Riprendiamo con lo stesso titolo da connessioniprecarie.org —
Siamo donne e uomini, lavoratrici, lavoratori e sindacalisti, rifugiate e rifugiati, migranti e collettivi antirazzisti, persone LGBTQ+, gruppi femministi e attivisti per la giustizia climatica. Facciamo parte dell’Assemblea Permanente contro la Guerra lanciata dalla piattaforma Transnational Social Strike a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. Quanti di noi vivono in Ucraina sono sotto i bombardamenti; altre e altri stanno organizzando iniziative di solidarietà. Insieme, negli ultimi mesi, abbiamo sviluppato una discussione continua su come affrontare quella che abbiamo definito la Terza guerra mondiale in corso. Crediamo che la guerra ci ricordi brutalmente l’urgenza della lotta contro la società odierna che riproduce la violenza, lo sfruttamento e la distruzione ambientale. Proveniamo da luoghi e contesti diversi ma, vivendo principalmente all’interno dello spazio europeo, riconosciamo la necessità di fare dell’Europa un campo di lotta. Crediamo che questo sia il momento di avere il coraggio di pensare e praticare una politica transnazionale per una vita migliore, libera dall’oppressione, dalla povertà, dal razzismo e dal patriarcato. In questo momento critico, ci uniamo per dichiarare questi principi:
1. Contro la normalizzazione della guerra, abbiamo bisogno di una politica transnazionale di pace
Mentre la guerra in Ucraina continua, le cronache di morte e distruzione sembrano essere diventate parte della normalità quotidiana per coloro che non sono direttamente coinvolti nel conflitto. Oltre all’insopportabile peso della sofferenza umana, la normalizzazione della guerra comporta che la politica sia ridotta al potere degli Stati e al dominio del capitale sulle nostre vite e sull’ambiente. La guerra riduce al silenzio coloro che sono oppressi e sfruttati. Non siamo disposti a fare finta di niente di fronte agli effetti della politica di guerra, a ignorarli per non infastidire qualcuno o per seguire la propaganda di guerra agitata da chi vuole tenere a freno ogni altro conflitto. Sappiamo che in Ucraina c’è una guerra in corso dal 2014 e in passato abbiamo lottato contro altre guerre. Tuttavia, questa guerra si è manifestata come uno shock. In poche settimane, l’invasione russa dell’Ucraina ha scatenato conseguenze diffuse capillarmente a livello globale, costringendoci ad affrontare i limiti delle nostre azioni. Oggi abbiamo più che mai bisogno di inventare una nuova politica per far fronte alla realtà transnazionale in cui ci troviamo e a questa congiuntura politica ed economica in rapida evoluzione.
Rifiutare la normalizzazione della guerra significa superare l’isolamento. Abbiamo bisogno di andare oltre i nostri territori e Stati nazionali e unirci in una politica transnazionale di pace.
2. Lottiamo dentro e contro la Terza guerra mondiale
Siamo di fronte a una guerra mondiale per stabilire un nuovo ordine globale. La Terza guerra mondiale era in preparazione da anni in altri scenari di guerra spesso ignorati perché lontani dal palcoscenico occidentale. Con l’invasione dell’Ucraina ora la vediamo in faccia. Con ciò non intendiamo che la guerra sia condotta solo dalle grandi potenze né che sia combattuta ovunque, ma che ogni luogo del mondo è ora potenzialmente colpito dalla guerra e dalle sue conseguenze. I corollari di tutto questo sono la crescente militarizzazione, le minacce nucleari, l’occultamento dei conflitti sociali dietro una falsa omogeneità nazionale, l’aumento dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari, la ridefinizione delle supply chain in base alle convenienze politiche e il tentativo di governare l’accumulazione finanziaria e industriale attraverso alleanze politiche. Ci rifiutiamo di leggere l’invasione russa semplicemente come una reazione all’espansionismo della NATO, minimizzando in questo modo la portata del disastro che ha causato. Allo stesso tempo, ci rifiutiamo di giustificare la politica di guerra promossa dai paesi “occidentali” con il riarmo, lo scontro economico e le sanzioni che stanno gettando milioni di persone nella povertà e alimentando tensioni in tutto il mondo, rafforzate dal nuovo concetto strategico della NATO. Ci rifiutiamo di accettare l’intero sistema che permette al regime autoritario turco di usare i migranti come merce di scambio al tavolo degli accordi internazionali e la persecuzione dei rifugiati curdi in Europa come ricompensa necessaria per accettare l’allargamento della NATO. Ci rifiutiamo di identificarci con questo o quel governo e di essere pedine strangolate nello scontro di interessi e ideologie tra il regime di Putin, la ristrutturazione della NATO e le ambizioni della Cina di Xi. Non dobbiamo ignorare ciò che questi attori stanno facendo e gli effetti che le loro politiche stanno avendo sulle vite, sui redditi e sulle condizioni di lavoro in tutto il mondo.
