Modifiche costituzionali ed essenza della democrazia
Il 3 novembre 2023 il Governo Meloni ha approvato il disegno di legge di modifica della Costituzione che dovrà essere presentato al Parlamento per il consueto iter delle leggi costituzionali. Il cuore della modifica consiste nell’introduzione dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio, contestualmente all’elezione dei parlamentari in un’unica tornata elettorale. Oltre a ciò, si vorrebbe costituzionalizzare la legge elettorale maggioritaria attribuendo un “premio di maggioranza” che garantisca alle liste collegate al candidato Presidente del Consiglio il 55 per cento dei seggi nelle Camere. Questo è l’essenziale. Non bisogna essere dei costituzionalisti per comprendere che con tale modifica il luogo deputato a rappresentare la sovranità popolare sarebbe fortemente sminuito, mentre il ruolo del Governo sarebbe rafforzato. Il ruolo del Presidente della Repubblica sarebbe ridotto a mero esecutore della “volontà plebiscitaria” che emergerà dalle urne.
Questa logica, che privilegia l’azione di Governo rispetto all’azione parlamentare, in Italia non è riuscita mai ad imporsi a causa dell’esistenza di partiti di massa, formatesi nella Resistenza e cresciuti numericamente nel dopoguerra, che mal digerivano il fatto che il loro ruolo di mediatori tra le diverse istanze provenienti dalla società venisse surclassato o superato dall’azione governativa.
Si deve ricordare che il Governo rappresenta il “potere esecutivo” e cioè tendenzialmente è deputato a realizzare la politica che emerge dalla mediazione parlamentare. Come si legge nel Rapporto[1] elaborato per la Commissione Trilaterale nel 1975, la democrazia, così come è venuta strutturandosi nei paesi dell’Occidente, è diventata un orpello, un fastidio, con i suoi dibattiti con le sue “sfiducie” con la sua “prepotenza” nei confronti dei governi, e quindi – suggerisce il Rapporto – doveva essere ricondotta entro binari più maneggevoli.
I redattori del Rapporto su citato, ponendosi la domanda sul fine che una democrazia persegue, rispondevano che esso non è altro che il “prodotto della percezione, comune ai gruppi importanti della società, di una seria minaccia alla loro prosperità e della comprensione che tale minaccia pesa su di tutti indistintamente”[2]. Il fine, come esemplarmente scritto dai redattori del Rapporto è un fine di classe! Ma se il fine è di classe, allora c’è un ambito dell’impossibile per una democrazia, cioè un obiettivo che non può nemmeno essere pensato, pena il venire meno della democrazia stessa.
Era necessario, quindi, per assicurarsi contro la “minaccia alla prosperità” di “gruppi importanti” della società, sostituire alla volontà generale la governabilità. Infatti, pur continuando ad operare, la democrazia perdeva – sempre secondo i redattori del Rapporto – la sua capacità di far “prendere decisioni agli individui che azionano questo meccanismo”, cioè a coloro che si sentono minacciati nella “loro” prosperità. Il Governo doveva diventare così il fulcro della democrazia. Quando il Governo diventa il fulcro di una democrazia esso diviene la garanzia per l’immodificabilità dei rapporti di poteri nella società. I “gruppi importanti” della società possono così indirizzare plebiscitariamente il voto verso il candidato prescelto, creandosi potenzialmente il Governo utile alla “loro prosperità”.
Democrazia come impossibilità di cambiare i rapporti di potere
Sulla base dei nuovi intenti del Governo Meloni di modifica della Costituzione che si collocano nel solco tracciato platealmente dalla Commissione Trilaterale, e, sottobanco, in Italia dalla Loggia Massonica Propaganda 2, tornerà utile rileggere un saggio incluso nella raccolta curata da Marcello Musto, e intitolata Marx Revival[3].
