24 luglio 2023. Ieri a Roma si è tenuta la conferenza internazionale su sviluppo e migrazione, voluta dal governo Meloni. Un vertice che ha visto la partecipazione di rappresentanti e massime cariche di oltre venti Stati dal Mediterraneo ai Paesi del Golfo e che giunge dopo la stipula del secondo memorandum siglato dall’Italia questa volta con la Tunisia, per il contenimento della migrazione sotto le mentite spoglie di essere strumento per la cooperazione e lo sviluppo. Come accadde per la Libia nel 2017, con tale lettera di intenti, in quanto tale non sottoponibile al vaglio parlamentare come è per gli accordi internazionali, vengono mobilitati ingenti aiuti economici per finanziare la militarizzazione delle frontiere alle porte dell’Europa.
Durante il congresso si gioca invece a colpi di frasi dal sicuro effetto. Si parla di “’immigrazione illegale di massa”, si brandisce lo spauracchio del terrorismo e della lotta ai trafficanti – per il quale il governo vorrebbe offrire l’aiuto di magistrati e di forze di polizia per suggerimenti ai paesi che accetteranno di collaborare – oltreché integrare il coordinamento delle rispettive strutture di intelligence. Affiancando così la retorica delle “cause profonde delle grandi migrazioni”, si banalizza ed elude il tema centrale della complessità e dell’interdipendenza dei fenomeni legati alle migrazioni umane, della povertà e dei cambiamenti climatici, che la comunità accademica concorda invece nell’attribuire in primo luogo al ‘fattore della disuguglianza’.
Si dirotta l’attenzione sul paradigma securitario e nazionalista dell’inviolabilità dei confini territoriali e su una supponente e pacificatrice profusione di denaro. Un’ennesima governance di polizia e di detenzione è quella che si prefigura? Da tempo e a più voci è stata dichiarata inadeguata, mentre pare abbia contribuito largamente a rendere sempre più mortali le rotte migratorie.
L’ipocrisia del consesso non può quindi sfuggire ad un’opinione pubblica attenta – ancora memore dei discorsi dal più che manifesto contenuto razzista del presidente tunisino Kais Said del febbraio scorso – e che in questi giorni osserva con orrore a quanto sta accadendo ai confini con la Tunisia, che sarà reputata Paese terzo sicuro per l’accoglimento di naufraghi e profughi, dove centinaia di persone migranti di origine subsahariana sono state invece condotte con la forza nelle zone desertiche di frontiera di Libia e Algeria. Lasciate a perire. Senza cibo, né acqua. Nessuno ha potuto trascurare le immagini delle due donne morte di sete nel deserto ritrovate da un giornalista libico nei giorni scorsi. Nessuno può trascurare il cinismo e l’utilitarismo di questo incontro attraverso il quale si vorrebbe dare avvio ad una definitiva e coatta cristallizzazione dei problemi legati ai flussi migratori allo scopo di stabilizzare la dimensione commerciale e le relazioni economiche dei paesi coinvolti.
Non lo trascurano certamente le numerose forze della società civile tunisina che la settimana scorsa, a pochi giorni dal congresso, si sono riunite lanciando un appello alla comunità internazionale, a cittadini e a partiti politici, affinché forze opposte e contrarie si uniscano per un altro Mediterraneo.
Elena Coniglio
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Comunicato dell’Incontro dei popoli per la dignità dei migranti. [1] da Le Forum Tunsien pour les Droits Economiques et Sociaux (FTDES)
21 luglio 2023
DICHIARAZIONE DI TUNISI
In Africa, nessuno sviluppo senza mobilità!
In Europa, nessuna tregua senza lo sviluppo dell’Africa!
Le associazioni della società civile tunisina, del Maghreb, dell’Africa Occidentale e d’Europa si sono riuniti a Tunisi il 20 luglio per esprimere e affermare il loro disaccordo concernente le politiche migratorie condotte dagli Stati. I muri si innalzano su tutti gli orizzonti e testimoniano quella che è una guerra disastrosa contro la mobilità umana. Privati delle risorse o sotto la minaccia dei conflitti e delle catastrofi naturali, gli individui non hanno né il diritto di migrare, né il diritto di non migrare, né il diritto ad essere soccorsi, presi in trappola da coloro che li governano e che dominano il mondo.
La disinformazione, la propaganda e la strumentalizzazione della paura affondano tutti i paesi in una regressione sociale e politica che propugna la militarizzazione delle frontiere e la corsa agli armamenti come unica panacea. Noi denunciamo l’incontro governativo che si terrà il 23 luglio a Roma e portiamo all’attenzione dell’opinione pubblica africana ed europea i seguenti elementi:
in seguito a settimane di intense negoziazioni e svariate visite dei rappresentanti dell’Unione Europea guidate dal primo ministro italiano, l’UE e la Tunisia hanno alla fine siglato un memorandum che copre temi che vanno dalla migrazione alla cooperazione economica, una componente secondaria che non è altro che fumo per nascondere l’essenziale. La migrazione costituisce in effetti la vera posta in gioco di questo accordo che resta poco chiaro nelle modalità operative e nella sua applicazione. Noi crediamo che l’accordo risponda in primo luogo ai bisogni e alle attese dell’Unione Europea sensa considerazioni quanto alle sfide che si pongono per i paesi della riva Sud del Mediterraneo.
