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L’amministrazione Biden e le vittime della crisi abitativa negli Stati Uniti

di Alessandro
Scassellati

Fin dalle prime fasi della pandemia di CoVid-19 negli Stati Uniti, la perdita di 40 milioni di posti di lavoro hanno fatto temere un’ondata di sfratti di massa, poiché gli inquilini che vivevano “from paycheck-to-paycheck” non sono più stati nelle condizioni occupazionali per pagare l’affitto con regolarità. Questa situazione catastrofica non si è finora verificata grazie sia ai rilevanti pacchetti di aiuti economici messi in campo dalle amministrazioni Trump e Biden sia al blocco degli sfratti, inizialmente introdotto dal Congresso, e successivamente rinnovato da entrambe le amministrazioni, ma ora messo in discussione dalla Corte Suprema. In ogni caso, secondo fonti del governo degli Stati Uniti, i senzatetto sono aumentati notevolmente, in particolare negli Stati occidentali poiché la carenza di immobili ha fatto aumentare di molto gli affitti quando le persone con livelli di reddito già inferiori sono state licenziate dal lavoro e sfrattate dalle loro abitazioni. Le attuali stime vanno da 600 mila a 1,5 milioni di senzatetto, rendendo gli Stati Uniti il Paese ricco più colpito da questo drammatico fenomeno.

La minaccia di milioni di sfratti per morosità

Dopo la Grande Recessione 2007-2009, negli Stati Uniti sono aumentati le persone e le famiglie in affitto. Nel 2011 hanno superato i 100 milioni per la prima volta, arrivando a 108,5 milioni nel 2018. Il numero delle persone in affitto è particolarmente cresciuto nelle grandi aree metropolitane. Ad esempio, a Los Angeles gli affittuari rappresentano il 60% della popolazione (il 19esimo tasso più alto tra le 260 città più grandi del Paese). Gli affittuari sono diventati più del 50% della popolazione in 82 delle 260 maggiori città, spingendo la quota delle città a maggioranza di affittuari dal 28% al 32%.

Nel corso del decennio, sono state costruite 2,4 milioni di unità abitative per soddisfare la crescente domanda di alloggi negli Stati Uniti, anche se solo una piccola frazione di questi alloggi ha canoni accessibili per persone/famiglie con redditi medi e bassi, stagnanti o se non addirittura in diminuzione. Si sono costruiti appartamenti di fascia alta per affittuari ad alto reddito. Pertanto, se i canoni degli affitti degli appartamenti (anche di quelli di fascia bassa) hanno continuato a salire, già molto prima della pandemia da CoVid-19 era salito sia il numero degli sfratti per morosità sia quello dei senzatetto, il popolo degli homeless.

Le grandi città sono in mano ai grandi sviluppatori immobiliari che finanziano le campagne elettorali di sindaci e consiglieri comunali e che speculano sul continuo aumento della rendita fondiaria. Questi operatori hanno visto i loro redditi da capitale e i valori delle loro proprietà salire, mentre i canoni crescenti degli affitti requisiscono parti sempre maggiori dei redditi dei lavoratori. Ovunque, i ricchi, i grandi proprietari immobiliari e le corporations  si battono con le unghie e con i denti contro la costruzione di nuove case per persone/famiglie con redditi bassi, combattendo contro il deprezzamento dei valori delle proprie proprietà e della ricchezza dei loro quartieri, mantenendo quante più persone possibile homeless, senza un tetto, per strada, nelle tende, nei ricoveri collettivi delle ONG o dei Comuni, solo per lanciare nuove crociate politiche per sbarazzarsi di loro con le cosiddette operazioni di “pulizia delle strade” (street sweeps) per mano delle forze dell’ordine. Trasformando, quindi, un problema di giustizia sociale e di rispetto dei diritti umani, in un problema di ordine pubblico.

Negli ultimi decenni, sindaci e Consigli comunali non hanno creato o conservato abbastanza alloggi a prezzi accessibili e la pandemia ha reso la situazione ancora più difficile per tutte le persone che erano già in condizioni di fragilità. Secondo il rapporto della Federal Reserve (maggio 2019) sul benessere economico delle famiglie americane, nel 2017, nonostante oltre 90 mesi di espansione economica, il 40% degli americani adulti “arrancava”, ossia arrivava a stento a fine mese (living paycheck-to-paycheck) e non aveva abbastanza risparmi per coprire spese di emergenza di 400 dollari – come una fattura medica imprevista, una riparazione della macchina o della casa -, per cui avrebbe dovuto vendere qualcosa o prendere in prestito denaro. Già prima della pandemia da CoVid-19, milioni di americani temevano di perdere improvvisamente il lavoro e di non essere in grado di pagare i conti. Avevano poche speranze sul loro futuro e su come dare una vita migliore ai loro figli. Erano spesso esausti e socialmente isolati dal secondo o dal terzo lavoro, da lunghi spostamenti e turni di fine settimana. E spesso i loro sistemi di supporto sociale erano indeboliti da incarcerazione, dipendenze e depressione.

Il CoVid-19 è stata la tempesta perfetta alimentata dall’instabilità abitativa esistente, da tassi di disoccupazione molto elevati, da reddito sostitutivo insufficiente per i lavoratori disoccupati o sottoccupati e dal tendenziale fallimento delle istituzioni politiche federali, statali e locali nel fornire protezioni significative agli inquilini in difficoltà.

Lo scorso 31 luglio era il giorno in cui scadeva una moratoria nazionale sugli sfratti, colpendo circa 6,4 milioni di famiglie americane (circa 15 milioni di persone), con molti dei capifamiglia che hanno perso il posto di lavoro durante la pandemia, che avevano il potenziale per essere buttati fuori dalle loro case se rimasti indietro con l’affitto o le rate del mutuo1. Fino al 3 agosto, l’amministrazione Biden non è intervenuta, chiedendo al Congresso di tentare di risolvere il problema legale quando era ormai troppo tardi (29 luglio) a causa della pausa per le vacanze di agosto. Le stime di Right to the City Alliance indicano che negli Stati Uniti ci sono complessivamente circa 21,3 miliardi di dollari di debito per affitti non pagati.

Solo grazie alla mobilitazione di attivisti dei movimenti per il diritto all’abitare e di politici progressisti guidati dalla deputata della sinistra del Partito Democratico, Cori Bush2, che ha messo in atto un sit in al Campidoglio durato 5 giorni, l’amministrazione Biden ha emesso un nuovo blocco degli sfratti che rimane in vigore fino al 3 ottobre3. Come le ordinanze precedenti, la moratoria di due mesi proviene dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC). Copre parti degli Stati Uniti (la stragrande maggioranza delle contee) che stanno vivendo quella che il CDC definisce una diffusione “sostanziale” e “elevata” del coronavirus nella sua aggressiva variante Delta che al momento rappresenta oltre l’80% di tutti gli attuali casi di CoVid-19 negli Stati Uniti4. L’ordine afferma: “Senza questo ordine, gli sfratti in queste aree [la trasmissione più elevata] probabilmente aggraverebbe l’aumento dei casi5. Infatti, gli esperti di salute pubblica hanno avvertito – e la ricerca lo ha dimostrato – che durante la pandemia gli sfratti provocano più casi di coronavirus perché le persone finiscono per vivere in situazioni più affollate (nei ricoveri collettivi, nelle case di amici e parenti, per strada), dove è più probabile che si contenga o diffonda il virus.

In precedenza, l’amministrazione aveva affermato di non avere l’autorità legale per emettere un nuovo provvedimento. Il nuovo ordine potrebbe affrontare sfide legali. Gene Sperling, che sovrintende all’attuazione degli aiuti da parte della Casa Bianca per il CoVid-19, ha detto ai giornalisti che l’amministrazione Biden aveva “controllato quattro volte” se avesse le basi legali per estendere unilateralmente la moratoria, ma che alla fine le sue mani erano legate da una sentenza 5 a 4 della Corte Suprema (che il 29 giugno aveva chiarito che era necessaria “una chiara e specifica autorizzazione del Congresso“), promossa da un ricorso dei proprietari immobiliari6, che ha bloccato il CDC dall’estendere la sua passata moratoria oltre la fine di luglio7. Un tentativo dell’ultimo minuto del Congresso di estendere il divieto è fallito, perché la presidente (democratica) della Camera Nancy Pelosi non è stata in grado di assicurarsi i voti necessari per approvare una proroga.

