Questa volta il valore simbolico delle date in Libia non ha funzionato. Pochi mesi dopo la sua ascesa al potere, Gheddafi, nel 1970, nel cacciare gli occupanti italiani aveva introdotto come festa nazionale il 7 ottobre come giornata della vendetta. 38 anni dopo, la data, anticipata di una settimana, al 30 settembre, divenne, dopo l’accordo con Berlusconi, la “giornata dell’amicizia”. Con una guerra civile di fatto mai terminata e iniziata con la morte di Gheddafi, lo Stato libico si è letteralmente frantumato: prima i bombardamenti Nato, poi la spartizione in migliaia di milizie perennemente in guerra fra loro, l’incubo dell’Isis, l’arrivo dei mercenari turchi e russi, una crisi economica a causa della quale gran parte dell’economia di sussistenza è oggi costituita dal traffico illegale di persone, petrolio, armi e quant’altro. Le tante conferenze sponsorizzate dall’Onu che si sono tenute negli anni hanno sempre incontrato l’ostacolo dei numerosi e divergenti interessi in un paese ritenuto strategico per un’area che va dagli Usa alla Russia, passando per UE e Turchia. Da quasi un anno, dopo gli scontri che avevano visto soprattutto opporsi la Cirenaica del generale Haftar e la Tripolitania di Serraj, il primo sostenuto da mercenari russi e dall’Egitto, il secondo ufficialmente dall’Ue ma nei fatti soprattutto dalla Turchia, si era arrivati a definire una road map che doveva portare a “libere elezioni”presidenziali, il 24 dicembre scorso. Una data non casuale. Settanta anni prima, lo stesso giorno, veniva proclamato il Regno Unito di Libia, una monarchia costituzionale guidata dal Re Idris Al Senussi. La permanenza del Governo di unità nazionale del premier Abdulhamid Dabaiba, era scaduta e i sommovimenti di numerose milizie, tanto a Tripoli, Misurata, Sirte quanto in Cirenaica, hanno fatto temere il peggio. Il rinvio era nell’aria da giorni. Almeno da quando, alla Conferenza di Parigi, di cui abbiamo già scritto, nonostante le minacce di sanzioni per chi avesse ostacolato il processo elettorale e la richiesta esplicita del ritiro dei militari stranieri (la Turchia ha portato soprattutto propri ufficiali ma soldati siriani), proprio Turchia e Russia hanno boicottato l’incontro mandando unicamente funzionari di basso profilo e non in condizione di prendere decisioni. Intanto la Commissione elettorale non aveva neanche pubblicato un elenco dei candidati accettati. In precedenza, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres aveva affermato che le elezioni dovrebbero svolgersi “nelle condizioni appropriate”. L’alto diplomatico ha promesso che la sua organizzazione continuerà a sostenere gli sforzi della Libia per superare le sfide e tenere le elezioni presidenziali e parlamentari il prima possibile. Secondo quanto riferito dal Libya Review l’Assemblea sarà chiamata in particolare ad approfondire la relazione della commissione parlamentare che ha collaborato con l’Alta Commissione elettorale e il Consiglio giudiziario supremo riguardo alle questioni legali sorte durante il processo elettorale. Quindi ha ricordato che il parlamento ha già creato un nuovo comitato, composto da 10 membri, con il compito di definire una nuova road map per il voto e di riferire, entro una settimana, alla presidenza dell’Assemblea. Il presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, ha incontrato il Consigliere speciale dell’Onu per la Libia, Stephanie Williams. “Ho accolto con favore il suo impegno a portare avanti il processo elettorale, compresa la necessità che tutti i candidati rispettino il principio di parità di condizioni”, ha twittato Williams.
Il 27 dicembre, il Parlamento libico è stato convocato per decidere sulla nuova data delle elezioni ma ha rinviato la seduta chiedendo all’Alta commissione elettorale di fornire maggiori elementi, sia di natura tecnica che in materia di sicurezza. Nel report consegnato ai parlamentari, 60 dei quali giunti da Tripoli a Tobruk, la Commissione incaricata di monitorare il processo elettorale ha raccomandato di riscrivere la costituzione in coordinamento con il Consiglio Supremo di Stato con sede a Tripoli. La persistenza di due organismi similari, uno in Tripolitania, l’altro in Cirenaica, spesso poco comunicanti fra loro, non ha infatti facilitato il già irto percorso. Nel report si propone di tracciare una “roadmap pratica” per le elezioni, senza fissare date.