L’Unione Europea persegue chiaramenre la sua strategia di esternalizzazione delle frontiere e di impedimento ai migranti giudicati indesiderabili. Dopo la crisi dell’accoglienza dei migranti del 2015 generata dal movimento delle popolazioni in fuga dalle guerre imperialiste nel vicinato dell’Est e del Sud dell’Europa, le esigenze dell’UE vanno dalla criminalizzazione delle operazioni umanitarie a quelle di vassallaggio dei paesi africani come il Niger e ormai anche della Tunisia.
Nel caso della Tunisia, noi denunciamo ancora una volta, come sotto il regime di Ben Ali nel 1995, accordi firmati senza alcuna concertazione magrebina e africana, senza reale dibattito democratico e in assenza di un parlamento rappresentativo, stigmatizzando tutte le voci libere della società che esprime le sue critiche, il proprio rifiuto e la sua indignazione.
La destra e l’estrema destra europea si felicitano di tale accordo che rientra nella loro visione, ostile ai migranti e che aderisce perfettamente alla proliferazione della paura nei confronti dello straniero presso opinioni pubbliche sempre più xenofobe e razziste. Il presidente della Tunisia Kais Said, in questo stesso approccio, volendo ridurre l’opposizione e la società civile al silenzio, tenta di strumentalizzare questo accordo presentandolo come un mezzo per proteggere il paese dalle “orde di migranti subsahariani invasori” come annunciato nel suo discorso “dell’odio” del 21 febbraio. Gli attori indipendenti della società civile tunisina esprimono nuovamente il loro rifiuto qui ed ora e chiamano a disimpegnare il dibattito sulla migrazione per riportare il dialogo sui problemi strutturali legati alla povertà, ai conflitti, all’accaparramento delle ricchezze e alla distruzione dell’ambiente.
Noi ricordiamo ugualmente che malgrado l’adozione della Tunisia di una legge contro il razzismo e la xenofobia, unica nel suo genere nella regione magrebina e africana, siamo testimoni dell’incalzare di un discorso di odio così come di una caccia anti migranti. Noi consideriamo che i tristi avvenimenti di Sfax costituiscono una grave svolta e una catastrofe umanitaria.
Ricordiamo che il dramma di Nadhor-Mellila nel 2022 in Marocco, costato la vita vita a 27 migranti e che ha provocato la scomparsa di centinaia di migranti, così come il recente naufragio di un’imbarcazione che trasportava più di 700 persone nel Mediterraneo centrale, o ancora la scoperta del corpo di un neonato in stato di decomposizione su una spiaggia in prossimità di Barcellona che è seguita al naufragio di un battello partito dalle coste algerine, costituiscono una successione di drammi e prove dei risultati delle politiche sicuritarie così come del destino comune di magrebini, subshariani ed europei. Rendere invisibile allo sguardo delle popolazioni la concatenazione dei destini dei popoli costituisce una manipolazione politica irresponsabile in contrasto con la realtà.
Dire che siamo tutti africani non è parola vana, ma ritorna a denunciare tutte le forme di razzismo al Nord come al Sud e proclama l’imperativo di solidarietà e unione sui principi dei diritti umani e del rispetto del diritto a un’uguale mobilità di tutti i cittadini del mondo. Gli attori e la società civile del Maghreb, dell’Africa e dell’Europa, sono chiamati a unire le loro voci per allertare l’opinione pubblica di fronte all’impasse delle politiche attuali. L’Europa dei capitali ha fatto dell’immigrazione una questione riducibile alla monetizzazione dell’asilo politico, del disfacimento del diritto internazionale e dell’esternalizzazione delle frontiere a colpi di miliardi di euro, lasciando credere ai governi che il loro destino non fosse legato a quello degli altri popoli della regione e che i muri della fortezza resisteranno ai colpi di bastone di coloro che hanno perduto la speranza.
Noi ricordiamo in questa occasione la Carta di Nairobi del 1981[2] che sancisce che gli Stati africani “coscienti del loro dovere di liberare totalmente l’Africa, i cui popoli continuano a lottare per la loro vera indipendenza e dignità e s’impegnano a eliminare il colonialismo, il neocolonialismo, l’apartheid, il sionismo, le basi militari d’attacco straniere e tutte le forme di discriminazione, in particolare quelle basate sulla razza, l’etnia, il colore della pelle, il sesso, la lingua, la religione o l’opinione politica”.
Per noi, l’incontro che si terrà prossimamente a Roma, annunciato come un vertice euro-africano, s’inscrive in continuità nel rinforzo di politiche inefficaci e menzognere che hanno come unica finalità il respingimento su vasta scala e la giustificazione di trattamenti inumani e discriminanti nei confronti di migranti, rifugiati, e richiedenti asilo.
