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Le strategie della sinistra francese tra le presidenziali 2017 e le europee 2019

di Giuseppe
Cugnata

di Giuseppe Cugnata[*] – Dal convegno “La sinistra al tempo dei populismi” –

Il 2019 è iniziato nel modo peggiore per la sinistra francese. A distanza di due anni dal successo elettorale di Jean-Luc Mélenchon nel corso del primo turno delle elezioni presidenziali del 2017, infatti, la “gauche radicale” si presenta oramai frantumata e decimata nei sondaggi per le elezioni europee. Qui di seguito proviamo a spiegare le ragioni di questo declino.

La strategia del “Rassemblement à gauche” del 2017
Comparare le elezioni presidenziali alle europee è chiaramente una questione complessa, eppure ci sembra il modo più ragionevole per comprendere l’evoluzione della sinistra francese negli ultimi tempi. Tradizionalmente, infatti, le elezioni presidenziali danno un quadro della riconfigurazione politica dell’elettorato e della polarizzazione sull’asse destra-sinistra molto più nitido rispetto alle legislative.[1] Le elezioni del 2017 sono state teatro di uno sconvolgimento politico inaudito: l’implosione del Partito Socialista giunto ai minimi storici (6%) e la lenta erosione del partito conservatore Les Républicains hanno infatti permesso al candidato liberale Emmanuel Macron di ottenere la presidenza. Alle estreme, invece, la polarizzazione del voto ha favorito l’emergere dell’estrema destra di Marine Le Pen (Front National) e della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon (La France Insoumise).

Mélenchon è riuscito a superare ogni aspettativa e a passare dall’11% del 2012 al 19.5% nel 2017 grazie ad una strategia politica che potremmo definire come “Rassemblement à gauche” (Raggruppamento a sinistra). Grazie ad una memorabile campagna elettorale incentrata sulla disoccupazione, sull’ambiente e sulla riforma costituzionale per la VI Repubblica, Mélenchon è riuscito da una parte a godere del cosiddetto “voto di convinzione” degli elettori che nel 2012 avevano votato per la coalizione di sinistra radicale del Front de Gauche (Partito Comunista Francese + La France Insoumise), ma è stato involontariamente sostenuto anche dall’assenza del partito ecologista Europe Ecologie Les Verts e dalla debolezza del candidato socialista Hamon, ottenendo di fatto il consenso da parte degli elettori ecologisti e socialisti che hanno preferito il “voto utile” al voto di convinzione o all’astensione.[2]

Dall’analisi del voto, inoltre Mélenchon sembra aver recuperato voti in tutte le categorie socio-professionali (Fig. 1), risultando il candidato più eterogeneo da questo punto di vista e dando l’impressione di aver realizzato un “sogno populista”, un soggetto politico in grado di pescare voti ovunque e dunque capace di poter contendere l’elettorato di Marine Le Pen, specie nelle classi popolari[3].

Fig. 1 – Ripartizione degli elettori alle presidenziali francesi 2017 secondo le classi socio-professionali, IPSOS, sociologia degli eletttorati del 1° turno, 24 aprile 2017

L’ipotesi della frattura delle classi popolari
Eppure, al di là del quadro generico, gli elettori di Mélenchon presentano un profilo ben definito, diametralmente opposto a quello di Le Pen.

Infatti, nonostante il fatto che entrambi gli elettorati possano essere considerati come aderenti alla categoria generale delle classi popolari, dato il basso livello di reddito, gli elettori di Mélenchon presentano un livello di istruzione molto più alto rispetto a quelli di Le Pen (Fig. 2).

Possiamo dunque supporre che esista una frattura in seno alle classi popolari tra una parte scarsamente retribuita e scarsamente istruita, tendenzialmente politicizzata a destra ed una parte scarsamente retribuita ma altamente istruita, sottoposta alla dequalificazione nel lavoro e tendenzialmente politicizzata a sinistra. Gli elettori di Mélenchon non possono dunque essere equiparati a quelli di Marine Le Pen da un punto di vista socio-professionale.[4]

Fig. 2 – Rapporto reddito-livello di istruzione dei differenti elettorati, Luc Rouban, indagine elettorale francese, Cevipof 2017

Allo stesso tempo, la frattura in seno ai due elettorati di Le Pen e Mélenchon si ripresenta sulla gamma dei valori, in a particolare per quanto riguarda delle questioni politiche centrali come l’immigrazione, la disoccupazione e il sistema economico, fondamentali nella creazione della “catena di equivalenze” nell’accezione laclauiana del termine.

Stando ai dati riportati nel 2017 dall’istituto CEVIPOF (Fig. 3), il 92% dell’elettorato di Marine Le Pen dell’epoca pensava che ci siano fossero troppi immigrati in Francia (30% gli elettori di Mélenchon concordi con questa affermazione); per il 50% degli elettori di Le Pen i disoccupati avrebbero trovato lavoro se l’avessero cercato attivamente (20% tra l’elettorato Mélenchon); allo stesso modo, il 60% dell’elettorato di Le Pen pensava che per lottare contro la crisi sarebbe stato opportuno dare più fiducia e più libertà alle imprese (33% il dato per gli elettori di Mélenchon).

