Dalla crisi economica del 2009 alla pandemia, dal COVID alla guerra, passando per un cambiamento climatico ormai parte della vita quotidiana.
In pochi anni del nuovo millennio abbiamo vissuto (e molti ne sono morti) tante piaghe “bibliche”.
In un Mondo così la canzone di Lucio Dalla torna nelle orecchie con le sue speranze (… anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno… sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno… e si farà l’amore ognuno come gli va) e le sue tenerezze forti e malinconiche (… l’anno che sta arrivando tra un anno se ne andrà, io mi sto preparando e questa è la novità… e se poi passasse in un istante diventa importante che in questo istante ci sia anche io…).
Dunque, importante di fronte a tutto ciò che accade è esserci. Io, diciamo noi, come tanti che provano ad esserlo.
“Noi” è quella umanità che ha provato anche a farsi Storia. Di fondo questo è il senso di quel “movimento reale che abbatte lo stato di cose presenti” che abbiamo chiamato comunismo.
Il movimento operaio ha pensato anche alle crisi come condizione della rivoluzione. La discussione sugli elementi economici delle crisi (cicliche, strutturali, di sovrapproduzione, di mercati ecc.) è stata tanta parte del suo dibattito. “Uscire dalla crisi o dal capitalismo in crisi” è dilemma, anche retorico, che si è posto più volte nel tempo.
In realtà il movimento operaio, e quello comunista in particolare, ha molto guardato anche alla liberazione (dallo sfruttamento, dal bisogno, dall’alienazione), alla felicità, all’uomo nuovo. Questa parte non può e non deve essere, come purtroppo è stato, considerata “poetica” o “illuministica”.
La crisi come occasione da cogliere nella sofferenza può fare sì che alla fine la sofferenza stessa si faccia il soggetto principale. La sofferenza non può essere negata ma non deve essere “coccolata”. Tanto meno oggi che il capitalismo e i dominanti si sono appropriati delle crisi come proprie occasioni di trasformazione e resilienza attraverso la sofferenza dei molti e la loro colpevolizzazione, sociale o addirittura antropologica, che li schiaccia nell’impotenza e nell’autodistruzione.
Assomiglia, questa epoca nostra post moderna, ad una sorta di nuovo medioevo come, d’altronde, previsto e teorizzato da narratori e politologi. Il medioevo dei dominanti, delle plebi, delle colpe, degli oscurantismi. Ma neanche il medioevo poté impedire bellezze ed eresie, l’incubare delle speranze.
Sarà forse anche solo un istante il 2023. Ma sarà importante esserci e, chissà, provare di nuovo a dare l’assalto al cielo. Buon anno a noi.
di Roberto Musacchio