Una politica transnazionale di pace interrompe la crescente competizione internazionale prendendo parte nella lotta tra chi paga il prezzo della guerra e chi ne trae profitto.
3. La nostra politica transnazionale di pace si oppone a una pace sociale insostenibile
Non possiamo combattere la politica della guerra con un atto di volontà. Una semplice opposizione retorica alla guerra cancella le differenze e le trasformazioni dei rapporti di potere che la guerra stessa genera. Non basta dire che siamo contro tutte le guerre, se alla fine questo significa non essere contro nessuna guerra in particolare. Non crediamo quindi agli appelli generici in nome della pace, né ci fidiamo dei progetti di diplomazia e di ricostruzione che vedono opportunità per l’estrazione e lo sfruttamento di nuove risorse e alimentano altre guerre. Una politica transnazionale di pace si determina qui e ora, nella complessità e nelle contraddizioni del presente. Sta dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici, delle e dei migranti, delle donne e delle persone LGBTQ+, di coloro che si difendono, di coloro che fuggono e di coloro che disertano l’esercito rischiando il carcere e la persecuzione.
Una politica transnazionale di pace si oppone all’insostenibile pace sociale che vuole che le persone accettino la normalizzazione della guerra e il peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro.
4. L’UE è parte dei nostri problemi, non la soluzione
Non ci allineiamo ai presunti “valori democratici europei” che sono stati mobilitati per sostenere la guerra. L’Europa che conosciamo e i governi nazionali hanno sostenuto lo sfruttamento attraverso politiche neoliberali che hanno distrutto lo stato sociale, soprattutto nell’Europa orientale; hanno permesso all’enorme potere della grande finanza di penetrare nella vita quotidiana attraverso le politiche di ristrutturazione del debito; sono state complici degli attacchi patriarcali alle donne e alle persone LGBTQ+; hanno creato un mercato del lavoro differenziato in cui i datori di lavoro possono sfruttare i differenziali e le gerarchie tra paesi e regioni; hanno imposto un regime razzista alle e ai migranti e a coloro che risiedono al di fuori dell’area Schengen; e, infine, hanno esteso la portata delle politiche progettate per integrare i paesi dell’Europa orientale, dell’Asia centrale e dell’Africa in un regime transnazionale al servizio degli interessi del capitale. Mentre si mostrano pubblicamente uniti a favore dell’adesione dell’Ucraina e della Moldavia, l’Unione Europea e i suoi Stati continuano ad applicare un regime dei permessi gerarchico e a giocare pericolosamente con alcuni paesi tenendoli in una sala d’attesa politica.
Una politica transnazionale di pace mira a rovesciare le condizioni politiche che sostengono lo sfruttamento, la violenza e l’oppressione: riconosce le aspirazioni di coloro che vedono nell’Europa una possibilità e costruisce percorsi di lotta in cui possano unire le forze con coloro che si oppongono al progetto neoliberale europeo di sfruttamento.
