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L’importanza della memoria

di Cosimo
Fiori

di Cosimo Fiori – La risoluzione del Parlamento europeo “sull’importanza della memoria”, ossia sul definitivo sdoganamento dell’equiparazione nazismo-comunismo, è stata votata compattamente, al di là di alcune scelte individuali, dai Popolari, dai Socialisti e democratici, tra cui gli italiani del Pd, dalle destre di “Conservatori e riformisti” (sic), tra cui gli italianissimi Fratelli d’Italia, e “Identità e democrazia” (Lega), da “Renew Europe” (liberali) e dal grosso dei Verdi, per un totale di favorevoli che supera i due terzi dei componenti attuali dell’assemblea. Non serve certo essere estremisti per ritenere inqualificabile il comportamento del gruppo dei Socialisti, accodati, di fatto, alle istanze peggiori e superati a sinistra dai 5 Stelle, che si sono astenuti (oltreché dalla Sinistra europea, che ha votato contro). Pare improbabile che alcuni eurodeputati “socialisti” addirittura colgano il problema, essendo in certi casi troppo impegnati a scattare selfie al Parlamento come scolaretti in gita; alcuni l’hanno perlomeno colto per tempo, non votando il testo (Majorino, Smeriglio); Bartolo l’ha colto in ritardo, votando prima a favore, ma annunciando poi che modificherà il suo voto (poiché all’Europarlamento è consentito un simile ius poenitendi, come se un elettore potesse chiedere indietro la scheda dall’urna, o un giudice cambiare la sentenza dopo averla depositata).

Ma l’indole del gruppo è ben descritta dall’autodifesa di Brando Benifei, capo delegazione del Pd, che ha spiegato pubblicamente le ragioni del voto a favore (le ragioni “migliori”, diciamo, al netto di chi, probabilmente, era puramente e semplicemente d’accordo col testo). Egli sostiene che in primo luogo, essendosi reso inevitabile il voto, è stata cercata una mediazione sul testo, per evitare formulazioni peggiori; ottenuta la mediazione sul testo finale, votare contro sarebbe stato contrario alle regole non scritte della correttezza parlamentare, rendendo possibili ritorsioni uguali e contrarie. A un simile ragionamento è possibile opporre almeno tre ordini di critica: due al gruppo socialista nel complesso, e una in particolare agli italiani.

Per prima cosa, seguiamo le premesse di Benifei: trattare per evitare un testo peggiore. Poiché vi erano testi già presentati dalle destre, i Socialisti hanno presentato un loro testo, per poi negoziare. Bene. Dal punto di vista del metodo, tuttavia, se l’avversario propone “A” e si intende raggiungere un punto di mediazione, sarà il caso di proporre “non-A” (se l’avversario propone 10 e si vuol raggiungere 100, è bene partire proponendo 1000); se invece di fronte alla proposta “A” si oppone un “quasi-A”, è chiaro che “A” ha un vantaggio strategico. Nello specifico, la mozione dei Socialisti non contiene diversi aspetti contenuti invece nelle mozioni delle destre, tra cui: il tono censorio nei confronti del comunismo in generale, con accenni ai divieti vigenti nell’Est europeo; le spiccate prese di posizione antirusse; l’auspicio dell’ulteriore allargamento a Est dell’Unione europea, etc. Tuttavia, ripete punto per punto le premesse delle altre mozioni, di cui gli aspetti anzidetti sono conseguenze del tutto evidenti nella logica del ragionamento. Se, pur sottolineando «l’unicità dell’Olocausto», si concede che la causa (unica menzionata) della guerra fu il Patto Molotov-Ribbentrop, che il totalitarismo sovietico condivideva le stesse mire di quello tedesco, che è giusto ribadire il 23 agosto, data di quel Patto, come data di una generica Giornata per le vittime di tutti i totalitarismi, etc., allora sarebbe poi del tutto inconseguente non dire che il comunismo va condannato come il nazismo. Cosa che in effetti le mozioni delle destre facevano, e come fa anche la mozione unitaria finale. Inutile non menzionare, inoltre, le posizioni antirusse, se non si coglie che una delle funzioni della condanna, in premessa, dell’Urss sul piano storico, è la condanna politica della Russia di oggi: anch’essa, infatti, contenuta nel testo finale (con forse qualche virgola di differenza). Insomma, o si ribatte criticando certe premesse (“non-A”), oppure, se le si accetta (“quasi-A”), non si può poi pretendere che siano escluse le conseguenze che logicamente ne discendono. Accodandosi, nei fatti, ad “A”, alla posizione dell’avversario, si finisce per favorire i suoi piani iniziali, dandovi anzi il proprio consenso, e consentendo che passi il messaggio che la larga maggioranza condivide quelle idee: quel che un tempo usava dirsi “codismo”.

