform! Italia Nicoletta Pirotta, ma che almeno per quanto riguarda il livello strettamente politico non è ancora omogeneo a tutti i contesti. Si può riscontrare negli Stati Uniti dove oltre alla Ocasio Cortez, molto presente sui media, si è affermato il gruppo delle squad (le quattro deputate che si collocano all’estrema sinistra nel Partito Democratico) ma anche nel Congressional Progressive Caucus, la corrente organizzata della parte progressista del gruppo democratico alla Camera dei Rappresentanti può contare su una presidente donna, l’influente Pramila Jayapal, e su una vice anch’essa donna, Katie Porter.

Significativo il quadro che emerge dall’America Latina che ha visto emergere, su uno sfondo storico di tradizionale machismo, forti movimenti femministi. In diversi Paesi ci sono o ci sono state Presidenti donna elette dalle forze della sinistra come Dilma Roussef in Brasile (deposta attraverso una sorta di golpe bianco che ha aperto la strada a Bolsonaro), Cristina Fernandez in Argentina e, recentemente, Xiomara Castro in Honduras. Queste ultime però emerse anche per essere state le mogli di leader politici di primo piano. Un paese di punta in questo processo è sicuramente il Cile, come ricorda Nicoletta Pirotta, dove da poco è stata eletta una nuova Presidente dell’Assemblea Costituente in un quadro di forte presenza di nuove e giovani leader, diverse delle quali attive nelle file del Partito Comunista del Cile.

Restano terreno di predominio maschile, almeno nei vertici delle istituzioni politiche, molti Paesi asiatici (tra cui la Cina) e del Medio Oriente (dove spicca come eccezione il tentativo curdo di strutturarsi secondo la logica della co-rappresentanza di genere). Lo stesso si può dire anche per la Russia.

Tornando all’Europa possiamo stilare una mappa sintetica delle leadership femminili anche per cogliere dinamiche più complessive in atto.

Nei paesi scandinavi la presenza politica femminile è ampiamente affermata e non solo a sinistra, infatti anche la destra radicale populista ha espresso o esprime guide femminili. Attualmente le premier socialdemocratiche di Finlandia, Svezia (da poco) e Danimarca sono donne. Il quadro della sinistra radicale è ancora più netto. L’Alleanza di Sinistra finlandese è guidata dal 2016 da Li Andersson (nata nel 1987) che è anche ministra dell’educazione nel governo di coalizione in carica. La formazione della sinistra radicale finlandese ha già contato su una leader donna (Suvi-Anne Siimes) dal 1998 al 2006.

In Svezia nel 1920 è stata eletto alla guida del Partito di Sinistra Nooshi Dadgostar (nata nel 1985), di origine familiare iraniana, che si è dimostrata una leader non solo molto popolare ma anche abile e determinata nella gestione del conflitto con il governo socialdemocratico sulla questione della politica degli affitti, conclusosi con un compromesso favorevole. Anche nel caso svedese, la sinistra radicale ha già potuto contare su una leadership femminile con la guida, dal 1993 al 2003, di Gudrun Schyman. La quale poi entrò in conflitto con la maggioranza del partito e decise di dar vita a Iniziativa Femminista, un partito che ha conquistato un seggio al Parlamento europeo nel 2014, perso cinque anni dopo, ed ora in netto declino.

In Danimarca, l’Alleanza Rosso-Verde è guidata da Mai Villadsen (nata nel 1991) eletta come portavoce nel 2021. E’ succeduta a Pernille Skipper che a sua volta era subentrata a Johanne Schmidt-Nelsen. Dal 2007 il partito della sinistra radicale danese è guidato da donne.

Anche l’Islanda, nel mondo scandinavo (nel quale fanno per ora eccezione i due partiti norvegesi), ha una leader femminile. Il Movimento Rosso-Verde ha scelto nel 2013 come proprio Presidente Katrin Jakobsdottir (nata nel 1976). La Jakobsdottir è anche primo ministro islandese dal 2017, alla guida di una coalizione piuttosto eterogenea, ed è stata confermata dopo le elezioni dello scorso anno.