La nuova estensione della moratoria è stata attaccata come incostituzionale sia dalle associazioni dei proprietari immobiliari (l’Associazione degli agenti immobiliari dell’Alabama ha subito intentato una causa chiedendo ai tribunali di bloccarla) sia dagli opinionisti conservatori, con la rivista conservatrice National Review che ha incitato gli americani ad “ignorare la nuova moratoria degli sfratti dei CDC8. In questo clima surriscaldato, è assai probabile un nuovo intervento della Corte Suprema a breve termine e Biden sa che “la maggior parte degli studiosi costituzionali afferma che è probabile che non superi la valutazione di costituzionalità9.

Sperling ha aggiunto che Biden stava chiedendo ai governi statali e locali di estendere o passare delle moratorie e ha fatto notare che ci sono ancora miliardi di dollari in aiuti per l’affitto disponibili. Il paradosso, infatti, è che il governo federale (con Trump prima, e con Biden poi) ha stanziato 46,5 miliardi di dollari per l’Emergency Rental Assistance Plan, un programma di assistenza per affitto e mutui per le persone che sono in condizioni di difficoltà, arrivando a coprire fino a 18 mensilità. Questa misura è stata approvata dal Congresso con l’obiettivo di aiutare coloro che sono sotto la minaccia di uno sfratto ma, secondo l’amministrazione Biden, i ritardi burocratici nella sua applicazione da parte di Stati e amministrazioni locali la hanno reso disponibile solo per 600 mila famiglie, arrivando ad utilizzare in 5 mesi solo il 6% (3 miliardi) degli oltre 46 miliardi stanziati per coprire l’affitto/mutuo arretrato e impedire ai proprietari di perseguire gli sfratti10.

Molte delle burocrazie statali e locali esistono principalmente per gestire programmi federali, ma hanno dimostrato di non essere necessariamente preparate a gestire le nuove responsabilità imposte loro improvvisamente nel mezzo di una pandemia, dovendo soddisfare (rendicontando) i regolatori federali e i supervisori del Congresso del loro uso dei dollari federali. Uno degli scogli principali contro cui si è andata a schiantare l’applicazione dell’Emergency Rental Assistance Plan (una legge di quasi 5 mila pagine) è stata la questione della verifica dei mezzi di sostentamento delle famiglie – ossia la separazione dei poveri “meritevoli” da quelli “immeritevoli” di assistenza locativa. Finora l’applicazione della legge è stata gestita con un approccio “difensivo”, utilizzando complesse procedure burocratiche, con l’obiettivo di evitare le potenziali frodi11. Ma, è stata l’ennesima dimostrazione del fatto che più barriere si mettono all’accesso degli aiuti e più è difficile per i potenziali beneficiari accedervi.

L’ambizioso programma a 5,2 miliardi di dollari della California che mirava a fornire un’aiuto del 100% nel pagamento dell’affitto a tutti gli inquilini a basso reddito che lottano durante la pandemia è stato afflitto da ritardi e sfide e alcuni affittuari che stanno aspettando l’arrivo degli aiuti affermano che ora stanno affrontando minacce di sfratto. I funzionari della California hanno lavorato da marzo per distribuire fondi ai proprietari i cui inquilini sono rimasti indietro con l’affitto durante la pandemia e a giugno le autorità hanno promesso che lo Stato avrebbe ripagato l’intero debito dell’affitto degli inquilini aventi diritto. Ma, l’attuazione del programma è stata lenta, con gli inquilini idonei in tutto lo Stato che hanno difficoltà a presentare domanda, mentre altri affermano di aver dovuto aspettare mesi per i fondi. Le associazioni degli inquilini temono che se i problemi persistono, centinaia di migliaia di affittuari potrebbero finire sotto sfratto quando la moratoria della California scadrà alla fine di settembre. Più di 800 mila famiglie sono in ritardo con l’affitto, con una media di 4.400 dollari per nucleo familiare. A partire dalla scorsa settimana, secondo i dati statali, la maggior parte dei richiedenti non ha ancora ricevuto alcun aiuto per l’affitto12. La città di Los Angeles ha finito i soldi (250 milioni di dollari) e ha chiuso il suo programma, dicendo che non è in grado di soddisfare le richieste (sono arrivate 110 mila domande di aiuto per 500 milioni di dollari). Nel frattempo, i debiti degli affittuari stanno aumentando poiché la diffusione della variante Delta provoca ulteriori difficoltà economiche. Incapaci di accedere agli aiuti e minacciati dai proprietari, alcuni inquilini si sono trasferiti. Si sono indebitati così tanto che non possono permettersi di aspettare, pensando anche a cosa potrebbe succedere se poi l’aiuto statale o comunale non dovesse arrivare.

Dallo sfratto alla condizione di homelessness il passo è breve e spesso senza ritorno

Gli sfratti spesso mandano le famiglie in una spirale finanziaria discendente. Può essere difficile trovare un altro posto dove vivere con uno sfratto sul proprio record personale. Le persone possono finire a vivere nelle loro auto, in motel quando possono permetterselo o in rifugi collettivi per senzatetto. Le ricerche sul fenomeno hanno scoperto che c’è anche un grande impatto soprattutto sulle persone non bianche, vittime di un razzismo spesso anche istituzionale.

Lo scrittore afro-americano James Baldwin notava che “chiunque abbia mai lottato con la povertà sa quanto sia costoso essere poveri”. Se in America si perde il lavoro e si diventa poveri13, si rischia di non essere in grado di pagare l’affitto, di perdere la casa e di finire in strada. Almeno 20 milioni di nuovi poveri americani vivono on the road in nomadland (titolo del pluri premiato film di Chloe Zhao) svolgendo lavori stagionali lungo la strada. Abitano in furgoni, camper, roulotte e mobile-homes che parcheggiano sia nei parking lots degli ipermercati Walmart e degli altri shopping malls sia nei trailer parks o nelle colonias rurali texane e del Southwest lungo il confine USA-Messico, trasformati in villaggi o cittadine con una popolazione semipermanente. Il numero di questi nomadi motorizzati è aumentato di molto durante la pandemia da CoVid-19 con milioni di americani che hanno perso il lavoro e hanno dovuto affrontare una crisi sanitaria ed economica globale.

Se si viene sfrattati e si perde la casa – tra il 2001 e il 2016 circa 71 milioni di americani, soprattutto madri sole di colore con figli, sono stati sfrattati, una media di 3,6 milioni all’anno – è molto difficile mantenere un lavoro, il controllo della propria vita e un rapporto stabile con la burocrazia pubblica, far funzionare un matrimonio, far frequentare ai figli la scuola, assistere i propri genitori anziani, mangiare in modo sano, sentirsi ed essere al sicuro.

Il fenomeno sociale dei senzatetto non viene visto come collegato alle problematiche del controllo poliziesco delle città, alla gentrificazione, alla lotta per il diritto ad alloggi a prezzi accessibili, alla precarizzazione del lavoro e alla crisi del welfare, né si riconosce che i senzatetto sono dei membri della comunità piuttosto che un problema da spazzare via. Il loro numero è cresciuto a partire dagli anni ’80, con l’aumento dei tagli all’edilizia popolare e ai servizi sociali e il deterioramento generale dell’economia14. Sono stati deistituzionalizzati gli ospedali psichiatrici statali. Sono diminuiti gli alloggi con una sola stanza da letto. Molti veterani di ritorno dalle guerre del Vietnam e del Golfo Persico, nonché dai conflitti in Iraq e Afghanistan, sono rimasti senza casa. Durante gli anni 2000, il numero dei senzatetto ha continuato ad aumentare. Ciò è dovuto all’alto costo degli alloggi, alla mancanza di alloggi a prezzi accessibili e ai salari che non hanno tenuto il passo con il costo degli alloggi. Durante la Grande Recessione del 2007-2009, molte persone sono rimaste inadempienti sui loro mutui a causa delle condizioni economiche e del mercato immobiliare. Di conseguenza, c’è stato un grande aumento di pignoramenti, sfratti e disoccupazione, che ha portato a un aumento dei senzatetto. Infine, dalla primavera 2020, la pandemia di CoVid-19 sta colpendo le persone in molti modi che aumentano le possibilità di diventare senzatetto o rimanere senza casa più a lungo.