Secondo: dove è prescritto che si debba sempre e comunque raggiungere una mediazione purchessia? Non solo non si è agito nel migliore dei modi, come detto sopra, per ottenere una mediazione soddisfacente; ma vi è una coazione all’accordo sempre e comunque (che gli altri conoscono e sfruttano?), che sembra rendere impensabile l’idea di votare contro, di rifiutare in toto una proposta, denunciandone pubblicamente l’errore e facendosi carico di spiegarne le ragioni anche a costo di mille difficoltà (ma dovrebbe fare parte del mestiere: è chiaro che chi fa politica viene criticato per le scelte che compie). Perché non si deve votare una mozione che dice che il comunismo ha fatto molte vittime, visto che in fondo le ha pur fatte? Non si deve votarla perché il dire quella cosa, in quel modo e in quel contesto, equiparando cose diverse, non ha altro fine che il riaffermare ciò che Margaret Thatcher intendeva con “there is no alternative”: tutto ciò che si è opposto, si oppone e si opporrà allo status quo liberaldemocratico, da qualunque parte venga, per quanto complessa sia la spiegazione, è il Male assoluto. Poiché, sia detto in aggiunta, quel Male è in qualche modo sopravvissuto nel maggiore erede dell’Urss, la Russia, anch’essa va condannata (e anzi indicata come mandante di ogni contraddizione che scoppia in Occidente). Non si deve votare quella roba non solo perché è un falso storiografico, ma perché è un falso storiografico che mira a un lavaggio del cervello dalle chiare finalità politiche e geopolitiche. Si può avere il coraggio di fare questo discorso? Ciò che vuol dire: c’è qualcuno dentro al Partito socialista europeo che abbia ancora qualche velleità di critica dell’esistente, che non sia una critica “facile” ma diretta ai fondamenti? Non Greta o Carola, insomma, ma il Socialismo? Questo voto dà la risposta.

Vi è poi da non dimenticare la peculiarità italiana (terzo appunto). Il timore espresso da Benifei di essere, nel caso, come italiani, l’unico partito del socialismo europeo a votare contro quella mozione poteva essere superato, al di là di quanto già detto, da una semplice considerazione. Un membro di un partito che, ahimè, incorpora in sé parte dell’eredità del vecchio Pci doveva dire che i comunisti in Italia hanno fatto la Resistenza contro l’invasore nazista e la sua stampella di Salò, e contribuito a scrivere la Costituzione, approvata da un’assemblea presieduta da un comunista come Terracini, che passò buona parte del Ventennio, dal 1926 in poi, tra carcere e confino (e che fu temporaneamente espulso dal Pci per aver criticato proprio il Patto Molotov-Ribbentrop, a testimonianza del fatto che quell’evento fu una tragedia innanzitutto in campo comunista). Non sarà che ad avallare questa tendenza alla crescente condanna del comunismo, si agevola la strategia di chi vuole far fuori le migliori conquiste ottenute dai comunisti?

