La sconfitta nel referendum sulla nuova Costituzione cilena colpisce.
Un bellissimo testo, sociale, ecologista e femminista, che perde col 60% di no a fronte del lascito di Pinochet.
Il Cile è un luogo simbolico importante per la nostra Storia. Il golpe contro Allende, preparato da manovre internazionali e da sommosse interne, fu occasione di un dibattito anche drammatico sulle possibilità di riformare i sistemi capitalistici con la democrazia da essi stessi forgiata.
Berlinguer e il PCI di allora ne trassero l’indicazione di un necessario ampio compromesso politico e sociale. Le nuove sinistre al contrario di un bisogno di rotture dell’impianto borghese.
Caso vuole che la sconfitta cilena cada nei giorni della morte di Gorbaciov. Un altro sconfitto, non morto col mitra in mano come Allende, ma pure lui colpito da un doppio golpe. Quello in realtà senza futuro della vecchia struttura conservatrice e poi quello di prospettiva di Eltsin che, con l’appoggio dell’Occidente che celebrava la vittoria sul comunismo, scioglieva l’Urss e preparava la Russia che sarà alla fine putiniana contro cui oggi lo stesso occidente chiama alle armi. Io lo definisco sconfitto ma non perdente. Nei trent’anni che è sopravvissuto le sue posizioni, dalla Jugoslavia alla Ucraina, non hanno mai coinciso con quelle della NATO che ha tradito essa si tutti gli accordi di allora. La rapidità con cui Eltsin soppiantò i conservatori fa riflettere che quel sistema di forza, esercito e partito, non teneva più. Gorbaciov non voleva (e non poteva) essere né Deng né Putin anche perché l’Urss non era né la Cina né la Russia. Provò a rilanciare sui grandi temi inevasi, allora ed ora, come la casa comune europea e la democrazia globale. Fu sconfitto e infatti l’URSS fu sciolta. Non lo direi perdente.
Per continuare le “riflessioni” sulla settimana, c’è Letta che “strappa” col blairismo, “supera” il job act e dice di guardare alle leggi spagnole di Diaz.
Ora, a parte l’inaffidabilità del personaggio e del suo partito, il tono è di chi pensa che cambiare politica, e la società, sia come cambiare una vetrina. O i modi di gestione di una azienda lasciandola però uguale a se stessa. Significativo è che Letta si guardi bene di parlare di ripristino dell’articolo 18. Che è poi il vero punto chiave, quello che sposta i rapporti di forza tra i soggetti sociali. Il potere di licenziare. Chi comanda qui è la domanda chiave della democrazia. E questa domanda nasce nel cuore del rapporto fondativo, quello di lavoro. Tu puoi bonificare un po’ la miriade dei contrattini che tu stesso hai fatto ma se non togli il potere di licenziare nessun contratto sarà mai realmente stabile e in grado di far esercitare la libertà di lavoro e di diritti. Infatti la discussione vera in Europa è stata su la flexicurity e cioè se ti licenziano lo Stato ti paga tutto per tutto il tempo necessario. Accantonata per i costi e il ruolo dello Stato. Figuriamoci qui che odiano anche il reddito di cittadinanza. Per amore della ricerca di verità c’è anche da dire che le buone riforme spagnole purtroppo non hanno impedito una serie di sconfitte elettorali, anche se si spera che alle prossime politiche andrà meglio.
E infine c’è la grande manifestazione di Praga contro la guerra. La partecipazione è imponente e popolare. La convocazione trasversale. Ma anche il fronte della guerra lo è ovunque come in Italia dove Letta e Meloni si contendono la palma neo atlantica.
Una settimana così mi ha spinto a riprendere in mano un libro di Ingrao, Masse e potere. Libro del 1977 che raccoglie vari scritti del dirigente comunista. Tra di essi uno in cui Ingrao interloquisce con Bobbio sulla democrazia, le masse, i soggetti sociali e lo Stato. Ingrao si distingue da Bobbio ponendo la questione di come la democrazia elettorale possa fare i conti con i rapporti di forza e di potere economici, sociali e ideologici. Per altro nello stesso libro Ingrao scrive che la democrazia nata dalla Liberazione non è la continuità con lo Stato liberale ma ha in sé elementi di rottura dati dalla Resistenza. Dice che il 1948 non fu un gioco delle parti ma la pesante e voluta, cioè oltre l’imposizione atlantica, ristrutturazione a favore del modello Fiat. Ciononostante gli elementi che agiscono una democrazia progressiva permangono nel “caso italiano” e nello scenario mondiale pur in presenza della degenerazione staliniana che non va rimossa ma affrontata. Perché oggi (1977) più che mai lo Stato può essere pervaso dalle ragioni di classe della borghesia che addirittura si tecnicizzano. E dunque serve una nuova teoria dello Stato che è poi teoria della Rivoluzione e quindi del ruolo delle masse, e degli individui, organizzati. Per cui il Partito resta fondamentale a differenza della critica di Bobbio.
La lettura mi impressiona. Mi aiuta a districarmi dalla spirale mortale in cui stiamo precipitando. Che io chiamo orwelliana. Che si manifesta nella guerra mondiale permanente. E che avviene tra autocrazie e democrature. Cioè tra due diverse ma simili forme di creazione di dipendenza delle masse dal potere nate entrambe dal bisogno di rompere qualsiasi rapporto tra esse, le masse, e la Rivoluzione. Per garantire il dominio trasversale dei dominanti.
Autocrati e democrati sono molto simili. Abusano dell’ideologia dominante, sia essa la Nazione o il Bene. E contemporaneamente hanno tecnicizzato il potere. Massimamente in Occidente dove ormai c’è una classe tecnocratica dominante che attraversa tutti i campi avvalendosi di porte girevoli. Ma anche le autocrazie si avvalgono di queste insiemistiche tra poteri.
Il ‘900 è stato diviso in due parti opposte tra loro. La prima è il tempo delle Rivoluzioni che tolgono centralità alle guerre interimperialistiche. La seconda è il tempo della restaurazione violenta con il ritorno delle guerre fino alla attuale forma orwelliana.
Davanti a noi, diceva Marx, non c’è una Storia lineare ma una alternativa drammatica. La barbarie purtroppo oggi sta prevalendo e guerre, pandemie, disastri sociali e climatici ce lo dicono. Ricucire, rovesciando l’attuale dominio, il rapporto tra masse e potere è indispensabile ma questo lo può fare solo una nuova Rivoluzione.
Roberto Musacchio