Se si diventa homeless – si stima che ve ne fossero almeno 580 mila nel 2020, il 39% afro-americani, il 12% ex veterani, molti sono famiglie o giovani madri sole con bambini e adolescenti, tanti sono malati cronici, alcolisti, tossicodipendenti, e per il 35% senza un ricovero e che dormono per strada –15, invece di essere aiutati umanamente ad uscire da tale condizione dalle amministrazioni locali attraverso l’accesso ad alloggi a prezzi accessibili o a servizi di sostegno e protezione sociale, si rischia di essere esposti alla violenza, di finire nelle maglie di un sistema giudiziario che non guarda in faccia a nessuno, di perdere la propria dignità, di essere multati e criminalizzati (considerati dei “soggetti pericolosi” e quindi dei nemici sociali da incarcerare) per ogni attività di sopravvivenza: chiedere l’elemosina, dormire o sedersi in strada o sulle panchine di in parco pubblico o nella propria macchina, piantare una tenda sotto i ponti di un’autostrada, in un parco o lungo le rive di un fiume16. Nel novembre 2019, il consiglio comunale di Las Vegas ha approvato una legge che ha reso il sedersi, il riposarsi o l’”alloggiare” sui marciapiedi un reato punibile con un massimo di sei mesi di reclusione o multe fino a mille dollari nella maggior parte dei quartieri.

Quella dei senzatetto è una questione complessa e multifattoriale che richiede una serie complessa di regole ed interventi per poter dare una risposta adeguata. Non esiste un’unica soluzione al fenomeno dei senzatetto. Non è possibile risolvere questa questione senza affrontare la crisi dell’accessibilità agli alloggi a canone calmierato e della stabilità nel tempo dei contratti. Secondo gli attivisti e i consiglieri comunali progressisti, gli alloggi di supporto (supportive housing) – appartamenti a prezzi accessibili che forniscono supporto in loco, pasti e assistenza per la salute mentale, tra gli altri servizi – sono uno dei modi migliori per soddisfare le esigenze dei cittadini vulnerabili. Ma, in nessuna città americana l’attuale numero di unità di supportive housing si avvicina a soddisfare la domanda. Mancano volontà politica e risorse.

Quasi la metà di tutti gli americani che dormono per strada vive in California. Tra le cinque città con i più alti tassi di homeless che dormono per strada (ai quali generalmente non viene offerto un ricovero), quattro sono in California (San Francisco, Los Angeles, Santa Rosa e San Jose) e l’altra è Seattle (Washington State). Ma, sono le città della costa orientale che hanno il più alto tasso di persone homeless – e Washington, DC è la peggiore. Infatti, le città con i più alti tassi di persone homeless sono Washington, DC, Boston e New York, dove se non altro sono in vigore leggi che garantiscono il diritto ad accedere ad un rifugio e ad alloggi di una determinata qualità17.

Più del 20% di tutti gli homeless americani vive a New York City e di recente gli attivisti dei diritti dei senzatetto hanno protestato (11 sono finiti in manette) contro le politiche del sindaco Bill De Blasio di trasferimento di circa 8 mila persone dagli hotel nei rifugi collettivi (invece che in appartamenti) in tutta New York City. Sostengono che solo il 20% dei senzatetto sono vaccinati e collocarli in rifugi collettivi li mette a rischio della variante Delta. Housing Works e altre associazioni hanno denunciato i fallimenti di De Blasio nel fornire soluzioni sicure e di sostegno per gli homeless, spostandoli da hotel e a rifugi come bestiame. Hanno anche chiesto un’azione immediata su Intro.146, una legge del Consiglio comunale che richiede alla città di pagare importi più elevati dei voucher per l’affitto per i newyorkesi senzatetto. Pochi giorni dopo il sindaco de Blasio ha annunciato che gli aumenti arriveranno a settembre18.

L’ostilità verso le persone senza fissa dimora è molto forte anche nelle aree urbane dove prevale il progressismo di sinistra come Denver, dove i cittadini hanno deciso di legalizzare la cannabis e i funghi allucinogeni, ma hanno anche confermato con l’82% dei voti una legge che vieta di dormire all’aperto.

A Los Angeles (LA) vivono circa 60 mila homeless che con le loro tende occupano i marciapiedi di molte vie del centro e 918 sono morti per strada nel 2018. Di recente, l’amministrazione si è impegnata per affrontare la crisi dei senzatetto nell’area turistica del lungomare di Venice, offrendo a 160 homeless un percorso verso una residenza permanente (passando prima per i ricoveri collettivi temporanei e gli hotel) sostenuto dai vouchers per l’affitto. Ci sono 306 hotel residenziali nella città di LA, contenenti 10.150 camere, per lo più occupate da inquilini a basso reddito (working poors) e homeless19. Secondo gli attivisti dei diritti degli homeless, la città, la contea, lo Stato e il governo federale devono investire massicciamente in soluzioni abitative permanenti; questa è l’unica cosa che può cambiare le condizioni delle strade e dei marciapiedi. Ma, intanto, a fine luglio il sindaco Eric Garcetti ha fatto approvare dal Consiglio comunale una nuova ordinanza che limita il sonno e gli accampamenti dei senzatetto in alcune zone della città. L’ordinanza proibisce agli homeless di realizzare rifugi temporanei entro 300 metri da scuole, asili nido, parchi, biblioteche e altri luoghi pubblici in tutta la città di Los Angeles.

Nelle città, chi è senza casa finisce per utilizzare ogni giorno i McDonald’s o altri ristoranti delle grandi catene di fast-food per recuperare acqua pulita, avere un posto dove poter andare al bagno, socializzare, caricare un telefono, ottenere il wifi gratuito, difendersi dal caldo o dal freddo eccessivo e mangiare cibo economico.

Tutto ciò rende la sofferenza più brutale e spinge le persone che vivono nelle strade sempre più ai margini e nell’ombra, mentre coronavirus CoVid-19, tifo, tubercolosi, epatite e altre malattie infettive si stanno diffondendo rapidamente attraverso campi e rifugi collettivi dei senzatetto, minacciando di creare una crisi sanitaria pubblica in California ed altri Stati.

Secondo l’Homeless Counting Report, il 42% dei circa 30 mila homeless della San Francisco Bay Area è finita a vivere per la strada per problemi di dipendenza da alcol e droghe, mentre il 37% per malattie mentali. Secondo il conteggio annuale dei senzatetto dell’HUD del 2018, “111.122 senzatetto (20%) avevano una grave malattia mentale e 86.647 senzatetto (16%) soffrivano di abuso cronico di sostanze. Tra tutti gli adulti che hanno usato un rifugio a un certo punto nel 2017, il 44% aveva disabilità”. Il dipartimento ha anche scoperto che il 9% dei senzatetto negli Stati Uniti aveva trascorso del tempo in una prigione o in una struttura correzionale.

I losers (perdenti) bianchi, sconfitti e dimenticati delle grandi aree metropolitane, degli Appalachi e della rust belt, non sono vittime in una guerra contro i bianchi, come sostengono i suprematisti dell’ultra-destra, ma piuttosto dei “danni collaterali” di una guerra crudele combattuta contro i poveri (non contro la povertà, come voluto dal presidente Johnson negli anni ‘60), le minoranze e i migranti.

L’enfatizzazione del pericolo per l’ordine pubblico e, quindi, la criminalizzazione dei poveri, degli homeless, delle minoranze e dei migranti attraverso l’azione repressiva dello Stato contribuisce a celare le contraddizioni sulle quali si sostiene il sistema economico americano, quali la precarietà lavorativa, la disuguaglianza economica, l’individualizzazione del rischio e la mancanza di solidarietà sociale20.

In questo modo, non solo viene disinnescato il potenziale di protesta politica presente in questi gruppi, ma viene costruita una rappresentazione politico-culturale che trasforma i bisogni che nascono da questioni sociali in problemi securitari, ossia da affrontare attraverso metodi e strumenti repressivi di ordine pubblico (“law and order”), come denunciato dal movimento Black Lives Matter nato nel luglio 2013 a seguito dello stillicidio di abusi e di uccisioni di giovani neri da parte delle forze di polizia rimasti impuniti.

L’uccisione per soffocamento del 46enne afroamericano George Floyd durante il suo arresto a Minneapolis a fine maggio 2020, in piena pandemia da CoVid-19, con oltre 100 mila morti e circa 40 milioni di nuovi disoccupati (soprattutto afroamericani ed ispanici), ha innescato proteste, rivolte, saccheggi, violenze (con arresti, feriti e morti) in almeno 350 città, da New York a Los Angeles. L’America si è trovata a dover affrontare insieme la più grande crisi di salute pubblica in un secolo, la peggiore recessione economica da generazioni e il più grande disordine civile dagli anni ’60.

