di Tommaso Chiti –
Fra le contraddizioni del nostro tempo spicca la tendenza incessante all’inurbamento, cioè lo spostamento di crescenti parti di popolazioni verso le grandi città, in parallelo con lo spopolamento di zone rurali e borghi – specialmente in territori impervi o molto estesi -, apparentemente inspiegabile a fronte di un’inter-connessione sempre maggiore delle vie di comunicazione.
Eppure, lo sviluppo di telecomunicazioni satellitari o a banda larga e di mobilità ad alta velocità, se da un lato potenziano ulteriormente tecnologie di network, dall’altro non corrispondono ad un incremento dei servizi diffusi nei vari territori, spesso soltanto zone di passaggio fra punti di maggior interesse, specialmente in termini di utenza per quei settori di mercato.
Questo fenomeno va di pari passo con un’altra ineluttabile tendenza dei nostri giorni, ovvero l’incremento delle diseguaglianze socio-economiche e l’aumento delle disparità fra ingenti fasce di popolazione, sempre più escluse dai benefici di servizi pubblici, rispetto ad una minoranza ristretta di famiglie o individui, che possono rivolgersi al mercato per acquistare quei servizi dal settore privato.
Nelle città moderne questa convivenza contradditoria si ritrova concentrata in uno stesso ‘habitat’, magari divisa da una semplice strada o un fiume, che separa grattacieli imponenti da una distesa di baracche, come si può notare ad esempio a New York, Shanghai, Nairobi, Cancun o altrove.
In Europa lo stato sociale ha cercato di scongiurare questa deriva, evitando che le città diventassero coacervo di disagio, purtroppo senza riuscire sempre ad ottenere risultati tangibili, come dimostrano le cronache di periferie come Scampia a Napoli, o le recenti guerre fra poveri cavalcate dai fascisti italiani a Torre Maura di Roma, oppure i quartieri ghetto di Marzan a Berlino; oltre alle rivolte nelle banlieue di Parigi.
L’economia sociale è infatti un tratto tipico del modello di sviluppo europeo rispetto al capitalismo liberista USA, o al dirigismo autoritario orientale; contraddistinta da un orientamento degli affari, tale da coniugare performance economiche ad interesse generale, responsabilità sociale e garanzie democratiche.
Tuttavia, nell’ultimo decennio i cardini di responsabilità e solidarietà su cui poggiava questa economia sociale di mercato sono stati erosi. I tagli alla spesa pubblica imposti in larga parte dell’UE dai provvedimenti di austerità, dopo il Consiglio europeo del dicembre 2010, hanno determinato privatizzazioni e contingentamenti, causa di chiusure di uffici postali, stazioni ferroviarie, tratte e fermate del bus, scuole per l’infanzia, centri informazioni o URP specialmente nelle frazioni periferiche.
Così si spiega in parte l’affollamento crescente di nuovi cittadini in aree più abitate; e il conseguente ampliamento di agglomerati urbani, con la costruzione di altri quartieri, fino ad arrivare a congiungere, nella stessa area metropolitana, diversi centri prima distinti.
Le aree urbane europee accolgono infatti il 75% della popolazione dell’UE, e producono circa l’85% del PIL continentale, secondo le stime di EUROSTAT. Anche per questo nell’ambito della piattaforma EuroCities – comprensiva di 140 grandi città con circa 130 milioni di residenti in totale – il Patto di Amsterdam dello scorso mese ha ridefinito le priorità dell’Agenda Urbana per un’Iniziativa Europea, focalizzata su alcuni aspetti istituzionali, ma soprattutto su pressanti rivendicazioni riguardo ai processi di “de-carbonizzazione” della produzione, alla trasformazione digitale, ai servizi inclusivi rivolti a categorie svantaggiate, così come alla mobilità sostenibile.
Simili soluzioni locali, specialmente se replicabili possono risultare motrici di cambiamenti più globali, mediante l’innovazione sociale, che passa anche dal coinvolgimento attivo dei cittadini e dall’interazione importanze di associazioni di volontariato, gruppi di attivisti, strutture ricettive e progetti improntati alla convivenza inclusiva e plurale.
Esempio lampante di queste due tendenze – di inurbamento e concentrazione delle diseguaglianze – si trova nel paesino di Riace, sottoposto ad un costante spopolamento negli ultimi decenni, che ha visto però un’inversione di rotta, dopo l’approdo di trecento profughi curdi nel 1998 e l’avvio di politiche di accoglienza del sindaco Mimmo Lucano, per rilanciare la vivibilità della cittadina. Un villaggio divenuto davvero globale in una delle aree più povere d’Italia come la Locride, un simbolo di solidarietà, attaccato frontalmente dal governo nazionalista e xenofobo a trazione leghista.