FIg. 3 – Gamma dei valori elettorato Mélenchon-Le Pen, Luc Rouban, indagine elettorale francese, Cevipof 2017

Infine è possibile dimostrare come i due elettorati all’estrema destra e all’estrema sinistra dello spettro politico siano incompatibili sulla base di due altri indicatori: l’autoposizionamento e la provenienza politica. Stando ai dati Viavoice del 2017 (Fig. 4), il 63% degli elettori di Marine Le Pen si definiva di destra al momento delle elezioni, e solo il 24% come né di destra né di sinistra. Per quanto riguarda Mélenchon l’appartenenza politica è ancora più marcata (70% di elettori autoposizionati a sinistra, 19% né a destra né a sinistra).

 

Fig. 4 – Composizione degli elettorati al primo turno secondo il loro autoposizionamento, Viavoice, 2017

Per quanto riguarda la provenienza politica, soltanto il 2% degli elettori di Mélenchon nel 2017 aveva votato per Marine Le Pen nel 2012; lo stesso risultato per quanto riguarda gli elettori di Marine Le Pen nel 2017 che avevano votato Mélenchon nel 2012 (Fig. 5).

Ancora una volta dunque i due elettorati all’estrema destra e alla sinistra radicale dello spettro politico dimostrano di avere profili totalmente incompatibili. Tale ragionamento è utile per poter rigettare la tesi del cosiddetto “Gaucho-Lepenisme”. Tale tesi, sostenuta in Francia dal noto sociologo Pascal Perrineau, considera l’elettorato delle classi popolari storicamente legato alla sinistra muoversi verso il Front National, in particolare la classe operaia.[5]  Ma non trova riscontro, come abbiamo visto, né dall’analisi socio-professionale, né da quella della gamma valoriale, né nell’autoposizionamento, né nella provenienza dell’elettorato di Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon.
Ciò che dunque si può supporre è che quello di Mélenchon sia un elettorato convenzionalmente di sinistra.

 

Fig. 5 – Provenienza degli elettori di Jean-Luc Mélenchon nel 2017 secondo il loro voto nel 2012, Harris Interactive, 23 aprile 2017

Europee 2019: una strategia populista o un’indecisione strategica?

Eppure, nonostante l’ampio successo riscontrato nel corso delle presidenziali 2017, Mélenchon ha subìto, stando ai sondaggi, un lento declino nel corso dell’ultimo anno e mezzo, passando dal 19,5% al 7-8% attuale. Occorre dunque chiedersi quali siano state le cause di questa perdita di consensi.

La prima motivazione deriva dal comportamento strutturale dell’elettorato di Mélenchon che è il più suscettibile alla demobilizzazione (astensione) e all’aggregazione ad altri partiti (è piuttosto chiara una perdita di elettori in favore degli ecologisti di EELV)[6] .

La seconda è legata direttamente all’indecisione strategica messa in atto da Mélenchon a partire dalla seconda metà del 2018. Da un lato, infatti la France Insoumise ha cercato di portare avanti la strategia di sinistra, candidando come capolista per le europee Manon Aubry, la giovane portaparola della ONG Oxfam, già impegnata nelle mobilizzazioni studentesche e specialista della lotta all’evasione fiscale. Dall’altro lato, anziché consolidare il blocco che aveva votato in suo favore nel corso della presidenziale 2017, Mélenchon ha preferito attuare una strategia che potremmo definire genericamente “populista” di attacco contro il “parti mediatique”, contro i giudici, contro gli altri attori della sinistra, contro l’Unione Europea e talvolta poco chiara sui migranti[7], con il malcelato obiettivo di raccogliere la rabbia delle classi popolari lontane dalla politica o già tendenzialmente politicizzate a destra.

Possiamo dunque supporre che sia questa indecisione strategica ad aver disaggregato il blocco di elettori della sinistra e ad aver provocato il calo dei consensi di Mélenchon.
Di qui una domanda conclusiva che occorre porsi: può la strategia populista nel senso “ortodosso” del termine essere complementare ad una strategia di sinistra radicale convenzionale senza che la prima snaturi o sorpassi la seconda?

[*] Espaces Marx -Transform! Europe
[1] Y. LE LANN, A. DE CABANES, France Insoumise versus the Front National – The Differences Between Far-Right and Left-wing Populism, in Integration, Disintegration, Nationalism, Transform! Europe Yearbook 2018, pag. 174

[2] Ibidem, pag. 168

[3] Ibidem, pag. 163

[4] L. ROUBAN, Le peuple qui vote Mélenchon est-il le peuple ?, in The Conversation, 1 ottobre 2017

[5] P. PERRINEAU, Le Gaucho-Lepénisme. Des fractures dans la transmission des valeurs et des orientations politiques ? in Anne Muxel, Temps et politique, Presses de Sciences Po (P.F.N.S.P.) « Académique », 2016, p. 181-202

[6] Sondaggio BVA, Intention de vote aux élections européennes, 23 febbraio 2019

[7] R. MARTELLI, En quelques semaines, la France Insoumise a accumulé des positions qui dessinent une nouvelle stratégie. Comment la comprendre  ? Analyses et discussion de ce nouveau moment Mélenchon, Regards.fr , 12 novembre 2018