La segregazione razziale rimane la caratteristica distintiva di molte città degli Stati Uniti; i neri affrontano una disoccupazione più alta, salari più bassi e segregazione abitativa; enormi disparità di ricchezza e di accesso ai servizi educativi, sanitari e sociali persistono a livelli prossimi a quelli descritti dal Kerner Report nel 196821. Sempre più bianchi e neri tendono a vivere separati nelle scuole, nei quartieri, nel lavoro, nel tempo libero.

Tutto questo avviene mentre sul piano politico Trump e il trumpisti repubblicani, etnonazionalisti e suprematisti bianchi mobilitano orma da anni una parte della popolazione bianca working class diventata sofferente, alienata, disperata, ferita, arrabbiata, isolazionista, nazionalista, neo-conservatrice e in buona parte anche xenofoba22. Si tratta di milioni di persone bianche non ispaniche, di classe sociale e istruzione medio-bassa che hanno vissuto con sempre maggiore insofferenza la propria downward mobility, la perdita di status sul piano socio-economico che si è contrapposta alla percezione di una crescente eguaglianza etnica degli anni di Obama con la crescita di una fascia affluente afro-americana (anche se gli afro-americani hanno un tasso di disoccupazione doppio rispetto ai bianchi e in percentuale rappresentano la maggioranza della popolazione carceraria e subiscono il doppio degli arresti), il prevalere della nuova immigrazione ispanica in diversi segmenti del mercato del lavoro e nei benefici dell’assistenza sanitaria, la presa di potere femminile nel mondo del lavoro e le politiche di genere che hanno messo in discussione la tradizionale prevalenza maschile non solo nel mondo del lavoro (anche se continuano ad essere pagate di meno, le donne rappresentano ormai il 50% della forza lavoro e la quota delle ragazze da tempo ha superato quella dei colleghi maschi nel totale dei laureati nelle università), ma anche all’interno della famiglia con il diffondersi della “famiglia a doppio stipendio” (two–earner family).

Trump è diventato il campione di quella parte dell’America che negli anni ’30 veniva chiamata white working class, che negli anni ’50-’60 veniva catalogata come white lower middle class e che negli anni della globalizzazione neoliberista dispiegata è andata ad ingrossare le file della cosiddetta white trash (“spazzatura bianca”). Elettori pro-Trump che Hillary Clinton aveva definito “deplorables”. Americani bianchi poveri (hillbillies e rednecks; bifolchi”) del Kentucky, dei monti Appalachi, del West Virginia, dell’Ohio, del Midwest e del Sud, che formano un proletariato rurale e industriale di “forgotten men” che ha sempre vissuto ai margini dell’American dream (un mito reso inizialmente popolare durante la Grande Depressione dallo storico James Truslow Adams con il libro Epic of America e da John Steinbeck con il libro The grapes of wrath), ma anche quegli americani della lower middle class bianca dei lavori tradizionali, spesso noiosi, ripetitivi e rigidamente supervisionati, e della ex “aristocrazia operaia” delle ex grandi fabbriche Fordiste che in parte Ronald Reagan, enfatizzando i valori tradizionali della famiglia e della comunità, costruendo anche una “moral majority” centrata sui movimenti evangelici guidati dal telepredicatore Jerry Falwell, aveva indotto a passare dal partito democratico di Carter a quello repubblicano di Reagan negli anni ’80.

Questa parte della popolazione americana ha visto andare in frantumi le sue comunità locali (che sono diventate “left-behind places”) e i suoi modi di vita tradizionali negli ultimi decenni23. Ha vissuto sulla sua pelle la perdita di uno standard di vita relativamente sicuro, la svalutazione da parte della società del valore del loro contributo e la crescita della propria alienazione per la mancanza di senso del proprio lavoro. A partire dagli anni ‘80 è stata la vittima principale dei processi deindustrializzazione, con la “razionalizzazione” e delocalizzazione delle aziende (verso sud o all’estero, soprattutto in Cina), la sostituzione del lavoro umano con nuove macchine automatizzate, la chiusura delle grandi miniere di carbone e di altre attività produttive ad alto impatto ambientale, la desertificazione del piccolo commercio dovuta alla proliferazione dei megacentri commerciali Walmart e, infine, con gli effetti depressivi della crisi finanziaria del subprime. La combinazione del possesso di bassi livelli di competenze digitali (in gran parte conseguenza dei tagli all’istruzione superiore da parte delle amministrazioni statali) e degli elevati prezzi delle case nelle grandi aree metropolitane (mentre nelle aree rurali e deindustrializzate sono crollati o hanno ristagnato) ne hanno frenato la mobilità geografica verso le aree in maggiore crescita occupazionale ed economica. Inoltre, molti dei “left-behind places” lo sono diventati perché non hanno avuto accesso a capitale, investimenti pubblici, moderne infrastrutture di trasporto e rete a banda larga che avrebbero potuto creare nuove opportunità economiche in loco.

La composizione socio-demografica degli USA è profondamente cambiata negli ultimi 40 anni. Per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, i bianchi americani si trovano di fronte alla prospettiva di diventare una minoranza nel loro “proprio Paese“. Nel 2010 afro-americani, asiatici e latini sono diventati oltre un terzo della popolazione rispetto al 20% nel 1980. Questi gruppi costituiscono ora una quota ampia e crescente di occupazioni della classe lavoratrice americana. Per esempio, nel 1981 neri, latini, asiatici e immigrati costituivano circa il 15-16% degli occupati nei settori della produzione industriale, dei trasporti e dei servizi; ora rappresentano quasi il 40% di ciascuno di questi gruppi professionali.

E’ nel contesto di standard di vita declinanti per lavoratori bianchi allevati a credere che una gerarchia razziale avrebbe protetto tutti o buona parte di loro dagli effetti distruttivi del capitalismo, che si è sviluppato il cosiddetto “white backlash”, un vasto contro-movimento dalle tonalità razziste (“neo-Confederato”, suprematista e xenofobo) animato da lavoratori bianchi con salari stagnanti e lavori precari, senza senso e inutili (quelli che l’antropologo David Graeber ha definito bullshit jobs) o disoccupati che credevano che in ogni caso, anche in presenza di una grande crisi economica, ci sarebbe sempre stata una persona di colore o un migrante più in basso di loro, in condizioni sociali ed economiche peggiori delle loro.

Si tratta di persone che stanno vivendo in una condizione di sofferenza reale, caratterizzata da un profondo disagio sociale, culturale ed economico. Tra il 1999 e il 2014 la classe media non solo si è ristretta (-4%), ma ha dovuto fare sacrifici: si sono infatti allargate le fasce dei più ricchi e dei più poveri, e il reddito mediano della classe media è sceso dai 78 mila ai 73 mila dollari (-6%). Questo ha voluto dire per molti una riduzione o quanto meno un contenimento dei consumi, con molte famiglie della lower middle class, con redditi sotto i 40 mila dollari, con lavori precari e/o part-time pagati con il salario minimo di 7 dollari e 25 centesimi l’ora (invariato dal 2009 e che solo alcuni Stati hanno innalzato a 12-15 dollari, mentre nel luglio 2019 la Camera aveva approvato il Raise the Wage Act che lo avrebbe dovuto aumentare a 15 dollari in sei anni ma che, come una analoga successiva proposta di Biden, è stata cassata dall’opposizione repubblicana al Senato), che non arrivano più alla fine del mese dopo aver creduto per anni di poter vivere al di sopra delle proprie possibilità attraverso il credito facile (la metà dei lavoratori americani guadagna meno di 18,58 dollari all’ora). Sono imprigionati in una forma di instabilità ed insicurezza permanente. Per un Paese costruito attorno all’American dream della mobilità sociale verso l’alto e della promessa di un futuro migliore, trovarsi vittima del trend opposto in seguito alla delocalizzazione industriale, alla crisi finanziaria subprime e alla progressiva precarizzazione e automatizzazione del lavoro umano non poteva non avere un impatto drammatico.

