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Ma da dove vengono i venti di destra?

di Giorgio
Cremaschi

Il cordoglio nazionale, a reti e partiti unificati, per la morte di Silvio Berlusconi, il primo rappresentante della regressione liberista e autoritaria del’’Italia degli ultimi trent’anni, dovrebbe chiarire a Schlein da dove venga quel vento di destra di cui la segretaria del PD si è lamentata dopo la sconfitta elettorale.

I venti sono gli effetti, non le cause, degli eventi climatici. Quindi se si vuole capire da dove e perché spiri in Italia ed in Europa un vento di destra, bisogna risalire alle sue fonti: da dove parte e perché?

La prima di queste fonti è il liberismo economico che è diventato la dottrina ufficiale e la pratica concreta delle istituzioni europee e dei governi, dal trattato di Maastricht del 1992 in poi.
Lord Beveridge, il liberale teorico dello stato stato sociale britannico, sosteneva che le ragioni del welfare state fossero politiche prima che economiche.
Si dovevano eliminare le radici economiche e sociali che avevano alimentato il fascismo, questa per Beveridge era la ragione di fondo per cui nel dopoguerra le democrazie dovevano abbandonare il liberismo economico e fare propri l’intervento pubblico, i servizi sociali pubblici, la redistribuzione della ricchezza.
Se Beveridge aveva ragione, se il fascismo affondava le proprie radici nel liberismo economico, allora la restaurazione liberista della fine degli anni settanta, codificata nei trattati europei degli anni novanta, ha sparso il concime necessario affinché quelle radici si ricostituissero.

Del resto la prima cavia della restaurazione liberista fu il Cile, dopo il golpe sanguinario di Pinochet. La dittatura militare fascista, voluta e sostenuta da Kissinger, sperimentò sul popolo oppresso e massacrato le ricette dei Chicago Boys di Milton Friedman.
E a proposto di cavie, la Grecia quarant’anni dopo lo divenne per tutta l’Unione Europea. I memorandum della troika non furono sostenuti dai carri armati, almeno non alla luce del sole, ma dal ricatto di banche e della finanza internazionale sullo stato. Però produssero un risultato analogo a quello della dittatura fascista cilena: la distruzione dello stato sociale, la privatizzazione di tutte le principali attività economiche compresi i servizi essenziali, la crescita enorme della povertà e delle diseguaglianze, accompagnata dalla concentrazione della ricchezza in poche mani, in gran parte multinazionali.

Se le ricette economiche di Pinochet, e poi quelle di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, sono diventate la dottrina ufficiale della UE, come si può credere che questo non abbia accumulato effetti politici? Il liberismo è una politica economica di estrema destra lanciata da governanti di estrema destra. Come si può credere che questa politica, diventata il pensiero unico dell’Europa e dell’Occidente, non producesse anche una omologazione ad essa del sistema politico e dello stesso senso comune? Come si può credere che si possano distruggere le basi sociali della democrazia e non provocare il ritorno della reazione e del fascismo?
Beh, la sinistra ufficiale occidentale, l’ulivo transnazionale di cui fantasticavano Clinton e Prodi, lo hanno proprio creduto.
La sinistra socialdemocratica e liberale, a partire dagli anni novanta del secolo scorso, ha rottamato le raccomandazioni di Lord Beveridge e ha creduto di poter cavalcare il liberismo e persino il turbocapitalismo, ricoprendolo di buoni sentimenti, qualche diritto civile, qualche elemosina pomposamente presentata come diritto.

Tutte le conquiste sociali dei primi trent’anni del dopoguerra sono state ridimensionate, ridotte, soppresse nei decenni successivi, mentre nessun nuovo diritto sociale, nonostante la propaganda, è stato introdotta davvero e in modo duraturo. Con il risultato che la distribuzione della ricchezza in Europa e nell’Occidente è tornata ad essere simile a quella di fine ottocento. Come poteva la sinistra ufficiale, che con i suoi governi ha contribuito a questa gigantesca regressione, illudersi che il frutto di tutta questa opera di distruzione dell’eguaglianza non fosse raccolto dalla destra, che ha sempre considerato l’eguaglianza il primo nemico?
La centralità dell’impresa e del mercato, la competizione individuale estrema, la selezione sociale, la colpevolizzazione di chi non ce la fa, la condanna del collettivo e dell’eguale, sono diventati valori dominanti e senso comune; su questo hanno lavorato politicamente, ideologicamente e materialmente Berlusconi e il suo mondo. Con quale boriosa ottusità la sinistra ufficiale ha creduto, e ancora crede, di essere più capace della destra reazionaria nel gestire il dominio della legge della giungla e il suo effetto ideologico?
Certo, per una fase poteva essere necessario che partiti di sinistra gestissero politiche di destra, quando ancora le forze e la capacità di lotta e ribellione degli oppressi fossero rilevanti. Lo teorizzò Gianni Agnelli, per questo sostenitore del governo D’Alema.
Ma una volta che la diga venne rotta, dopo anni di devastazione e frantumazione sociale, al potere economico la sinistra social-liberale non serviva più. Meglio la destra reazionaria, che ad un sistema mostruosamente ingiusto aggiunge tutta la sua copertura ideologica. Lo scriveva già Gramsci sul proibizionismo. Lo sviluppo economico, in certi momenti, ha bisogno della disciplina di Dio Patria Famiglia.

