editoriali

Meloni e Macron, congressi e piazze

di Roberto
Musacchio

Arrivano praticamente in contemporanea, si sovrappongono, interrogano. Le immagini di Meloni che parla al congresso CGIL e quelle delle piazze francesi in rivolta dopo l’annuncio di Macron che taglia fuori l’Assemblea Nazionale dal voto sulla riforma delle pensioni. Con gli eletti della NUPES a cantare la Marsigliese in aula. Mentre Meloni “propone” a cornice delle sue ricette di destra, ma ampiamente trasversali da tempo, l’idea di una Unione Nazionale. Quella per cui la destra sta avanzando la proposta di istituire come festività solenne (al posto del 25 aprile) il giorno della Unità d’Italia nel 1861. L’Italia dei Savoia, al posto di quella della Liberazione. Monarchica e non Repubblicana. Già Ciampi e Craxi posero molto l’accento sul Risorgimento, andando a prima della Resistenza. Erano Garibaldi e Mazzini ad essere evocati. Ma ora l’occhio è proprio ai Savoia, col presidenzialismo all’ordine del giorno.

Ma andiamo con un po’ d’ordine. Si dirà che Macron ha strappato con popolo, sindacato e Parlamento mentre la CGIL ottiene il rispetto di Meloni. Non mi convince. La realtà è che ciò che vuole Macron, e la UE con il capitalismo finanziario, è la fine del sistema previdenziale come pilastro del lavoro come collante sociale, della solidarietà intergenerazionale e del welfare. Queste cose in Italia sono già state “conquistate” dalla “lotta di classe rovesciata” dell’ormai quasi quarantennio orribile. E sono state conquistate non con l’arroganza delle destre ma con l’accondiscendenza del centrosinistra. A Dini fu dato quello che a Berlusconi era stato duramente contrastato con la lotta. Per un governo si è ceduto un punto fondamentale delle pensioni come architrave di un blocco sociale imperniato sul lavoro e cioè il sistema retributivo. Si è acceduti all’idea che centrale non è il diritto a mantenere il livello di vita dato dal lavoro di una vita ma il presunto equilibrio dei conti. Dico presunto perché è evidente che il cosiddetto sistema sta in equilibrio, economico e sociale, se considera il lavoro come pilastro e persegue la piena e buona occupazione. E chi lavora oggi paga chi ha lavorato ieri. Magari, come accade nelle ex socialdemocrazie nordiche, con il contributo della fiscalità generale. Se invece la pensione è mero salario differito e col contributivo lo Stato e gli imprenditori si sgravano dall’obbligo di garantirla, l’incentivo sarà a non pagare neanche il lavoro in essere, i salari e i contributi. Semplicemente questo è ciò che è avvenuto. Si sono colpiti i diritti dei pensionati in nome dei giovani ed ora i giovani sono ancora più precari o fuori dal mondo del lavoro e molti vivono con ciò che rimane delle vecchie pensioni. Un colossale imbroglio che è confermato dal fatto che le pensioni continuano a pagarle i lavoratori in essere (metodo a ripartizione) perché se si passasse al sistema a capitalizzazione (ciò che “hai messo da parte”) si fallirebbe.

A proposito di imbrogli giganteschi quello delle pensioni non è il solo. L’inflazione è un’altra gigantesca truffa. Negli anni in cui il lavoro aveva guadagnato punti nella distribuzione della ricchezza ed “elementi di socialismo” nella definizione salariale più equa (si pensi al punto unico di contingenza) fu accusato proprio il salario di creare inflazione. Ma oggi che i salari non crescono, anzi, mentre l’inflazione galoppa perché non si accusa la corsa dei profitti, ancora più vergognosa perché fatta “surfando” sulle crisi tragiche? No, quelli non si toccano e FED e BCE vanno a innalzamenti del costo del denaro che trasformeranno l’inflazione in crisi sociale con nuova austerità.
E, terza truffa, quella fiscale dove la sola verità vera è che nel ventennio nella sola UE la tassazione sulle imprese è scesa di dieci punti, al di sotto nettamente di quella sul lavoro e le pensioni, mentre sono cresciute le quote dei paradisi fiscali.
È il mondo della diseguaglianza, bellezza.

Ecco la differenza profonda tra la Marsigliese francese, canto dell’égalité, e l’Unità della Nazione di Meloni in salsa Savoia.
In mezzo c’è quello che dicevo. In Italia principi e pilastri del blocco sociale del lavoro “consegnati” da chi avrebbe dovuto difenderli. In Francia un blocco sociale per sé che ancora lì difende. Macron è il nostro passato. Meloni il presente e il futuro. Dietro ci sono anche le diverse borghesie tra Italia e Francia, la storia italiana segnata dal ventennio chiuso grazie a un riscatto popolare andato in frantumi con lo scioglimento del PCI. Rispetto al quale non c’è stata supplenza sindacale, purtroppo. E le foto di Meloni da un lato e della “nuova Vasto”, da Calenda a Fratoianni, che dovrebbe essere l’alternativa, non promettono nulla di buono. Tanto meno gli audio. Con i nuovi Vasto a declinare lo stiamo insieme con totale confusione e incertezza di contenuti deboli ed assemblati. Mentre Meloni propone il “contrappeso nazionale” (in piena dissoluzione dell’unità sociale con l’autonomia differenziata) all’egemonia riconosciuta di globalizzazione (ora in area neo atlantica) ed imprese. Cioè ciò che avviene nella UE dell’accordo, fondato sulla guerra, tra establishment e nazionalisti di destra divenuti storicamente egemoni.
Naturalmente mi auguro che da ciò che permane come il più grande aggregato sociale, la CGIL, vengano nuove capacità di lotta e di contro egemonia. Ce n’è assolutamente bisogno.
Intanto però è la lotta francese che va sostenuta da tutti. Lì c’è la modernità che va dalla Rivoluzione francese a quella socialista che ancora resiste al nuovo ancien regime in salsa finanz-orwelliana. Lì, diciamolo con giusta enfasi, si fa la Storia.
Guardiamo anche a ciò che accade in Spagna e Grecia dove si voterà prima delle elezioni europee per quelle nazionali. In Spagna il governo sta riformando le pensioni cercando di mettere qualche riparo ai guasti di Rajoy. Più contributi e un calcolo sui migliori 25 anni che in qualche modo corregge il contributivo e ripristina il legame con la vita acquisita. Yolanda Diaz ha parlato al congresso Cgil. Pablo Iglesias ha affidato ad un tweet il suo sconcerto nel vedervi Meloni.
In Grecia si chiede giustizia per il gravissimo disastro ferroviario. Figlio della austerità e che chiede conto anche all’Italia.

C’erano un tempo i blocchi sociali. Oggi c’è il capitalismo orwelliano e ci sono più che altro blocchi nazionali (anche la Germania lo è con le sue aristocrazie operaie). Per ricostruire un blocco sociale del lavoro serve ripartire da ciò che lo permise un tempo e cioè il conflitto che rende la classe in sé classe per sé.

Landini ha chiuso il congresso “prendendo” le distanze da Meloni, enucleando i punti di una possibile piattaforma, dal fisco alla pace, soprattutto evocando un possibile sciopero generale. Ecco, proprio questo sarebbe quanto mai necessario, prima possibile.

Roberto Musacchio

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