Questo perché, secondo l’emittente al Arabiya, la Commissione aveva proposto il 24 gennaio come nuova data, dopo il fallimento dell’impegno delle parti a tenere la consultazione quattro giorni fa, ma alcuni deputati si sarebbero espressi per un rinvio di sei mesi. Dunque nel report consegnato ai parlamentari, la Commissione definisce rischioso stabilire un’altra data e chiede la definizione di una “nuova tabella di marcia realistica e applicabile, invece – si legge – di fissare nuove date e commettere gli stessi errori”. C’è da dire che nella relazione letta ai deputati, il presidente della Commissione, Al-Hadi al-Sghayer, propone l’istituzione di un’altra commissione incaricata di elaborare una nuova Costituzione. Il portavoce del Parlamento, Abdullah Bliheg, ha spiegato che i deputati dovranno discutere degli sforzi della commissione elettorale per tenere il voto e deliberare un rapporto sulle sfide che hanno costretto al rinvio delle elezioni.
La data del 24 gennaio era stata proposta dall’Alta Commissione elettorale nazionale (HNEC) in quanto molte delle cause che hanno impedito le elezioni di dicembre non saranno risolte a gennaio. Nel corso dell’assemblea molto burrascosa dei 120 parlamentari, in molti hanno incolpato il governo di Abdelhamid Dbaibah del fallimento delle elezioni, accusandolo di non aver creato il clima favorevole al voto. Col risultato che c’è stato chi ha chiesto la formazione di un nuovo esecutivo, considerando esaurito il mandato di Dbeibah e del suo Governo di Unità Nazionale, chi ha proposto di emendare la bozza di Costituzione per giungere ad un pieno consenso e chi ha chiesto invece lo scioglimento dell’attuale HNEC e la formazione di una nuova con un nuovo presidente. C’è stato poi chi ha considerato responsabile di un oggettivo fallimento il “Forum di dialogo politico libico (LPDF) creato dall’Onu, colpevole di non aver fornito una base costituzionale.
La riunione della sessione della Camera dei rappresentanti era stata trasmessa in diretta televisiva, ma le trasmissioni si sono interrotte quando il presidente ad interim ha proposto di votare le parti su cui c’era accordo. Si è immediatamente scatenata la protesta di coloro che non erano ancora intervenuti al dibattito.
Alla fine si è giunti ad alcune decisioni. Si è deciso la Camera non era stata indirizzata ufficialmente dall’Alta Commissione elettorale nazionale per fissare la data elettorale al 24 gennaio. Proseguiranno quindi i lavori per elaborare un nuovo percorso – fra le illazioni c’è un improbabile voto a fine marzo, prima del Ramadan o un più probabile slittamento all’autunno prossimo – e, da ultimo, si è deciso di convocare il presidente e l’intera HNEC alla prossima sessione per comprendere meglio gli ostacoli incontrati e contenuti nel rapporto con cui si motivavano le “cause di forza maggiore” che hanno obbligato al rinvio. Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania e Italia attraverso la Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), premono perché le elezioni si tengano entro il 31 giugno, data della fine della fine del mandato del contestato, Forum del dialogo politico libico (LPDF). Ad avviso di Khalid Al-Mishri, attuale presidente del Consiglio di Stato libico e vicino ai Fratelli Musulmani, va preso in considerazione il tentativo, dei partiti politici libici che stanno cercando di modificare l’autorità esecutiva ad interim (si parla di un triumvirato al governo) che permetta di estendere la durata di tale autorità per poter giungere ad elezioni realmente prive di vincoli entro il 2022. In quella che deve essere la costruzione di un vero e proprio nuovo Stato, in grado, in grado di garantire alle diverse realtà politiche, claniche, territoriali, una modalità di convivenza condivisa, l’HNEC gioca un ruolo determinante e in questo anno ha più volte segnalato violazioni, compiute dai diversi comitati d’appello alle elezioni presidenziali. Il suo rapporto denuncia che agli avvocati dell’Alta Commissione è stato negato l’accesso ad alcune udienze di appello nei tribunali, per processo a crimini di guerra. In questo modo sarebbero stati reintegrati candidati in precedenza esclusi.
Ad avviso dell’Alta Commissione, poi, le stesse disposizioni emanate dal comitato elettorale della Camera dei Rappresentanti “non erano conformi alle disposizioni di legge e allo scopo di stabilire le necessarie restrizioni e condizioni per accettare le candidature presidenziali”. Candidati che ricevevano appoggi esterni; basti pensare che il portavoce della Commissione Abdullah Blehaq, ha già fatto sapere che nella prossima sessione del parlamento, l’ambasciatore del Regno Unito in Libia, verrà dichiarato “persona non grata” col sostegno del ministero degli Affari Esteri. La Gran Bretagna non solo avrebbe favorito il rimpatrio di alcuni candidati, ma, per mezzo della propria ambasciata, ha dichiarato di continuare a riconoscere il Governo di Unità Nazionale, dopo il 24 dicembre come autorità incaricata di portare il paese alle elezioni e ha chiarito che non approverà la formazione di nuovi governi o istituzioni simili. Una “ingerenza inaccettabile della Gran Bretagna negli affari interni della Libia” per la camera dei rappresentanti riunita anche il 25 dicembre, per cui la scelta di un nuovo governo o la temporanea continuazione del preesistente non riguarda altri paesi.