L’esperienza di accoglienza di Riace e la sua contrapposizione a provvedimenti securitari dai tratti fortemente discriminanti, insieme alle crescenti proteste contro la “chiusura dei porti” alle ONG nell’estate del 2018, ha animato un movimento di “Città Ribelli” ai diktat sovranisti.
Il tema è stato al centro di un forum di qualche mese fa della fondazione Rosa Luxemburg, dove sono stati confrontati modelli locali, come Barcellona, Napoli e Berlino, con attori e iniziative di solidarietà messe in campo dalle istituzioni così come da gruppi e movimenti della società civile, a contrastare le restrizioni della Fortezza Europa fatta di frontiere esterne ed interne.
Dalle pratiche alla ridefinizione dello status di persone più o meno emarginate dalla comunità tradizionale e dai servizi sociali, uno degli esiti dei lavori ha sottolineato la netta contrapposizione fra la crescita delle destre xenofobe a livello nazionale ed europeo, rispetto invece al florilegio di esperienze accoglienti e solidali che si riescono a costruire a livello territoriale.
Proprio per sviluppare un approccio condiviso, e fronteggiare ulteriori derive sotto la pressione di flussi migratori crescenti, dal 2016 su iniziativa del sindaco di Atene, nell’ambito della piattaforma EuroCities è stata fondata la rete delle “Città Solidali”.
Questo raggruppamento si articola in quattro pilastri per lo scambio di informazioni e competenze, l’adozione di strategie di inclusione ed accoglienza, la cooperazione istituzionale a livello tecnico e anche finanziario, oltre all’impegno alla condivisione delle responsabilità per eventuali ricollocamenti di richiedenti asilo.
A questa sorta di alleanza fra città solidali appartengono fra le altre citate sopra anche Amsterdam, Salonicco, Lubiana, Stoccolma, Firenze e Milano, per un coordinamento territoriale più efficiente a partire dalla cosiddetta “emergenza migranti”, che di fatto mette in evidenza le carenze di infrastrutture sociali impreparate o carenti.
Del resto è nel contesto urbano che si addensano le tensioni di certi fenomeni sociali, da un lato per la competizione nella fruizione di servizi di base – dagli alloggi popolari, alle liste di attesa mediche, fino all’accesso alle scuole materne e primarie -, divenuti sempre più simili a privilegi per alcune categorie; e dall’altro per la storica eterogeneità culturale di popolazioni residenti nelle città europee.
Per superare le ricadute socio-sanitarie derivate dall’emarginazione di gruppi crescenti di popolazione, nel 2015 il sindaco Leoluca Orlando ha sancito la “Carta di Palermo”, dove si lega il diritto di fruizione di servizi pubblici alla residenza in una certa città, a prescindere dalle proprie origini o dal possesso di un permesso di soggiorno.
Sotto questo profilo le municipalità si sono mosse anche per la sicurezza dei migranti in transito, l’accoglienza degli asilanti e la protezione da espulsioni illecite, proprio contrastando quelli status precari, che dai più esposti, ai giovani disoccupati o ai nuclei familiari impoveriti, vedono larga parte della popolazione sempre più sulla stessa barca.
Da un lato provvedimenti istituzionali sullo status e dall’altro l’attivismo di ONG, organizzazioni religiose e movimenti antirazzisti o antifascisti negli ultimi anni hanno messo in piedi una risposta solidale strutturata per “una città di tutti”, con il riconoscimento universalistico di diritti, in grado di portare benefici – in primis su salute e sicurezza pubbliche – ad intere comunità.
Le sfide dell’inurbamento spesso insostenibile e della parallela crescita delle diseguaglianze sociali, concentrate all’interno dei contesti urbani, sono serbatoi di propaganda intollerante da parte delle destre identitarie e xenofobe.
Tuttavia, le città restano l’elemento caratterizzante dello sviluppo della “civiltà europea” e sono chiamate a superare una fase di crescenti tensioni, magari proprio attraverso l’approccio inclusivo e solidale – oltre all’equa redistribuzione e ad investimenti pubblici – incentrato sul concetto di nuove forme di cittadinanza.
Fonti:
https://www.euractiv.com/section/economy-jobs/video/a-city-leaders-agenda-for-europe/