Come gli americani si fecero riconoscere dai nazisti unici vincitori della guerra europea –
In queste settimane si commemorano l’anniversario della sconfitta del nazismo e la fine della guerra europea. In molti si domandano per quale motivo gli occidentali commemorano il giorno 8 maggio e i russi il giorno 9. È solo per capriccio, magari per una questione di fusi orari? Se così fosse la soluzione sarebbe semplice, perché nessuno vieta di estendere la commemorazione su due giorni l’8 e il 9 maggio: e tutti sarebbero soddisfatti.
Niente lo impedisce se non il fatto che la commemorazione si riferisce a due atti di capitolazione diversi: il primo presentato a Reims dai tedeschi e recepito da americani e francesi; il secondo presentato il giorno successivo a Berlino dai tedeschi e recepito da russi, americani, inglesi e francesi.
Nel primo atto di capitolazione la Russia, che da sola aveva retto il peso del 90% della potenza bellica tedesca, viene cancellata dal novero dei vincitori. Nell’atto di resa conservato negli archivi di stato americani e che dovrebbe far fede documentaria, la firma del suo rappresentante neanche compare. Come si poté arrivare a tale assurdità, prima vagamente adombrata e oggi strombazzata a pieni polmoni?
Negli ultimi mesi di guerra i nazisti erano disperatamente alla ricerca di una pace separata con gli americani. Ci sperava Hitler e tentarono di realizzarla autonomamente i suoi più stretti collaboratori Himmler e Goering, prima e dopo averlo abbandonato e poi, dopo il suicidio di Hitler il 30 aprile, anche il neonominato Presidente del Reich Ammiraglio Doenitz, peraltro capo di un governo che gli alleati non riconoscevano. Era stato anche l’obiettivo del complotto anti-hitleriano del 20 luglio 1944.
Nel recente passato le trattative armistiziali con gli italiani nel 1943 e quelle poi condotte in Svizzera tra americani, tedeschi e fascisti italiani per la capitolazione delle truppe nazifasciste in Italia nel 1945 erano state condotte per mesi senza informare l’alleato sovietico che non solo era giustamente indignato, ma temeva anche, come del resto accadde, che una parte delle truppe tedesche che capitolavano in Italia finissero direttamente sul fronte orientale. La capitolazione delle truppe tedesche in Italia fu firmata a Caserta da due oscuri ufficiali tedeschi che si presentarono alla firma in borghese, facendo discretamente capire che il loro comandante era temporaneamente in Svizzera. I sovietici erano stati tenuti all’oscuro di quelle trattative, come erano stati tenuti all’oscuro di quelle per l’armistizio nel 1943.
Dopo quella firma e quella successiva del 4 maggio a Lüneburg che decretava la capitolazione, sempre parziale, delle truppe tedesche nel nord-ovest della Germania, Paesi Bassi, Danimarca e Schleswig-Holstein, gli alleati angloamericani cominciarono a preparare un progetto più ambizioso in cui niente fu casuale: come rimuovere dal palco dei vincitori, almeno formalmente, chi aveva sostenuto per tre terribili anni il 90% della capacità bellica tedesca, aveva subito distruzioni enormi e pianto trenta milioni di caduti. La morte di Roosevelt il 12 aprile aveva tolto di mezzo l’ostacolo maggiore all’intrigo, tanto più che il successore Truman, già vice- presidente, pur essendo sempre stato tenuto lontano dagli affari internazionali, non aveva mai nascosto di essere anticomunista antisovietico e antirusso, come ogni bravo americano di provincia che non ha mai messo i piedi fuori da Omaha. Eisenhower era di un’altra stoffa e di assai maggiore abilità e, d’accordo con Churchill e Truman, informò l’ammiraglio Doenitz che gli americani erano pronti ad accettare la capitolazione tedesca nel quartier generale delle forze alleate a Reims. Il giorno 5 maggio l’ammiraglio Hans-Georg von Friedeburg, da molti anni un dei più stretti collaboratori di Doenitz era già al quartier generale alleato, sempre senza informare i sovietici. Il giorno 6 maggio, verso le 18, arrivò a Reims un rappresentante sovietico, il generale Ivan Susloparov, chiamato da Eisenhower per uno dei periodici incontri tra alleati: tra l’altro non era neppure il capo della delegazione. Fu immediatamente condotto nella residenza di Eisenhower che lo informò che i tedeschi presentavano un atto di capitolazione generale la cui firma era prevista entro tre ore: erano già stati convocati i giornalisti, non si poteva fare marcia indietro. Il generale russo disse che non poteva firmare senza prima ricevere precise istruzioni dal suo governo e inviò immediatamente un telegramma. La risposta, che passava attraverso i canali di comunicazione americani, trattandosi di una sede provvisoria e occasionale del Quartier generale, non arrivò e il generale quindi non seppe che la risposta del suo governo era assolutamente negativa: una delle motivazioni più importanti era che i tedeschi non davano garanzie che le ostilità sul fronte orientale sarebbero cessate, oltre al fatto che era inaccettabile che la resa della Germania avvenisse in Francia e non a Berlino e che il testo fosse solo in inglese e in tedesco e non in russo e che solo quello inglese facesse fede. Ad ogni buon conto – prima di firmare – il bravo generale sostenne di aver fatto inserire nel testo un punto – il n. 4 – dove si diceva che quello era solo un testo preliminare e che quello definitivo sarebbe stato firmato il giorno successivo a Berlino. E firmò.