Particolarmente interessante la realtà irlandese, attraversata negli ultimi decenni da profondi cambiamenti che hanno visto il declino dell’influenza conservatrice della Chiesa cattolica e l’uscita dal lungo conflitto tra nazionalisti (prevalentemente cattolici) e unionisti (prevalentemente protestanti) nelle contee che ancora fanno parte del Regno Unito. Il Sinn Fein, partito dalla lunga e travagliata storia e che a partire dagli anni ’90 ha assunto un profilo di sinistra al punto da aderire al gruppo della sinistra radicale nel parlamento europeo, è oggi guidato da due donne. Mary Lou McDonald (nata nel 1969), nella Repubblica, e Michelle O’Neill (nata nel 1977) nelle sei contee del nord. Il partito è notevolmente cresciuto in termini di consenso e di influenza politica e i sondaggi gli assegnano tra il 33 e il 35% dei potenziali suffragi, al punto da farne di gran lunga il primo partito. Nel 2022 sono previste le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea dell’Irlanda del Nord, alla quale sono devoluti importanti poteri politici e amministrativi, e anche qui il Sinn Fein sembra destinato a diventare il primo partito, mantenendo il proprio tradizionale consenso nella comunità cattolica, per effetto della crisi in cui versa il Democratic Unionist Party, principale formazione protestante, che è stato fortemente colpito dalle conseguenze della Brexit. La “presa del potere” femminile nel Sinn fein è particolarmente significativa perché si tratta di un partito fortemente segnato dalla scelta della “phisical force”, del ricorso alla violenza come strumento necessario per la riunificazione nazionale. Questo ha portato per lungo tempo a far pesare al suo interno tendenze militariste che hanno spesso contrassegnato il predominio dell’IRA sul partito. La precedente generazione di leader, Martin McGuinness al nord e Gerry Adams nella Repubblica, ha favorito il processo di rinnovamento e l’avvio di una nuova fase politica, di cui le due leadership femminile sono un segno evidente.

Nell’Europa continentale vanno segnalate tre diverse realtà. Il Partito Socialista olandese, cresciuto elettoralmente con una evidente impostazione populista poi attenuata nel tempo, è guidato dal 1987 Lilian Marijnissen (nata nel 1985) che è anche la figlia di Jan Marijnissen, il leader che ha trasformato il partito da gruppuscolo maoista in un partito politicamente significativo. Anche la Presidente del partito, Jannie Visscher (nata nel 1961), praticamente la seconda carica dal punto di vista della struttura organizzativa, è una donna. In Germania, la Linke è oggi guidata da due donne: Janine Wissler (nata nel 1981) e Susanne Hennig-Wellsow (nata nel 1977). Il partito della sinistra tedesca ha sempre avuto una copresidenza per tener conto delle due anime che hanno fondato il partito, quella dell’ex DDR e quella dei vecchi lander della Germania federale. Fino allo scorso anno la doppia presidenza consentiva anche una co-rappresentanza di genere che nell’ultimo congresso è stata superata con l’elezione di due donne. Anche il gruppo parlamentare ha una doppia direzione e a fianco di Dietmar Bartsch, si trova Amira Mohamed Ali (nata nel 1980). Nei paesi dell’est Europa la sinistra radicale è in generale molto debole (con l’eccezione recente dell’ex Jugoslavia). Tra i partiti che hanno avuto un ruolo significativo vi è il PC Boemo-Moravo che nelle ultime elezioni politiche ha perso la propria rappresentanza parlamentare. Nel Congresso che si è tenuto dopo il voto ha eletto alla presidenza Katerina Konecna (nata nel 1981), europarlamentare, che avrà il non facile compito di rilanciare il partito.

Restano fuori da questo quadro il Belgio, dove il PTB ha una leadership maschile ma è stato guidato da una donna dal 1999 al 2004, e la Francia. Le due principali formazioni politiche della sinistra radicale (La France Insoumise e il PCF) non hanno leadership femminili, anche se i comunisti hanno espresso una segretaria nazionale dal 2001 al 2010.

Nell’Europa mediterranea si caratterizzano per la crescita della presenza femminile alla guida di partiti della sinistra radicale la Spagna e il Portogallo. In Grecia le tre formazioni rappresentate in Parlamento (Syriza, MeRA25, KKE) sono attualmente guidate da uomini. Il KKE ha però avuto per un lungo tempo una leader donna (Aleka Papariga), anche se certamente non femminista, e per un breve periodo anche il Synaspismos (Maria Damanaki, poi passata al Pasok), la formazione che è all’origine di Syriza.