5. Non c’è pace se continua la guerra patriarcale contro le donne
La guerra sta accrescendo la violenza patriarcale sia in Ucraina che nel resto del mondo. Lo stupro è un’arma. La guerra è un pretesto per rafforzare le gerarchie di genere: la spirale di militarizzazione onnipresente va di pari passo con i tagli alla spesa pubblica e le riforme neoliberali che rafforzano la divisione sessuale del lavoro e lo sfruttamento delle donne attraverso i confini. La guerra si sovrappone agli effetti sociali della pandemia: le donne, soprattutto quelle migranti, svolgono e continueranno a svolgere un lavoro tanto essenziale quanto svalutato e sfruttato. Sono considerate così necessarie da essere costrette – attraverso le leggi sulla famiglia, il divieto di aborto, la violenza patriarcale e la povertà – ad attenersi al loro ruolo di madri e serve domestiche. In Russia, la guerra è diventata l’occasione per rafforzare la promozione dei “valori tradizionali” e campagne anti-gender, contro le persone LGBTQ+ contro l’aborto. La guerra riduce gli spazi per combattere contro la violenza e l’oppressione patriarcali e per lottare per la libertà sessuale.
Una politica transnazionale di pace si oppone alla guerra che, dopo anni segnati dallo sciopero globale femminista contro la violenza maschile, sta ora accelerando il contrattacco patriarcale già stimolato dalla pandemia. Una politica transnazionale di pace sovverte le violente condizioni patriarcali della riproduzione sociale.
6. Vogliamo un permesso di soggiorno incondizionato contro il razzismo e la violenza dei confini
Più di dieci milioni di ucraine e ucraini sono stati sfollati a causa della guerra. Molte e molti di loro sono fuggiti dal loro paese, cercando rifugio in un’Europa che ha improvvisamente indossato i panni della solidarietà e dell’integrazione. La maggior parte sono donne e molte di loro saranno assunte in lavori poco retribuiti. L’UE ha finalmente dimostrato di essere abbastanza flessibile da potersi mobilitare per accogliere milioni di rifugiati. Questa non è però una semplice ipocrisia da combattere sul piano morale, ma il meccanismo attraverso cui l’UE funziona realmente: produce gerarchie razziste tra “tipi” di migranti e distribuisce alcuni diritti e possibilità in base alle esigenze del mercato del lavoro. Eppure, questo non impedisce che le rifugiate e i rifugiati ucraini, oggi sottoposti al ricatto della protezione temporanea, vengano messi a lavorare per salari miserabili in settori essenziali o alloggiati in alberghi o campi profughi stracolmi. Oggi alcuni sono accolti come veri rifugiati, altri sono respinti al confine, altri ancora, come nei Balcani, sono alle porte dell’UE ma esclusi dal suo regime di visti. Mentre il lavoro dei migranti viene sfruttato, vengono investiti soldi e risorse militari per frenare la mobilità. Questa guerra ai migranti, che li prende di mira e li individua come minacce ibride, fa parte della normalizzazione della guerra.
Una politica transnazionale di pace lotta contro le gerarchie razziste tra i migranti e la violenza dei confini, e per un permesso di soggiorno europeo incondizionato per tutte e tutti.
7. La transizione verde è un campo di lotta contro l’inevitabilità della catastrofe climatica
I conflitti per l’approvvigionamento di energia e materie prime strategiche fanno parte dello scenario da terza guerra mondiale in cui viviamo. Le Unioni politiche, gli Stati e il capitale stanno cercando di piegare a loro favore dinamiche transnazionali altrimenti catastrofiche, presentando piani industriali e finanziari che pongono un’alternativa insostenibile tra la democrazia ecologica occidentale e l’autoritarismo di Putin. La transizione verde come campo di investimenti e profitti del capitale deve ora conformarsi alla politica di guerra. Lungi dall’aprire la strada a risorse energetiche più rispettose del clima, la prevista indipendenza dal petrolio e dal gas russo è un modo per ritardare la conversione dal carbone e dal gas locale o per cercare nuove fonti di approvvigionamento. Il piano europeo RePowerEU, lanciato di recente, inciderà sulle politiche statali e distribuirà in modo ineguale i costi ecologici della transizione con l’aumento dell’inflazione e del costo della vita. La catastrofe climatica è incombente, ma la transizione verde è più che mai un modo per fare profitti in nome dell’ambiente e per alimentare guerre, profitti e sfruttamento. Per lottare per la giustizia climatica dobbiamo affrontare i molteplici effetti della competizione bellica e le tensioni innescate a livello globale dall’aumento dei costi energetici.