Più di mediazione la posizione espressa dalla Consigliere speciale del Segretario Generale dell’Onu in Libia, Williams, secondo cui la preoccupazione non riguarda il destino di questo governo ma la ripresa del processo elettorale.
Tanti gli elementi di criticità, dalla contestata candidatura di Saif Al Islam, il figlio di Muammar Gheddafi, e la polemica contro il presidente del Parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, ma questi sono elementi pesanti quanto di dettaglio. Non è ancora infatti chiaro il quadro giuridico elettorale e i criteri generali di eleggibilità. C’è stata anche una piccola protesta davanti alla sede del parlamento di Tobruk di libici che chiedono di votare il prima possibile, ma i nodi restano irrisolti. Il cauto ottimismo rispetto alla volontà di dialogo riscontrata fra le varie fazioni libiche dalla consigliera delle Nazioni Unite per la Libia, Stephanie Williams, le raccomandazioni del Segretario generale della Lega araba, Ahmed Aboul Gheit con cui si chiede a tutte le parti in causa di adottare “il dialogo come unico mezzo per risolvere” le controversie, rischiano di non sciogliere i veri nodi problematici.
I libici debbono essere messi in condizione di governarsi autonomamente ed è questo il nodo del problema. Troppe continuano ad essere le interferenze esterne, in particolare quella turca – che addestra grazie al nostro parlamento con denaro pubblico italiano, la Guardia costiera libica – quella russa, che non vuole perdere il proprio ruolo in Cirenaica, quella Francese che mira soprattutto al ripristino della gestione degli impianti petroliferi.
L’Italia continua ad investire in armamenti e risorse sia per competere con i transalpini sul piano del controllo delle risorse, sia per fermare l’arrivo, con ogni mezzo lecito o meno, dei richiedenti asilo e continua a suo modo ad interferire nei processi di “democratizzazione” della Libia anche attraverso accordi militari.
I funzionari del Ministero dell’Interno del Governo di Unità Nazionale (GNU) hanno incontrato domenica 26 dicembre, esponenti dell’ambasciata italiana a Tripoli, per discutere di cooperazione in materia di sicurezza. Apparentemente un incontro di routine, anche se con gli alti ranghi, per discutere -secondo un comunicato da Roma – dei programmi italiani di formazione per i dirigenti del Dipartimento generale della sicurezza costiera libica e lo sviluppo di un meccanismo per la consegna dei certificati ai tirocinanti. Ma questo fa parte di un piano quinquennale annunciato in ottobre dal comandante capo dei Carabinieri, il generale Luzzi, finanziato per sostenere le “forze di sicurezza libiche”. Nell’occasione, pur tenendo conto della frammentarietà di dette forze, il generale aveva preparato una tabella di marcia da attuare entro il 2025, a beneficio della sicurezza libica.
La competizione con la Turchia – con cui peraltro si condividono i programmi di addestramento dell’esercito di Tripoli – è evidente. Non a caso il 26 dicembre – le date sono importanti – il direttore del Dipartimento Generale della Sicurezza Costiera presso il ministero degli Interni del GNU, si è incontrato con una delegazione turca in cui era presente, fra l’altro Omer Arsal Can, il suo omologo ad Ankara. Tema della discussione, le aree di sicurezza su cui i paesi devono cooperare e in cui deve svilupparsi l’addestramento per i libici: lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo, sicurezza costiera, aviazione e formazione.
Una complessa partita a scacchi insomma, tanto sul piano interno che internazionale che non favorisce certo una immediata fuoriuscita dal caos in cui la Libia è da troppi anni immersa. I rumors militari e la possibilità di ulteriori commesse occidentali e non solo per inserirsi nel contesto, non facilitano certo la soluzione. Sono così finiti in secondo piano i naufragi di fine anno, le morti, soprattutto di minori, si parla meno della necessità di smantellare i centri di detenzione per migranti e richiedenti asilo presenti nel territorio, nel timore che l’instabilità – altro che le Ong – continuino a costruire un pull factor per chi cerca rifugio in Europa. Sarà per questo che la stampa mainstream dopo aver per tanto tempo dato spazio all’importanza strategica dell’appuntamento elettorale libico, ora ha quasi rimosso il suo accantonamento a tempi migliori.
Buon anno al popolo libico, che ne ha veramente bisogno
Stefano Galieni