Come si legge nel sottotitolo del libro si tratta di Concetti essenziali e nuove letture. Inoltre, e soprattutto, emerge che alcuni “concetti essenziali” siano tutt’ora una valida bussola per orientarsi nello studio e nella comprensione del capitalismo contemporaneo. Concetti quali “capitalismo”, “lotta di classe”, “lavoro”, “stato”, “democrazia” analizzati nella loro “essenza” da Marx, risultano tutt’ora validamente utilizzabili per comprendere il nostro presente, e nel caso specifico le intenzioni del Governo Meloni.
È proprio in ordine alla validità di questa “essenza” che è utile leggere in parallelo il Rapporto della Commissione Trilaterale, il disegno di legge costituzionale del Governo Meloni e il saggio Democrazia di Ellen Meiksins Wood contenuto nella raccolta curata da Musto. Non tanto per dar conto dello stato formale in cui tale forma politica sopravvive, quanto della sostanza che la invera, cioè di quell’essenza che le è consustanziale, e che ci costringe a riflettere sul “Che fare?”.
La democrazia è democrazia “borghese”
Come spiega Wood, Marx, meglio di chiunque altro, sapeva due cose: a) che i diritti e le libertà della democrazia borghese dovevano essere comunque perseguiti dalle classi subalterne, e difesi una volta ottenuti, in quanto creavano il terreno più adatto allo sviluppo della lotta di classe; e b) che tali diritti erano meramente formali, mentre il loro contenuto reale era ben lungi dall’essere realizzato per la stragrande maggioranza della popolazione.
Le disuguaglianze di classe, le differenze nel potere economico e politico di classe, sono la base, su cui si regge la democrazia borghese, che conseguentemente, non può che risultare formale per le classi subalterne. Questo riconoscimento non appartiene solo al campo marxista, ma anche al campo borghese “progressista”. Quindi limitarsi a ciò non evidenzia la critica marxiana più prettamente specifica.
Inoltre, questa caratteristica della democrazia borghese, reale per pochi, formale per la stragrande maggioranza della popolazione, non è una caratteristica propria o esclusiva del capitalismo. Ovunque nella storia le disparità di ricchezza si sono accompagnate a forme politiche “piene” per le classi dominanti e “vuote” per le classi dominate.
Riassumendo queste brevi righe, la differenza tra contenuto formale e reale della democrazia borghese, non è un’esclusiva della critica marxiana e non è un’esclusiva del modo di produzione capitalistico. Se ci limitassimo solo a questi due aspetti Marx risulterebbe superfluo, e chi si limita solo a tali aspetti probabilmente, vuole annacquare l’aspetto dirompente di ciò dovrebbe esser fatto conoscere.
La democrazia borghese e il suo ambito del possibile
Ciò che richiede una spiegazione, infatti, è il perché nonostante le classi lavoratrici, tramite gli strumenti della democrazia borghese, abbiano conquistato molti diritti, servizi, tutele, ecc., fino al moderno welfare state, perché nonostante tutto ciò, le basi su cui poggia la differenza tra democrazia formale e reale non siano state minimamente intaccate, mentre, contrariamente, tutte le conquiste sociali risultano essere precarie e continuamente sotto attacco.
Oggi, le disuguaglianze reali nel mondo, o la cosiddetta polarizzazione di classe, sono fortemente accresciute, entro i sistemi democratici borghesi[4]. La questione è questa: cosa c’è nella democrazia contemporanea che l’ha resa compatibile con disuguaglianze crescenti di ricchezza e potere? L’analisi del capitalismo fatta da Marx risponde a tale quesito: il complesso rapporto tra economia e politica nel modo di produzione capitalistico segna l’ambito del possibile assegnato alla sfera politica!
Sappiamo che la democrazia borghese attuale ha le sue origini nel liberalismo del XIX secolo, il quale aveva spostato l’attenzione dal potere del popolo sullo Stato, alla limitazione dei poteri dello Stato nei confronti del popolo con l’istituzione dei diritti e libertà inviolabili del cittadino. Inviolabili da parte dello Stato[5]. A ciò si accompagnava, ovviamente, il suffragio universale di voto e la democrazia borghese si fece rappresentativa.