Rendita immobiliare, rigenerazione urbana e espulsione dei più poveri dalle città

Il taglio dei trasferimenti di risorse da parte del governo federale alle amministrazioni delle municipalità locali24, più a diretto contatto con i bisogni di welfare della popolazione, ha contribuito ad accelerare il passaggio da una forma politico-manageriale del governo locale a una governance urbana di tipo imprenditoriale. Pertanto, il tema dello “sviluppo” urbano è divenuto centrale, con un peso sempre più rilevante acquisito non solo dai proprietari di aree, dalla rendita fondiaria, dagli interessi del settore delle costruzioni e dei finanzieri, ma soprattutto dai developers immobiliari, considerati gli unici soggetti apparentemente in grado di garantire sviluppo economico, anche se poi in realtà spesso finiscono per mettere in crisi i bilanci delle città attraverso la cosiddetta “urbanistica contrattata”, perché vengono attratti con varianti ad hoc ai piani regolatori e mega incentivi fiscali e sussidi che riducono il gettito fiscale e quindi le risorse con cui poter affrontare i problemi sociali, infrastrutturali e logistici. Non a caso, negli ultimi decenni le città hanno fatto affidamento principalmente sulla creazione di alloggi a prezzi di mercato come strumento per attrarre nuove persone e imprese e non hanno dato priorità alla costruzione di abitazioni che abbiano prezzi accessibili (ad affitto calmierato), tanto meno alle case popolari.

Negli ultimi anni numerose città e 25 Stati americani hanno concesso enormi esenzioni fiscali (complessivamente, intorno ad un miliardo di dollari) ad Amazon affinché localizzasse nel loro territorio un cluster logistico. Nel 2018, Amazon aveva annunciato un piano per localizzare un complesso da 5 miliardi di dollari e 50 mila lavoratori come seconda sede in qualche parte del Nord America, scatenando una frenetica competizione tra 238 amministrazioni statali e comunali nell’offrire miliardi di dollari in abbattimento delle tasse e sussidi aziendali nel tentativo di assicurarsi di essere scelte.

Alla fine, Amazon aveva deciso di “dividere” la sua seconda sede dopo quella storica di Seattle fra Long Island City, ex area industriale e portuale nel quartiere popolare di Queens a New York, e Arlington, a Crystal City in Virginia, nei pressi di Washington DC, mentre a Nashville, nel Tennessee, grazie a 100 milioni di dollari di sussidi pubblici, sta sorgendo un nuovo centro legato alla gestione degli ordini e al trasporto delle merci con 5 mila posti di lavoro25.

Per attrarre un investimento da 2,3 miliardi di dollari da parte di Amazon, il governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, e il sindaco della città, Bill de Blasio, avevano accettato di avallare importanti varianti urbanistiche e di fornire un pacchetto da 1,7 miliardi di dollari di incentivi statali e da 1,3 miliardi in esenzioni dalle imposte della città che equivalevano ad oltre 100 mila dollari per posto di lavoro creato per un periodo superiore a 10 anni. “Cambierò il mio nome in Amazon Cuomo se questo è quello che serve“, aveva detto il governatore dello Stato di New York, rivelando una grande premura a piegare la sua amministrazione pubblica ai capricci di Amazon. In base all’accordo, entro 15 anni Amazon avrebbe dovuto occupare uno spazio per uffici equivalente a tre volte quello dell’Empire State Building in cui ospitare 25 mila o più lavoratori.

Tutto questo mentre i residenti di Queens e molti politici locali (l’accordo prevedeva che il consiglio municipale di Queens venisse by-passato) hanno protestato perché ritenevano che i possibili costi – metropolitane affollate, gentryfication di aree popolari con un aumento dei prezzi delle case, della vita quotidiana e delle tasse di iscrizione al sistema universitario della City University of New York, fogne sovraccariche e mancata riscossione di tasse statali e municipali – superassero di molto i benefici di avere 25 mila nuovi lavoratori che avrebbero dovuto guadagnare in media 150 mila dollari all’anno. Inoltre, gli oppositori hanno fatto notare che si volevano regalare miliardi di dollari in incentivi a una delle aziende più potenti al mondo, gestita dall’uomo (Jeff Bezos) più ricco del mondo, quando la città di New York ha disperatamente bisogno di soldi per risistemare la metropolitana, per realizzare alloggi a prezzi accessibili per coloro che lavorano per salari relativamente bassi (a New York sono circa 78 mila gli homeless, persone senza casa che dormono per strada, nella metro, nei ricoveri municipali e negli hotel sovvenzionati), per sistemare le scuole, gli ospedali pubblici e un sistema universale pre-kindergarten. Per cercare di creare consenso, Amazon aveva accettato di donare spazio nel suo campus per un incubatore di start-up, artisti e attività industriali, e una nuova scuola. Inoltre, avrebbe investito nella formazione professionale e nei tirocini, nelle infrastrutture e negli spazi verdi.

Dopo poco più di tre mesi di discussioni, trattative e polemiche, Amazon ha deciso di cancellare i piani per il suo quartier generale a New York (dove aveva già oltre 5 mila dipendenti). La resistenza di cittadini, attivisti, media, sindacati e politici locali e statali dell’ala sinistra del Partito Democratico ha avuto la meglio sulle decisioni prese da Amazon insieme ai leader democratici moderati di New York, il sindaco Bill de Blasio e il governatore dello Stato Andrew Cuomo. I perdenti più ovvi nell’inversione di Amazon sono stati gli speculatori immobiliari. Il Wall Street Journal aveva riferito che i broker si erano imbarcati in una “corsa all’oro del condominio” in previsione della costruzione del campus di Amazon. Dieci mesi dopo che il piano di localizzazione nel Queens è stato bloccato, Amazon ha annunciato che avrebbe aperto uffici per 1.500 lavoratori nel nuovo quartiere Hudson Yards di Manhattan nel 2021 senza beneficiare di alcun incentivo pubblico.

Se le città si sono messe sempre più a sussidiare le imprese con l’obiettivo di evitare la loro delocalizzazione e/o di favorirne l’insediamento in loco, è soprattutto con i developers immobiliari che le amministrazioni locali stringono, spesso in modo molto poco trasparente, accordi operativi in variante ai piani urbanistici vigenti, decidono incentivi fiscali e ridefiniscono gli standard urbanistici, subordinando il pubblico (l’interesse generale) agli interessi privati. Uno dei potenti driver del nuovo sviluppo urbano è costituito dalle global corporations del capitalismo digitale – Facebook, Google e Amazon – che non hanno solo colonizzato Internet, ma i loro hub, campus e uffici stanno conquistando enormi sezioni di città in tutto il mondo, contribuendo ad espellere dal tessuto urbano famiglie residenti da generazioni che non possono più permettersi di continuare a viverci per l’aumento del costo della vita e degli affitti.

Pertanto, la maggior parte delle classi lavoratrici non vive più dove si crea lavoro (le metropoli globalizzate), ma in aree periferiche, in centri minori, città di medie dimensioni deindustrializzate o nelle aree rurali, là dove l’occupazione è sempre più rara e dove si assiste ad un progressivo ritiro dei servizi pubblici26. Nelle immediate periferie urbane (ad esempio, nelle banlieue francesi raccontate da film di successo come L’odio e Les misérables) continuano a risiedere solo quei segmenti di classi lavoratrici destinati agli impieghi scarsamente qualificati e mal retribuiti di cui le classi medie e ricche delle metropoli hanno ancora bisogno: edilizia, sicurezza, pulizia e raccolta dei rifiuti, servizi alla persona, ristorazione, logistica, manutenzione impiantistica.

Il risultato è che oggi non si costruiscono città affinché le persone possano viverci, ma affinché le persone possano investirci, lavorare, “turistare” e soprattutto consumare. Così tutte le città del mondo hanno rapidamente cambiato volto a seguito di interventi di “rinnovamento, rigenerazione, riqualificazione e risanamento urbano” che generalmente hanno portato alla realizzazione di sempre più grandi operazioni immobiliari speculative, trasformazioni dei luoghi degradati della produzione industriale in scintillanti luoghi di svago e consumo (delle piccole Disneyland, ossia dei parchi giochi pieni di attrazioni e divertimenti e spesso uguali in tutti gli angoli del globo).

Processi di gentrification dei quartieri popolari che provocano la cacciata, con le buone o le cattive maniere, dei “poveri” da una zona centrale degradata (spesso rendendoli letteralmente dei senza casa, perché non in grado di fare fronte all’aumento del costo della vita e di pagare affitti sempre più elevati) – che sia formata da abitazioni storiche, slums, bidonvilles, favelas o shanty towns – per farne il luogo abitativo per i “ricchi27.