Ricordiamo che al Nord come al Sud, il potere è paternalista, deresponsabilizza i cittadini e si compiace sempre più in riflessi autoritari che criminalizzano la solidarietà e prendono di mira i militanti e le organizzazioni per i diritti umani. Nelle democrazie sempre meno rappresentative, siamo testimoni di una competizione politica di tecnocrati che si combattono per accaparrarsi il potere e servire gruppi d’interesse.
La nostra risposta è senza equivoco: noi rifiutiamo di fare dell’accordo tra Tunisia e UE un modello da seguire, noi lo denunciamo e domandiamo un dialogo responsabile e partecipativo che includa le forze civili, politiche, sindacali e cittadine per promuovere soluzioni alternative e durevoli, portatrici di diritti.
È urgente agire, noi delle società civili tunisina, magrebina, africana, europea e internazionale. Continuiamo a difendere l’ospitalità contro l’odio, l’accoglienza contro il respingimento, l’apertura delle frontiere contro l’innalzamento di muri, noi ci rivolgiamo all’opinione pubblica del mondo intero per dirle:
Noi affermiamo che la mobilità è un fattore indispensabile per lo sviluppo in Africa, facciamo appello al rispetto della libertà di circolazione sul continente e rivendichiamo l’urgente messa in atto di un sistema di protezione sociale universale, permettendo la mobilità e il riconoscimento dei diritti sociali a livello regionale e internazionale.
Noi chiamiamo i sindacati a raddoppiare gli sforzi per regolare la governance della mobilità dei lavoratori e contribuire attivamente a delle soluzioni portatrici di diritti e di progresso sociale sia nei paesi d’origine sia in quelli di destinazione.
Rinnoviamo l’appello alla regolarizzazione dei migranti senza documenti, alla rimozione degli ostacoli amministrativi e alla lotta contro lo sfruttamento dei lavoratori vulnerabili piegati da un modello economico predatorio e ipocrita.
Insistiamo sulla necessità di considerare in maniera seria la questione dell’esodo delle competenze e l’amputazione fatale che rappresenta per lo sviluppo dei paesi d’origine;
Noi facciamo appello ai migranti affinché si auto-organizzino per costituirsi come interlocutori nel processo di protezione delle vittime e di integrazione nelle società d’accoglienza;
al movimento femminista ad integrare i migranti come forza motrice nella lotta contro il patriarcato e lo sfruttamento delle donne;
alla comunità internazionale affinché guidi un sistema di salvataggio e di identificazione delle vittime e metta fine agli interventi punitivi mortali delle forze di sicurezza;
Noi facciamo appello a una politica di volontariato per fare della diversità culturale e della co-creatività le forze viventi di un vivere insieme migliore.
Ricordiamo che la capacità di adattamento delle società umane e il progresso sociale non possono essere l’esclusivismo della classe politica, e come invece questi provengano anzitutto dalla partecipazione, dall’ascolto e dal confronto delle forze vive che animano una società umana in movimento.
Assumere questo programma di lotta e di mobilitazione necessita l’unione dei nostri sforzi e di tutte le nostre energie. È più che urgente la messa in opera di un quadro di lotta che ci unisca nelle dure battaglie che dovremo condurre nei prossimi mesi e nei prossimi anni.
Per un avvenire portatore di progresso sociale nel cuore del Mediterraneo!
Per un Mediterraneo al cuore del progresso del progresso sociale dei popoli!
[1] https://ftdes.net/communique-de-la-rencontre-des-peuples-pour-la-dignite-des-migrant-e-s-declaration-de-tunis/
[2] https://au.int/sites/default/files/treaties/36390-treaty-0011_-_african_charter_on_human_and_peoples_rights_e.pdf
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Mi piacciono sia l’articolo che l’appello. Vorrei commentare con due estratti da un mio intervento seguito alla visita della Meloni nel Corno d’Africa, che descrivono la miseria che abbiamo di fronte, molto maggiore di quella materiale, perché morale.
Ci ferisce in modo particolare l’immagine della Presidente del Consiglio figlia della lupa che urla queste dichiarazioni in una ex colonia del fascismo, l’Etiopia, dove il nostro esercito fece uso di gas nervino, per asservirla assieme ad Eritrea e Somalia, come ricordava a Rai 3 la scorsa settimana la scrittrice Igiaba Scego, di origine somala, assieme a Tommaso Giartosio, che ha fornito ulteriori elementi sui momenti bui della storia italiana al confine slavo, anch’essa mistificata da anni.
Il comportamento che dimostra che questo governo non abbia paura al momento di perdere consenso è segnato dall’arroganza con cui rivendica il suo odio nei confronti dei migranti, dei detenuti e delle classi dalle quali la maggior parte di loro provengono, delle donne al di là di una vulgata da “underdog” della presidente che rivendica donne al posto degli uomini nei posti e nelle modalità di comando detenute degli stessi, dei giovani, degli ambientalisti, per deviare lo sguardo della popolazione dal vero obiettivo, che siamo tutti noi oppositori, la nostra libertà d’azione, di riunione, di pensiero, di affermazione della Costituzione e dei diritti sociali e individuali inscindibili che essa afferma.