La Spagna è forse la realtà che ha visto crescere maggiormente una nuova leva di politiche con ruoli di primo piano. La guida di Unidas Podemos nella delegazione di governo è oggi Yolanda Diaz (nata nel 1971), ministra del lavoro, militante comunista ma vicina al fondatore di Podemos Pablo Iglesias, che svolge un ruolo importante nel cercare di caratterizzare a sinistra la coalizione con il PSOE. Sta dimostrando sia capacità di governo che di comunicazione. Fra le tre componenti di Unidas Podemos, due hanno una leader donna. A succedere a Iglesias alla testa di Podemos è stata scelta nel 2021, Ione Belarra (nata nel 1987), mentre la componente catalana della coalizione si trova la sindaca di Barcellona Ada Colau (nata nel 1974) proveniente dall’attivismo nei movimenti sociali per la casa.

In Portogallo, dove convivono due formazioni di sinistra, il Bloco de Esquerda e il Partito Comunista, la prima ha una forte presenza femminile. L’attuale leader è Catarina Martins (nata nel 1973) che venne eletta per la prima volta nel 2012 nell’ambito di un meccanimso di co-rappresentanza. Al suo fianco era allora Joao Semedo, vecchio militante del PC dal quale era uscito nel 2000. Il meccanismo della doppia leadership si è rivelato poco efficace e Semedo rinunciò al suo ruolo, lasciando alla Martins il compito di guidare il partito. La presenza femminile nel Bloco è caratterizzata da altre leader importanti come Marisa Matias (nata nel 1976), europarlamentare, e le gemelle Mariana e Joana Mortagua (nate nel 1986).

Per completare il quadro è opportuno richiamare anche il gruppo parlamentare della Sinistra nel Parlamento europeo, presieduto congiuntamente dal tedesco Martin Schirdewan e dalla francese Manon Aubry (nata nel 1989). Quest’ultima è espressione della France Insoumise ed è diventata popolare anche in Italia per il suo intervento in aula a favore della soppressione dei brevetti sui vaccini per il Covid. Il gruppo parlamentare della Sinistra ha inoltre avanzato la proposta di una donna per la guida del Parlamento europeo: la spagnola Sira Rego (nata nel 1973), militante di Izquierda Unida e del Partito Comunista.

In questa rassegna ho ristretto l’attenzione, con qualche eccezione, a figure che sono al vertice di formazioni politiche. Non mancano altre donne che svolgono un ruolo politico significativo, come Clementine Autain (nata nel 1973) in Francia, Sahra Wagenknecht (nata nel 1969) in Germania o Elke Kahr (nata nel 1961), la neoletta sindaca di Graz, in Austria, ma il dato quantitativamente e qualitativamente rilevante è l’assunzione di ruoli politici generali. Per aver un quadro più completo, dal punto di vista sociologico, sarebbe necessario guardare all’insieme dei ruoli politici (elettivi, organizzativi, ecc) e sarebbe indubbiamente interessante anche esaminare i percorsi politici seguiti. Ad esempio per la finlandese Li Andersson si tratta di una carriera tutta interna al partito, iniziando dall’organizzazione giovanile, per Ada Colau, come già detto, determinante è stata la provenienza è dai movimenti sociali, Manon Aubry proviene dal mondo delle ONG, Yolanda Diaz, dall’attività professionale di avvocatessa del lavoro. Dal punto di vista generazionale, delle politiche citate nell’articolo, 4 sono nate negli anni ’60, 9 sono nate negli anni ’70, 10 negli anni ’80, 1 negli anni ’90. E’ presumibile che i processi di femminilizzazione e di ringiovanimento delle leadership vadano di pari passo.

Da questi dati emerge indubitabilmente la crescente e significativa presenza femminile nei ruoli di primo piano delle forze politiche della sinistra radicale europea.

Franco Ferrari

femminismo, sinistra
Articolo precedente
Meena e le altre
Articolo successivo
“Se vuoi pranzare con il diavolo devi avere un cucchiaio molto lungo” ovvero femministe nelle istituzioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.