Al posto di quartieri poveri, protoindustriali o industriali, sono stati e vengono edificati “ghetti per ricchi” ai quali anche l’ingresso è ristretto. Operazioni immobiliari che vengono realizzate con una visione dello spazio urbano come spazio di ordine pubblico presidiato da telecamere e forze di polizia private e pubbliche, per cui le questioni prevalenti diventano la sicurezza e il decoro, a scapito della partecipazione sociale e politica. Quartieri residenziali e direzionali di lusso, esclusivi e segregati come Hudson Yards di Manhattan, costruiti per investitori e per “city users” temporanei benestanti. Frutto di progetti monumentali generalmente firmati da studi di grandi archistar celebrate a livello internazionale e assemblati con nuove dotazioni infrastrutturali, logistiche e commerciali volte “ad aumentare l’attrattività e la competitività del territorio”.

Hanno così preso corpo nuovi skylines ed immensi sprawls urbani che consumano suolo disperdendosi nelle campagne periurbane dopo che sono stati rimossi vincoli ambientali, urbanistici e sociali28. La “turistificazione” delle città legata al turismo di massa sta causando degrado ambientale, condizioni pericolose, immiserimento, massificazione dei luoghi che snatura la vita quotidiana degli abitanti e ne promuove l’espulsione29.

Le imprese del settore turistico (che l’ONU ha stimato valesse 1,7 trilioni di dollari nel 2019, generando 1 su 10 posti di lavoro nel mondo) trasformano in merci dei beni – una vista, una scogliera, una spiaggia, una fonte di acqua calda, una cattedrale, un centro storico o un sito archeologico – che non gli appartengono. Nelle “città turistiche” il mercato per la domanda dei residenti non coincide con il mercato per la domanda dei turisti, ma i due mercati si sovrappongono nel tempo e nello spazio ed entrano in conflitto o divergono. Ad esempio, se il residente ha bisogno di riparare le scarpe, mentre il turista ha fame di uno snack, e se i turisti spendono più dei residenti, il risultato è che scompare la bottega artigiana del ciabattino e si moltiplicano i fast-food, i pub e le gelaterie. Oltre al drastico mutamento della composizione sociale dei quartieri e della tipologia dei servizi, vengono stravolte anche le funzioni degli edifici30.

Intanto, ad oltre 10 anni da una grave crisi finanziaria globale originata in larga parte a seguito della fine di un boom del mercato immobiliare, tutte le grandi aree metropolitane del mondo (le prime 30 ospitano quasi il 15% della popolazione mondiale) devono affrontare una crisi legata all’insicurezza abitativa. Molte grandi città si sono sovrastrutturate per alloggiare i ricchi, mentre mancano di alloggi a prezzi accessibili per le classi medie e popolari. Da solo il mercato non è in grado di soddisfare la domanda di alloggi decenti a prezzi accessibili31. Negli USA circa 40 milioni di famiglie spendono più del 30% del loro reddito in affitto o in un mutuo; circa 20 milioni spendono più della metà delle loro entrate in affitto. A Los Angeles gli appartamenti si affittano in media 2.527 dollari al mese, il 65% in più rispetto al prezzo medio di un decennio fa, un aumento significativamente più alto di quello medio nazionale 36% nello stesso periodo. I redditi familiari non sono stati in grado di tenere il passo dato che negli ultimi 10 anni il reddito familiare medio di Los Angeles è cresciuto del 36% a 64.036 dollari, mentre il programma comunale dei vouchers per l’affitto di una casa è stato abolito da un decennio, non lasciando alle persone più povere e vulnerabili altra scelta se non quella di dormire in auto o in tenda. I giovani, mentre lottano con la sottoccupazione, la disoccupazione frequente, il lavoro precario e la mancanza di risparmi, devono affrontare crescenti costi di alloggio. L’insicurezza lavorativa e alloggiativa rafforza un circolo vizioso che contribuisce a peggiorare la disuguaglianza economica.

L’alternativa esiste: l’edilizia pubblica del Comune di Vienna

Vienna è una delle città dove secondo The Economist e molti osservatori si vive meglio al mondo e dove il 62% dei residenti vive in alloggi sociali, permanentemente di proprietà comunale. Questo grazie anche alle politiche per la casa perseguite dalle amministrazioni municipali della “Vienna rossa” tra il 1919 e il 1932 che si basavano sulla considerazione che l’alloggio deve essere un diritto universalmente disponibile. Le amministrazioni a guida socialista si dotarono di un sistema fiscale fortemente progressivo, equo ed autonomo (liberandosi dalla dipendenza dal governo nazionale e dal sistema finanziario), e concentrarono le loro energie nella realizzazione di scuole, mense scolastiche, ospedali pediatrici, biblioteche, piscine, trasporti e soprattutto alloggi per le masse di proletari e ceti medi bassi.

Ancora oggi si possono ammirare gli imponenti complessi di edilizia popolare (come il Karl Marx Hof o il Viktor Adler Hof) vecchi di 100 anni. Per decenni le risorse comunali sono bastate a calmierare il mercato e assicurare ai cittadini una vita serena e dignitosa, riparata dall’assillo della speculazione immobiliare. L’attuale amministrazione socialista-verde spende ogni anno 600 milioni di euro per ampliare, ristrutturare, ammodernare il proprio patrimonio edilizio. Gestisce 220 mila appartamenti, mentre altri 180 mila fanno capo a cooperative immobiliari sovvenzionate dallo stesso Comune. Un patrimonio edilizio pubblico o semi-pubblico in cui vive il 62% dei quasi due milioni di viennesi.

Nel suo sito istituzionale il Comune di Vienna si presenta come il principale immobiliarista pubblico d’Europa. Una delibera del consiglio comunale del novembre 2018 ha introdotto la categoria della “residenzialità sovvenzionata” e ha stabilito che ogni nuovo complesso immobiliare superiore ai 5 mila mq (circa 50 appartamenti) deve riservare i due terzi della metratura ad alloggi a canone calmierato (nell’ordine di 5 euro al mq). Il comune ha edificato la Vienna contemporanea tenendo a bada il mercato, nella convinzione che il diritto all’abitare debba temperare il diritto alla proprietà, allo stesso tempo l’amministrazione pubblica offre ai cittadini sicurezza, un accesso ad ottime cure sanitarie, ad un eccellente sistema di trasporti pubblici, ad una sofisticata offerta culturale e ad un qualificato sistema di istruzione.

Anche alla luce dell’esperienza viennese, per sopravvivere le metropoli non avranno altra scelta che ripensarsi per cercare di dare risposte positive alle sfide della polarizzazione socio-politica e delle disuguaglianze economiche, della rivoluzione digitale e della necessaria transizione ecologica. Un passaggio che richiede l’elaborazione di strategie a lungo termine con il coinvolgimento attivo dei cittadini attraverso forme di democrazia partecipativa. La priorità dovrebbe andare ad una crescita inclusiva e sostenibile (le città producono l’80% delle emissioni di gas ad effetto serra occupando solo il 2% della superficie del pianeta) che passi da un accesso a bassa soglia all’alloggio, ai trasporti, all’istruzione, all’assistenza sanitaria.

 