La sostanza di questa democrazia odierna riposa nel fatto che i diritti politici non hanno più’ la valenza che avevano un tempo in altre forme di democrazia: in queste ultime i diritti politici erano connessi direttamente al potere economico, ovvero i diritti politici non erano che una estensione del potere economico. Con la democrazia rappresentativa borghese si determina una cesura tra sfera economica e sfera politica: la prima non è più’ necessaria per la seconda, anche i non possidenti hanno i loro diritti politici. Questa indipendenza formale fa si che lo sfruttamento economico si eserciti su una sfera separata dai diritti politici. Nella sfera economica: dominio e gerarchia tra le classi; nella sfera politica: uguaglianza per tutti i cittadini, o negazione dell’esistenza delle classi. Capitalisti da un lato e lavoratori dall’altro nella sfera politica non si distinguono affatto, sono tutti liberi e uguali, e ciò è possibile per la falsa astrazione, o separazione, avvenuta tra sfera economica e sfera politica.
E così mentre da un lato i lavoratori si conquistavano sempre più’ diritti, tutele, salario, le classi dominanti e possidenti, traevano da questo nuovo assetto politico la tranquillità che i rapporti di proprietà ed il loro potere reale non sarebbero stati oggetto di modifiche. In altre parole, le classi possidenti sono riuscite a far ridurre la sfera politica a qualcosa di poco influente sulla distribuzione del potere sociale ed economico. Il processo di sviluppo alla partecipazione politica delle masse è stato perciò indirizzato alle lotte per i diritti civili (rapporti tra Stato e cittadini) e al massimo alle lotte per la redistribuzione secondaria[6] (welfare state).
Come corollario di questa separazione tra sfera politica ed economica, è sorta la “scienza economica”. Non si studierà più’ l’economia politica, ma si studierà solo ‘l’economics! L’economia diverrà perciò il campo di studio di come applicare le risorse scarse a molteplici fini, diverrà mera tecnica, sulla quale tutti devono convenire[7]. Perciò la sfera economica, nella lettura della “scienza” economica borghese, venne depurata dal dominio, dal potere di coercizione e dallo sfruttamento, e se ne trasse la conclusione: a ciascuno il suo[8].
In pari tempo, con un processo a volte repentino a volte più lento, fatto di passi avanti e indietro, molte branche del vivere sociale sono passate nella sfera dell’economia, ove nessun elemento (profitto, accumulazione, sfruttamento, distruzione ambientale, ecc.) è soggetto ai limiti e alle responsabilità e insite nella sfera politica democratica.
Storicamente all’emancipazione politica seguiva o era contemporanea anche l’emancipazione economica, o quanto meno il miglioramento di quelle classi che avevano conquistato l’emancipazione politica. Oggi la totale emancipazione politica fa da paravento, tappa gli occhi, alla dipendenza economica. E così l’interesse generale, proclamato nella sfera politica si sovrappone e nasconde gli interessi particolari e contrapposti che esistono nella sfera economica. Nella democrazia borghese sviluppata, il cittadino è tutelato dall’invadenza dello Stato (diritti civili), come la sfera economia è tutelata dall’invadenza del cittadino (sfera politica)!
Con questa separazione fittizia e nello stesso tempo reale, il capitalismo non necessità più’ di forme di potere politico che costringano i lavoratori a produrre ricchezza per altri, ma lasciano tranquillamente al sistema economico ed alle sue leggi, di realizzare tale obiettivo; mentre nello stesso tempo concede la massima libertà politica alle masse.
Le classi dominanti sanno che le due sfere non possono e non devono intersecarsi, e che non devono essere pensate come un unico ambito del vivere sociale. Gran parte di ciò che governa le nostre vite si trova fuori dalla sfera democratica, si trova nella sfera ove vige dominio e coercizione, nella sfera del mercato capitalistico. Il mercato capitalistico è una limitazione alle nostre libertà democratiche.