Se l’economia è andata a destra, il sistema politico e istituzionale europeo l’ha seguita.
La caduta del socialismo reale e del suo autoritarismo, avrebbe potuto essere l’occasione per una espansione della democrazia. Così era stata per altro presentata e propagandata.
È accaduto il contrario. In tutta l’Europa, democrazia e partecipazione, in misura diversa, sono state ridimensionate. E nei Paesi dell’Est, dopo una parentesi dì euforia della libertà, si sono affermati regimi sempre più autoritari e reazionari, fino oggi ai governi sostanzialmente neofascisti di Polonia e Ungheria.
Nel sistema politico ed istituzionale europeo i vincoli dei trattati e i poteri della burocrazia venivano posti al di sopra delle costituzioni democratiche. A sua volta in Italia e in molti Stati si affermava poi l’ideologia dalla governabilità e del decisionismo.
Il confronto su come rafforzare i poteri del capo, ha preso il posto di quello su come affermare i poteri di controllo e partecipazione democratica. Così come i diritti sociali vennero considerati lacci e lacciuoli che frenavano la crescita economica, così il potere popolare e il controllo democratico del Parlamento furono considerati ostacoli all’efficienza del potere politico. Lo Stato democratico, anzi l’intero Paese, venivano sempre più paragonati ed assimilati all’impresa capitalistica e al suo sistema di comando.
Al popolo veniva lasciato il diritto di scegliere il capo dell’azienda Italia, ovviamente tra leader politici e schieramenti vincolati agli stessi principi liberisti, alla UE e alla NATO. Anzi i sistemi elettorali avrebbero dovuto semplificare le modalità della scelta. La sera delle elezioni già si dovrebbe sapere chi comanda, ingiungevano politici, intellettuali, giornalisti, nel nome della modernità.

Questo processo autoritario di trasformazione dei processi decisionali democratici in quelli dell’impresa, nel nome dell’efficienza, questa vittoria di Schmitt su Kelsen, da noi ha avuto la prima formalizzazione nella seconda Repubblica.
Così sono stati legittimati e anche realizzati i progetti reazionari della P2 di Licio Gelli e quelli di Almirante. Nella prima Repubblica il presidenzialismo veniva considerato un attentato golpista alla Costituzione antifascista, oggi è terreno di normale confronto e può persino sembrare lo sbocco naturale di un processo che ha messo al centro di tutto il capo; e non il controllo democratico sul potere.
La Banca Morgan, nel 2013, in un testo del suo ufficio studi, metteva sotto accusa le Costituzioni europee antifasciste del dopoguerra, perché troppo sociali e troppo democratiche. I comunisti, in virtù dell’influenza ottenuta per il contributo determinante alla sconfitta del nazismo, avevano imposto principi socialisti. Quei principi erano divenuti incompatibili con la competizione capitalistica attuale e andavano dunque rimossi. Questo scriveva una delle più importanti multinazionali della finanza, che aveva nei suoi budget politici nomi come quello di Tony Blair.
Contemporaneamente alla stretta istituzionale si diffondeva quella poliziesca. Tutti i Paesi europei hanno approvato o reso più feroci leggi di polizia contro le proteste, le manifestazioni, gli scioperi, ma anche semplicemente contro il disagio sociale e la povertà, considerati come offesa al decoro e alla rispettabilità. Sempre di più lo Stato democratico europeo volge verso lo Stato di polizia. E la prigionia per conto degli USA di Julian Assange mostra che l’Europa reazionaria della persecuzione di Dreyfus è tornata.

Lo smantellamento delle Costituzioni democratiche e antifasciste ha finito anche per proporre un corollario ideologico: la sostituzione dell’antifascismo con un generico antitotalitarismo, che poi sarebbe diventato semplicemente anticomunismo. Persino un voto formale del Parlamento Europeo sancì questa operazione ideologica.
Su ispirazione dei governi revisionisti dei Paesi dell’Est, a Strasburgo fu approvata l’equiparazione di nazismo e comunismo. Era questa la base ideologica della guerra in Ucraina contro la Russia e del confronto sempre più aspro con la Cina. Ma soprattutto così veniva sdoganato tutto il nazionalismo fascista europeo, il cui titolo di merito diventava quello di aver combattuto il comunismo, seppure con qualche alleanza sbagliata. E tutte le sinistre socialiste e liberali condivisero questa cancellazione revisionista del significato politico e sociale della resistenza e della guerra al nazismo.
Il liberismo economico, l’autoritarismo politico, il revisionismo storico, tutti, almeno inizialmente, fatti propri dalla sinistra socialdemocratica e liberale, hanno posto le basi per la legittimazione ed il ritorno al governo della destra reazionaria e neofascista. Che però ha anche potuto rafforzarsi con due altri pilastri della politica europea.