  1. All’inizio della pandemia, il Congresso ha adottato una moratoria limitata e temporanea sugli sfratti. Dopo la scadenza della moratoria nel luglio 2020, tuttavia, l’allora presidente Trump ha chiesto ai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) di intervenire ed emettere un nuovo divieto di sfratto, cosa che il CDC ha fatto a settembre. A marzo 2021, il presidente Biden ha prorogato tale divieto, che sarebbe scaduto alla fine di giugno. Poi, il 24 giugno, l’amministrazione Biden ha notificato alla Corte Suprema di aver prorogato la moratoria fino al 31 luglio. Aveva anche affermato che, salvo un aumento dei casi di coronavirus, il “CDC non prevede di estendere ulteriormente l’ordine“.[]
  2. Cori Bush è una rappresentante democratica del Missouri eletta alla Camera nel 2020 e fa parte dell’ala socialista democratica del partito e della cosiddetta Squad, insieme con Alexandria Ocasio-Cortez (New York), Ilhan Omar (Minnesota), Ayanna Pressley (Massachusetts), Rashida Tlaib (Michigan) e Jamaal Bowman (New York). Bush, che è stata sfrattata tre volte ed è stata una madre homeless, è stata una forza trainante nello sforzo di aumentare la consapevolezza sulla scadenza della moratoria, ha dormito fuori dal Campidoglio per protesta. Insieme a Alexandria Ocasio-Cortez e altri, ha invitato i colleghi della Camera a tornare a Washington dopo essere partiti per le vacanze e ha spinto la Casa Bianca a intervenire.[]
  3. Il presidente Biden, che era stato in gran parte concentrato sull’assicurare un sostegno bipartisan al suo disegno di legge sulle infrastrutture, è stato colto alla sprovvista dalla feroce reazione dopo un mese in cui i legislatori democratici erano stati in gran parte silenziosi. Biden e i suoi collaboratori hanno affermato che le loro mani erano legalmente legate da una recente sentenza della Corte Suprema che suggeriva con forza – ma non diceva esplicitamente – che la moratoria nazionale sugli sfratti superava i poteri di emergenza del governo concessi dal Public Heatlth Service Act del 1944, che stabilisce molti dei poteri sanitari pubblici del governo federale. Autorizza il segretario della sanità e dei servizi umani, tramite il CDC, a “fare e applicare i regolamenti che a suo giudizio sono necessari per impedire l’introduzione, la trasmissione o la diffusione di malattie trasmissibili da Paesi stranieri negli Stati o nei possedimenti, o da uno Stato o possesso in qualsiasi altro Stato o possesso”. Il CDC ha citato tale disposizione da sola per giustificare le sue azioni senza precedenti. []
  4. A differenza della precedente moratoria, che si applicava esplicitamente all’intero Paese, la nuova moratoria è limitata alle contee con livelli “alti” o “sostanziali” di diffusione comunitaria del CoVid-19 negli ultimi sette giorni. Al momento dell’emissione dell’ordine, quel limite copriva praticamente l’intero sud, quasi tutto l’ovest e vaste aree del Midwest e del nord-est. []
  5. Al punto in cui ci troviamo in questo momento con tassi di malattia così alti, abbiamo sentito che [era necessario] un nuovo ordine su misura per assicurarci che … i lavoratori americani a rischio di sfratto potessero essere alloggiati stabilmente durante questo periodo di tempo davvero tenue e impegnativo“, ha detto il direttore del CDC, la dottoressa Rochelle Walensky, al programma All Things Considered della National Public Radio.[]
  6. I proprietari immobiliari, danneggiati economicamente dalla moratoria, hanno a lungo sostenuto che l’ordine del CDC era un eccesso e che l’agenzia non ha il potere, in effetti, di prendere il controllo delle loro proprietà. Un gruppo di proprietari immobiliari ha contestato il divieto di sfratto e il 5 maggio un giudice federale di Washington, DC, ha stabilito che il CDC era andata al di là della sua autorità. Il giudice, tuttavia, ha bloccato l’entrata in vigore della sua decisione per dare al governo il tempo di ricorrere in appello. Il 2 giugno, la Corte d’Appello degli Stati Uniti per il Circuito del Distretto di Columbia ha confermato la sentenza, spingendo i proprietari a rivolgersi alla Corte Suprema. E’ importante ricordare che i proprietari immobiliari normalmente preferiscono cacciare l’affittuario moroso e far entrare qualcun altro con un affitto più alto. La stipula di un nuovo contratto di affitto consente, infatti, al proprietario di adeguare l’affitto ai prezzi di mercato nel territorio di riferimento.”[]
  7. Qualsiasi richiesta di [una] moratoria basata sulla recente decisione della Corte Suprema rischia di incontrare ostacoli“, ha affermato Biden. “Ho indicato al CDC, che vorrei che esaminassero altre alternative [diverse] da quella esistente, che il tribunale ha dichiarato che non permetteranno di continuare“. Biden ha anche osservato che, nonostante l’aumento dei casi, non c’è stato un aumento comparabile di ricoveri o decessi nella maggior parte del Paese a causa dell’efficacia del vaccino. “Abbiamo una pandemia di non vaccinati“, ha detto Biden. “Se sei vaccinato, è altamente improbabile che tu possa contrarre il CoVid-19 e, anche se lo fai, è probabile che non mostri alcun sintomo e, se li hai, molto probabilmente saranno molto lievi. Le persone vaccinate non sono quasi mai ricoverate in ospedale con CoVid-19”. Biden ha indicato il Vermont, lo Stato più vaccinato del Paese, che ha avuto solo cinque nuovi casi di CoVid-19 al giorno ogni 100.000 abitanti. Al contrario, ha osservato che Florida e Texas, Stati con tassi di vaccinazione più bassi, rappresentano un terzo di tutti i nuovi casi di CoVid-19 nel Paese. Ha esortato le persone a farsi vaccinare prima che sia troppo tardi. “In questo momento, troppe persone stanno morendo o vedono morire una persona cara e dicono: ‘Se mi fossi vaccinato.’[]
  8. Questo, nonostante che l’ordine dei CDC comporta pesanti sanzioni penali per i singoli proprietari che infrangono la legge: una potenziale multa di 100 mila dollari di multa e 1 anno di carcere se lo sfratto non provoca la morte della persona sfrattata e fino a 250 mila e 1 anno di carcere se la persona sfrattata muore.[]
  9. Se ci sono due cose che al blocco conservatore della Corte Suprema non piacciono, sono le ampie letture di vaghi statuti federali e gli oneri indefiniti sui diritti di proprietà. La moratoria degli sfratti combina entrambi in modo spettacolare.[]
  10. Come si sono affrettati a notare gli attivisti e alcuni giornalisti progressisti, è stato difficile distribuire il finanziamento in questione in non piccola parte perché viene incanalato attraverso un mosaico di agenzie statali e locali con uno scarso background in questo tipo di programma, ed è ostacolato da complicati requisiti di ammissibilità e scarsa istruzione dei beneficiari previsti. Secondo gli attivisti, le cose andranno solo peggio nei mesi a venire quando altre reti di sicurezza pandemiche raggiungeranno le loro date di scadenza. Anche la moratoria federale sui pignoramenti, che ha protetto più di un milione di proprietari di case nell’ultimo anno, è scaduta silenziosamente il 31 luglio. Come con la moratoria sugli sfratti, miliardi di fondi federali per compensare le sanzioni finanziarie maturate devono ancora essere erogati. E il 1 ottobre finirà anche la pausa federale sui pagamenti dei prestiti agli studenti e sui tassi di interesse. L’American Rescue Plan Act (ARPA) ha temporaneamente aumentato la durata, la copertura e la generosità dei benefici dell’assicurazione contro la disoccupazione fino al 6 settembre di quest’anno. Tra il 12 giugno e il 10 luglio, tutti i 25 stati guidati dai Repubblicani hanno eliminato prematuramente questi aumenti dei benefici per i loro residenti e l’amministrazione Biden ha rifiutato di utilizzare la propria autorità statutaria per prevenire questi tagli. I primi dati del Census Household Pulse Survey mostrano che questi tagli sono stati efficaci nell’eliminare le persone dalle liste di disoccupazione, ma non hanno avuto successo nell’aumentare l’occupazione. Se questi dati sono accurati, allora suggeriscono che, quando questi stessi tagli colpiranno l’altra metà più popolosa degli Stati il 6 settembre, faranno danni enormi a decine di milioni di americani. Milioni di americani stanno per affrontare difficoltà finanziarie del tutto evitabili, molto prima che l’economia si riprenda o la pandemia si plachi, e l’amministrazione Biden non può incolpare soltanto la Corte Suprema o i Repubblicani per tutto questo.[]
  11. Sono previsti, ad esempio, diversi tipi di parametri per le famiglie ammissibili. Uno o più componenti del nucleo familiare devono essere stati disoccupati o aver subito una “riduzione del reddito familiare” o altre difficoltà finanziarie che possono attestare per iscritto; deve essere determinato un rischio di finire senzatetto a causa di pagamenti scaduti; il reddito familiare deve essere pari o inferiore all’80% della mediana dell’area (e quelli al di sotto del 50% dovrebbero essere “priorità“), con quel reddito determinato per l’anno solare 2020 o il reddito mensile al momento della domanda, che deve essere rideterminato ogni tre mesi; e non devono ricevere altra assistenza per l’affitto.[]