Qualora la sfera politica, dovesse, superare l’ambito entro la quale è stata confinata dalla “democrazia borghese”, e cominciasse ad incidere sui reali rapporti di potere (rapporti di produzione) le classi possidenti reagirebbero di conseguenza e allora cadrebbero tutte le finzioni giuridiche e le libertà civili e democratiche si rivelerebbero per ciò che sono: libertà per il Capitale.
Allora il rafforzamento del ruolo del Governo di contro allo svuotamento del ruolo del Parlamento, o per dirla diversamente, la supremazia dell’azione snella e veloce nella società a favore dei “gruppi importanti” a salvaguardia e sviluppo della “loro prosperità” diviene nella crisi capitalistica mondiale in corso, uno strumento necessario di veloce e pronta reazione nella competizione globale, mentre la possibilità discutere su “fini altri” che la volontà generale potrebbe esprimere nel Parlamento, deve essere annichilita.
Esteban Rojo
[1] M.J.Crozier-S.P.Huttington-J. Watanuki, La crisi della democrazia. Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione trilaterale, Franco Angeli Editore, 1977 (orig. 1975)
[2] Ibidem, p. 147
[3] Marcello Musto (a cura di), Marx revival, Donzelli editore, 2019 (pp 470)
[4] La bibliografia sul fenomeno della disuguaglianza e sulla concentrazione della ricchezza è sterminata, si ritiene utile comunque ricordare almeno due testi: T. Piketty, Capitale e ideologia, La Nave dio Teseo, Milano 2020 e di due giovani marxisti F.Schettino-F.Clementi, Crisi, disuguaglianza e povertà, La Citta del Sole, Napoli 2020.
[5] Questa inviolabilità valeva solo all’interno del cosiddetto Occidente, mentre i popoli dei paesi oggetto dell’imperialismo prima e del neocolonialismo dopo soffrivano le più brutali repressioni con depredazione delle loro risorse naturali ed umane accompagnate spesso da genocidi come ampiamente dimostra tutta l’opera di Domenico Losurdo.
[6] Gli economisti distinguono tra distribuzione primaria e secondaria. La prima è la distribuzione della ricchezza che consegue al ruolo o funzione che si ha nel processo di produzione: se si è salariati si percepisce un salario, se possessori dei mezzi di produzione si percepisce un profitto. La seconda intende modificare i risultati che emergono dalla prima (struttura economica) attraverso interventi effettuati post-produzione sui redditi percepiti (tassazione). Ciò ha portato a credere che la sfera della produzione fosse distinta dalla sfera della distribuzione, e che quindi su quest’ultima si potesse agire quasi a piacere; scrive Marx: “Il socialismo volgare ha preso dagli economisti borghesi (e a sua volta da lui una parte della democrazia) l’abitudine di considerare e trattare la distribuzione come indipendente dal modo di produzione, e perciò di rappresentare il socialismo come qualcosa che si aggira principalmente attorno al problema della distribuzione. Dopo che il rapporto reale è stato da molto tempo messo in chiaro, perché tornare nuovamente indietro?”. K. Marx, Critica del programma di Ghota, Laboratorio Politico, Napoli 1992, pp. 24-25
[7] Lionel Robbins definisce l’economia come segue: “la scienza che studia il comportamento umano come relazione tra fini e mezzi scarsi aventi usi alternativi” citato in A. Roncaglia, L’età della disgregazione. Storia del pensiero economico contemporaneo, Laterza, Bari-Roma 2019, p.73 (nota 8). En passant: se l’economia è pura tecnica i Governi tecnici non saranno col tempo sempre più frequenti, e l’UE non dovrà essere espressione dei Governi?
[8] Così che al processo produttivo non partecipano “padroni” e “dipendenti” ma persone che si trovano sullo stesso livello di parità e libertà, che ognuno secondo la propria libera volontà ha voluto prendere parte al processo produttivo apportando ciò di cui dispone ( i mezzi di produzione i capitalisti e la forza lavoro i salariati) e in base al contributo che ogni “fattore” della produzione (capitale e lavoro) porta al processo produttivo verranno ripartiti i risultati del processo di produzione (reddito), sicché lo sfruttamento non può esistere.