Quello che ne uscì e che è accuratamente conservato e disponibile negli archivi americani è un documento davvero bizzarro. La firma del rappresentante sovietico, che pure fu apposta, non risulta e una grossolana correzione a penna modifica l’originale ora del cessate il fuoco.
L’atto di capitolazione è un documento di sole due pagine. Nella prima ci sono quattro punti che specificano i termini della capitolazione medesima, compreso il fatto che quel documento è semplicemente preliminare a quello che si firmerà l’indomani a Berlino. Nella seconda c’è la firma del generale Jodl, capo di stato maggiore dell’esercito tedesco, alla presenza del rappresentante americano – Generale Bedell Smith per conto del generale Eisenhower, del generale francese de Lattre de Tassigny e del generale americano comandante dell’USAF. La firma del rappresentante sovietico è assente, nonostante lui sostenga di aver firmato. Nella pagina finale il documento è datato alle ore 02.43 del 7 maggio, ma nella pagina iniziale l’ora del cessate il fuoco è fissato alle 23.01 dell’8 maggio. Esattamente l’ora che compare sull’atto di capitolazione firmato il giorno successivo a Berlino dal Maresciallo Žukov e dai rappresentanti alleati. Ossia quel documento che secondo le fonti americane non esiste.
Ai giornalisti che nel Quartier Generale di Reims aspettavano ansiosamente la conferma della notizia della fine della guerra, fu chiesto di aspettare fino a mezzogiorno del giorno 9 maggio, facendo capire che i sovietici “facevano difficoltà”.
I primi a dare la notizia furono invece gli stessi tedeschi in un comunicato radio la mattina dell’8 maggio. Ma già la notte precedente dal Quartiere generale tedesco era partito l’ordine di cessare immediatamente le ostilità a occidente e di continuare a combattere contro i russi, esattamente quello che questi temevano.
Questo contravveniva a tutti gli impegni solenni presi durante la guerra, a Teheran e a Jalta, che cioè in nessun caso e in nessuna forma si sarebbe consentito ai tedeschi di cessare le ostilità se non con una capitolazione generalizzata con tutti gli alleati e su tutti fronti contemporaneamente.
Nel pomeriggio del giorno 8 maggio Churchill fece alla radio un discorso beffardo che in quel momento pochi potevano capire e disse: “La guerra è finita e oggi ci felicitiamo con noi stessi. Domani penseremo ai russi.”
Nonostante il trabocchetto combinato alle loro spalle i russi fecero esercizio di diplomazia e richiamandosi al punto quattro dell’atto di capitolazione del giorno precedente, convocarono gli alleati il giorno 8 maggio a Berlino-Karlhorst. Lì, il Maresciallo Keitel, come più alto in grado dell’esercito tedesco affiancato dai comandanti delle tre armi e in presenza del maresciallo Žukov e di tutti i rappresentanti alleati, presentò e firmò un atto di capitolazione che fa fede nelle tre lingue (russo, inglese e tedesco).
Questo documento, per quanto valido e privo delle grossolane manchevolezze di quello firmato a Reims, fissa la data di cessazione delle ostilità alle h 23.01 del l’8 maggio (ora di Berlino), ossia alle h. 01.01 del 9 maggio (ora di Mosca), ma viene costantemente ignorato dagli storici di parte. Persino William L. Shirer, il più notevole storico americano sull’argomento1, ne occulta l’esistenza e non lo cita nel suo libro più importante.
E così, passo dopo passo, gli occidentali sono arrivati a festeggiare la vittoria sul nazismo con i nazisti medesimi e hanno celebrato il loro 8 maggio con i briganti fascisti di Bandera. I Russi nella guerra antinazista? e chi li ha mai visti!
Luciano Beolchi
- William L. Shirer, La Storia del III Reich, Einaudi, 1962.[↩]