L’intera questione è stata così riassunta da un altro eurodeputato favorevole, Pisapia: voi guardate il dito, e non la luna. Criticate alcune “frasi sbagliate”, ma non cogliete il punto. A parte che le “frasi sbagliate” sono quelle decisive, che fondano il ragionamento e che informano di sé l’intero documento (allargando l’errore dalle parti all’intero); ma la critica alle “inesattezze” (a voler essere buoni) non è fine a se stessa. Il punto, lo dice anche Pisapia, è la finalità del documento: ossia la costruzione (in vitro) di una memoria per l’Europa, base di una sua identità, di una sua cultura. La critica, dunque, non va diretta tanto, o solo, alla ricostruzione storiografica in sé (sulla quale chiederemo lumi a Roberto Gualtieri, storico di professione e garante della Fondazione Gramsci, che ha cambiato ufficio appena in tempo per non dover votare anche lui la risoluzione); va rivolta soprattutto alla funzione che tale ricostruzione svolge nel dare un certo contenuto a questa memoria, la quale, basata su premesse false, è una memoria falsa, costruisce una identità falsa, e prelude a decisioni sbagliate. Quali “ben altre” battaglie possa combattere Pisapia sulla base di questa cultura falsa, non è dato sapere; quali “grandi sfide” Pisapia possa vincere, lo ignoriamo, ma ci permettiamo di consigliare il curling. Perché la “sfida” ambientale non la si vince facendo intenerire il cuore dei “potenti del mondo”, né la “sfida” delle disuguaglianze sociali può essere risolta con le briciole del desco della fondazione di Bill Gates, ma forse con la critica delle leggi essenziali in base alle quali la società produce e riproduce se stessa, ragionando a monte e non a valle dei processi.

In sintesi, Pisapia, Benifei e tutti gli altri concordano su queste affermazioni: per implicito, che mentre i cosiddetti totalitarismi hanno fatto molte vittime, la liberaldemocrazia non ne ha mai fatto nessuna, in patria e nel resto del mondo che il buon Dio ha creato perché noi potessimo servircene; che la liberaldemocrazia non c’entra nulla con la nascita del fascismo e del nazismo, che infatti non hanno goduto di alcun appoggio dalle vecchie classi dirigenti; che le liberaldemocrazie occidentali non hanno alcuna colpa nell’ascesa dei fascismi, hanno costruito a Versailles nel 1919 un ordine illuminato, hanno sfoderato a Monaco nel 1938 una lungimirante strategia e fino al 1939 hanno incessantemente cercato un accordo con Stalin contro la barbarie nazista (accordo impossibile, perché Stalin voleva tanto allearsi con chi diceva di voler far fuori i comunisti, e in effetti aveva mandato nei campi tutti quelli che aveva in casa); che pertanto il Male e il totalitarismo non vengono dalle contraddizioni e dalla dialettica della liberaldemocrazia, ma da una fossa oceanica ancora da localizzare o, secondo altri, dalla cometa di Halley (tesi più convincente, perché spiega le cicliche ripresentazioni); che, così come la storia ha dimostrato, la liberaldemocrazia funziona molto bene se qualcuno non si accorge che funziona male, e questo qualcuno è pertanto molto pericoloso e cattivo, quali che siano i suoi argomenti, e va condannato; che, ora come allora, una critica radicale è sbagliata, perché i problemi si risolvono con la gentilezza e con le pacche sulle spalle, perché nella società non esiste alcun tipo di vero conflitto, ma solo qualche incomprensione superabile con una buona dose di pazienza e rassegnazione e, per i più fighi, con un bell’Erasmus+. Queste, infatti, sono le linee guida della Nuova Memoria che avranno del Novecento le «generazioni più giovani». I sovietici, in fondo, sono i più grandi liberali della storia del mondo: sono morti a milioni, dall’eroina Zoja Kosmodem’janskaja all’oscuro soldato di Stalingrado, per permettere agli altri di esprimere liberamente ogni sciocchezza.

È chiaro che nessuno è in grado di fare la rivoluzione, ma senza una critica feroce della realtà è impossibile anche una moderata prassi socialdemocratica. I socialisti europei rispondono orgogliosamente agli avversari “quasi-A!” perché sono dei fini strateghi, oppure perché, immersi nella tattica, ci credono davvero? Assistiamo allo spettacolo penoso di un continente in declino che si dipinge in modo falsamente ecumenico e universalistico, quando il conflitto e la disgregazione sono immanenti a ogni livello. Il non cogliere, nemmeno alla lontana, la verità delle cose è, in fondo, la più grande colpa del politico, che ha come sua conseguenza la pena capitale della politica: l’ineffettualità e l’irrilevanza. Se si spera di mantenere un minimo di rilevanza accodandosi agli altri, si è a essi subalterni, nonostante qualsiasi “non-sconfitta” o addirittura qualche travolgente vittoria nella grande battaglia delle virgole, mentre gli altri, anniversario dopo anniversario, conquistano l’egemonia. “L’orrore… l’orrore”, come direbbe il Kurtz di Cuore di tenebra, o il Marlon Benifei di Apocalypse Now.

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