Il primo è il fascismo delle frontiere. Le politiche restrittive e i muri contro i migranti sono stati fatti propri da tutti i governi europei, dall’estremo nord al confine africano. Accordi economici con governi autoritari e con autentici tagliagole sono stati sottoscritti per ottenere da essi il contenimento e la carcerazione dei migranti. Il PD di Minniti è da noi colpevole di questa scelta esattamente come i leghisti e i neofascisti.
Ha giustamente suscitato indignazione il ministro Piantedosi quando ha definito i migranti da respingere “carico residuale”. Ma la Presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen aveva chiamato “armi improprie” i migranti che si affollavano alla frontiera polacca e che venivano respinti nel freddo con acqua ghiacciata e lacrimogeni.
La spersonalizzazione disumana dei migranti, considerati solo come numeri utili per l’economia se e quando servono, non poteva che alimentare razzismo e xenofobia. La destra ha semplicemente raccolto il veleno diffuso dai governi liberali.

Infine, nulla è più di destra che fare la guerra. Questa verità culturale e storica, è diventata nuova realtà nell’Europa impegnata a vincere la guerra contro la Russia. La fedeltà euroatlantica, il suprematismo occidentale, il militarismo patriottardo, si sono progressivamente fusi, senza distinzioni politiche rilevanti tra socialdemocratici, liberali, reazionari.
Mario Draghi, che già aveva imposto in Italia, con una lettera scritta assieme a Trichet nel 2012, un’accelerazione feroce delle politiche liberiste, che come capo della BCE aveva coordinato il massacro sociale della Grecia, come Presidente del Consiglio ha portato l’Italia in guerra con la benedizione del Presidente Mattarella.
Ora Draghi lancia proclami di vittoria a tutti i costi facendo proprio il peggiore fanatismo guerrafondaio, che ignora e sbeffeggia i rischi di una terza guerra mondiale.
Giorgia Meloni deve solo ripetere le parole del suo predecessore, per dare il via a tutto l’armamentario della destra italiana.

Sì, spira un vento di destra e la sinistra socialdemocratica e liberale ci ha soffiato e continua a soffiarci dentro.
Né riverniciature ambientaliste, né proclami sui diritti civili avulsi da una critica sociale, potranno fermare una destra che cavalca l’inerzia liberista della politica europea.
Nessuno dei nodi della crisi, a partire proprio da quella climatica, potrà essere sciolto se non si mette in discussione il sistema liberista europeo, costruito negli ultimi trent’anni e oggi difeso con la guerra. È difficile contrastare la destra reazionaria e neofascista in Italia ed in Europa se si accettano tutti i presupposti che l’hanno fatta rinascere.
Oggi l’europeismo reale è quello di Giorgia Meloni, è ridicolo pensare di opporsi ad esso fantasticando di un europeismo ideale che non è mai esistito davvero e che oggi tutti i governi ignorano.
La destra reazionaria e neofascista al governo riassume ed è il prodotto di decenni di involuzione europea, a partire dall’abbandono dalle più grandi conquiste del continente, dovute proprio alla sconfitta del fascismo: lo stato sociale e la pace. Il suo cemento ideologico è l’anticomunismo, divenuto occidentalismo euro-atlantico guerrafondaio.

Se non si lotta per rovesciare tutta la politica e l’ideologia dominanti negli ultimi decenni, il vento di destra continuerà a spirare e a propagarsi.

Giorgio Cremaschi

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1 Commento. Nuovo commento

  • Aristide Bellacicco
    15/06/2023 6:40

    Non si può non tener conto che l’elettorato della destra ha il suo bacino maggiore nei ceti popolari, forse anche operai, e nella piccola borghesia violentata dal neoliberismo e dalla precarizzazione del lavoro.
    Esiste, nella vittoria elettorale di Fratelli d’Italia & co., una forte componente di ostilità all’Europa così com’è: un club per ricchi. È il rovescio della medaglia dell’ideologia progressista della sinistra borghese dopo la fine del socialismo storico. Coloro che oggi si dicono “progressisti” in Italia sembrano credere ancora che il capitalismo sia una garanzia di libertà e l’unica condizione per lo sviluppo culturale e civile delle società: una sorta di fede cieca che, forse inconsciamente, riprende il peggio della versione positivistica del marxismo senza aver mai nemmeno letto una riga del Capitale (o senza averlo compreso). È ovvio che da una posizione del genere, che è poi quella più efficacemente rappresentata dal Partito democratico, l’ispirazione concretamente progressiva e socialmente avanzata della Costituzione sia completamente negletta o ridotta alla retorica dei diritti civili.

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