Una politica transnazionale di pace si sottrae al ricatto della catastrofe e trasforma la transizione verde in un campo di lotta.
8. Dobbiamo costruire una forza collettiva contro le gerarchie salariali
La guerra in corso serve a chiedere sempre nuovi sacrifici. Già in aumento dopo la pandemia, i costi del riscaldamento, del petrolio, del cibo e l’aumento generale dell’inflazione stanno raggiungendo un punto in cui i salari non bastano per arrivare alla fine del mese, producendo proteste e instabilità in tutto il mondo. In risposta a questa situazione, l’UE ha approvato una direttiva per il salario minimo europeo. Questo porterà all’aumento dei salari in alcuni luoghi dove molte persone vivono al di sotto della soglia di povertà e li diminuirà in altri. Di certo non porterà a salari uguali per tutte e tutti in tutta Europa: il progetto di fondo è quello di preservare una parte dell’Europa come serbatoio di manodopera a basso costo per l’altra. Anche se l’UE applaude coloro che in Ucraina sono pronti a “morire per l’Europa”, per essere europei alcuni devono lavorare per salari miseri e accettare leggi sul lavoro dure e, se sono donne, sostenere il welfare fatiscente dell’Europa occidentale. In questo senso, è essenziale sostenere le lotte autonome e i sindacati indipendenti, poiché lo stato di guerra minaccia l’esistenza stessa dei sindacati ucraini, mentre in Bielorussia il governo usa la repressione e imprigiona gli attivisti sindacali. La guerra di Putin è una guerra contro i movimenti sociali e per mettere a tacere qualsiasi movimento di protesta.
Una politica transnazionale di pace sostiene e connette i lavoratori e le lavoratrici che lottano per ottenere salari più alti e prestazioni sociali per tutte e tutti e mira a rovesciare le differenze salariali tra paesi e condizioni che producono lavoratori e lavoratrici di seconda o terza classe.
9. Dobbiamo imparare a scioperare insieme, di nuovo
Invece di allinearci con questa o quella potenza o di organizzarci contro di essa, sosteniamo una politica transnazionale in cui coloro che resistono alla guerra, coloro che fuggono e disertano, coloro che si muovono per cercare una vita migliore e coloro che lottano contro lo sfruttamento, la violenza e l’oppressione possano trovare la propria voce collettiva e costruire il proprio potere collettivo. Una politica transnazionale di pace mira a immaginare e praticare (di nuovo o per la prima volta) la possibilità di trasformazione sociale tra condizioni sociali, geografiche e politiche diverse, a reinventare strategie collettive di ricerca della solidarietà, a inventare nuove forme di lotta politica e sociale. Per fare ciò, dobbiamo concentrare le nostre energie e capacità sui terreni sociali in cui le politiche neoliberali hanno suscitato movimenti, proteste e scioperi e che ora sono travolti dalle conseguenze della guerra.
Strike the war! Una politica transnazionale di pace lotta contro la guerra promuovendo la comunicazione politica e costruendo strategie comuni per connettere le lotte nella riproduzione sociale, nel lavoro e nelle migrazioni e contro la violenza patriarcale. Come hanno detto le femministe russe contro la guerra e come abbiamo iniziato a fare il Primo Maggio, dobbiamo imparare a scioperare di nuovo insieme. Contro la guerra, lo sfruttamento, il razzismo e il patriarcato. Questa è la nostra politica transnazionale di pace.