  12. Circa 132 mila persone hanno presentato le prime domande di aiuto attraverso lo Stato, 91 mila famiglie hanno completato le domande e 20 mila di loro, solo il 22%, hanno ricevuto aiuti finanziari. Lo Stato ha stanziato un totale di 242 milioni di dollari, ovvero circa il 23% dei fondi richiesti finora. I funzionari ricevono ora più di 7 mila nuove domande a settimana.[]
  13. Negli ultimi quattro decenni di globalizzazione neoliberista sono anche via via aumentate, e sono esplose dopo il 2008, le disuguaglianze economiche, le divisioni territoriali e le segregazioni etniche, socio-economiche e culturali negli USA: tra le aree metropolitane più grandi delle coste orientali ed occidentali, ricche, scolarizzate, basate sulla conoscenza, la finanza e i servizi e diversificate socialmente, e le aree rurali ed ex-industriali del Midwest, più piccole, svantaggiate, meno scolarizzate e meno diversificate; tra la rust belt (l’ex industrial belt dell’era Fordista-Keynesiana) del nord e midwest e la sunbelt del sud dove a partire dagli anni ’70 sono state localizzate le nuove fabbriche non sindacalizzate. Ancora prima della pandemia da CoVid-19, dal 2008 al 2016 gli occupati sono aumentati di 9 milioni di unità, ma di 9 milioni di unità è aumentato anche il numero dei poveri censiti dal US Census Bureau. Almeno 41 milioni di americani – su 328 milioni – sono poveri, con 18,5 milioni che vivono in condizioni di estrema povertà e 5,3 milioni che vivono in condizioni di povertà assoluta “da Terzo Mondo”. Di questi poveri, 14,5 milioni sono bambini e 27 milioni sono bianchi, circa il 20% dell’intero Paese. Un bianco su otto e un afro-americano su quattro è povero. Il fenomeno della povertà americana è stato indagato di recente anche dalle Nazioni Unite, concludendo che “gli Stati Uniti sono una terra di forti contrasti: la sua immensa ricchezza e competenza stanno in uno scioccante contrasto con le condizioni in cui vivono un gran numero di cittadini” (Alston P., Report of the Special Rapporteur on extreme poverty and human rights on his mission to the United States of America, Human Rights Council of the United Nations, 2018, http://undocs.org/A/HRC/38/33/ADD.1). Ciò nonostante, il Council of Economic Advisers del presidente Trump aveva dichiarato che la lunga guerra dell’America alla povertà “è in larga parte finita e un successo”.[]
  14. In risposta alla conseguente crisi degli homeless degli anni ’80 e dopo molti anni di advocacy e numerose revisioni, il presidente Reagan ha firmato il McKinney-Vento Homeless Assistance Act nel 1987; questo rimane l’unico atto di legislazione federale che assegna fondi al servizio diretto dei senzatetto. Il McKinney–Vento Act ha aperto la strada ai fornitori di servizi negli anni successivi. Durante gli anni ’90, nelle città e nei paesi di tutta la nazione sono sorti rifugi per senzatetto, mense per i poveri e altri servizi di supporto. Tuttavia, nonostante questi sforzi e la drammatica crescita economica segnata da questo decennio, il numero dei senzatetto è rimasto ostinatamente alto. È diventato sempre più evidente che la semplice fornitura di servizi per alleviare i sintomi della condizione di senzatetto (ad esempio, posti letto, pasti caldi, consulenza psichiatrica, etc.), sebbene necessaria, non riusciva a risolvere le cause profonde della condizione di senzatetto.[]
  15. Una persona viene considerata homeless o senzatetto se “non ha una residenza notturna fissa, regolare e adeguata“, secondo il Dipartimento per l’edilizia abitativa e lo sviluppo urbano (HUD) degli Stati Uniti. Trucchi contabili rendono difficile sapere se i senzatetto negli Stati Uniti sono aumentati o diminuiti dal 2007, anche se la pandemia da CoVid-19 ha decisamente ampliato il fenomeno. Il governo federale è passato dalla promozione di alloggi di transizione (offrire ai senzatetto una stanza in una struttura abitativa temporanea) a un rapido ricollocamento (offrire assistenza per sostenere il costo dell’affitto di una casa privata). Il governo non considera i senzatetto coloro che hanno subito una nuova sistemazione, anche se riconosce che non è chiaro se le persone che vivono in un tipo di programma siano più “senzatetto” rispetto alle persone che vivono nell’altro tipo.[]
  16. Questo nonostante che nel settembre 2018, in Martin vs. City of Boise, la Corte d’Appello del Nono Circuito degli Stati Uniti abbia stabilito che le ordinanze sui campeggi e sulla condotta disordinata della città violavano il divieto dell’ottavo emendamento che vieta le punizioni crudeli e insolite. La sentenza stabilisce che le città non possono punire i senzatetto per aver dormito in pubblico quando i rifugi per senzatetto sono pieni. Oltre a Alston, ibid, si veda Desmond M., Evicted. Poverty and profit in the American city, Penguin Books, New York, NY, 2017.  Diverse leggi hanno criminalizzato sia direttamente che indirettamente le persone che sono senzatetto e le persone che tentano di dar da mangiare ai senzatetto all’aperto. Almeno 31 città hanno criminalizzato l’alimentazione dei senzatetto. Nel 2014, il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha criticato gli Stati Uniti per la criminalizzazione dei senzatetto, osservando che tale “trattamento crudele, disumano e degradante” viola gli obblighi del trattato internazionale sui diritti umani. Il rapporto del 2018 di Philip Alston, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e i diritti umani, ha rilevato che i senzatetto sono stati effettivamente criminalizzati in molte città degli Stati Uniti e ha osservato che “punire e imprigionare i poveri è la risposta tipicamente americana alla povertà nel ventunesimo secolo”.[]
  17. Governata da un mandato unico per il diritto ad un ricovero, New York City offre un rifugio di emergenza temporaneo a ogni uomo, donna e bambino che ha diritto ai servizi, ogni notte. Questa politica distingue New York dai comuni di tutta la nazione, molti dei quali allontanano i senzatetto e le famiglie una volta che i centri di accoglienza si sono riempiti o semplicemente mettono i loro nomi in una lista d’attesa. L’amministrazione de Blasio ha ereditato una crisi dei senzatetto, con decisioni prese dai suoi predecessori, in particolare gli ex sindaci Rudy Giuliani e Michael Bloomberg, che hanno portato a un notevole aumento del numero di senzatetto newyorkesi. Il primo ha attuato misure punitive, come punire le persone che dormono per strada o nella metro e rendere più severi i requisiti di ammissibilità per alloggi e sussidi; il secondo ha mantenuto quelle regole stringenti tagliando i fondi per voucher e sussidi. Da quando è entrato in carica nel 2014, de Blasio ha tentato di arginare la crisi, in particolare attraverso il piano quinquennale della sua amministrazione “Invertire la tendenza sui senzatetto“. L’obiettivo principale era eliminare completamente l’uso di “siti cluster o a grappolo” (che sono afflitti da problemi di violenza e sicurezza) entro il 2021 e le strutture alberghiere commerciali entro la fine del 2023. E secondo il Dipartimento dei servizi per i senzatetto (DHS), alcuni progressi sono stati realizzati: dal 2017 ha chiuso più di 200 siti di accoglienza, aperto 33 rifugi di distretto e ridotto il numero di unità di cluster da circa 3.600 a 1.200. Ma, come osserva un recente rapporto del Consiglio comunale, “i senzatetto sono diventati una realtà accettata che la città considera come una crisi da gestire“, piuttosto che risolta del tutto. L’eliminazione graduale dei siti di cluster e l’apertura di nuovi rifugi (sforzo che ha incontrato una forte opposizione in quartieri come Park Slope e Billionaire’s Row) può aiutare, ma secondo i fornitori di servizi e gli attivisti dei diritti dei senzatetto di New York City, c’è ancora molto da fare per arrivare ad offrire un numero sufficiente di alloggi permanenti e accessibili. Il piano Housing 2.0 dell’amministrazione de Blasio prevede la creazione o la conservazione di 300 mila case a prezzi accessibili entro il 2026, ma finora la città ne ha solo meno di metà. Uno dei modi in cui l’amministrazione de Blasio sta affrontando questa esigenza è fornire finanziamenti agli sviluppatori senza scopo di lucro per acquisire edifici ex siti di cluster, riabilitarli e trasformarli in alloggi permanenti a prezzi accessibili.[]
  18. Il city voucher emesso dal Dipartimento dei servizi sociali per una famiglia di quattro persone senza alloggio per affittare un appartamento con due camere da letto arriverà fino a 2.217 dollari (prima erano 1.580 e non copriva l’affitto medio in nessuno dei cinque distretti; infatti, solo il 4% delle 4.118 famiglie con bambini in strutture ricettive è stato, in media, in grado di affittare un appartamento con questi voucher nel 2020. Inoltre, la città pagherà fino a 1.945 dollari al mese a chi cerca un appartamento con una camera da letto, rispetto a 1.265 (l’affitto medio di un appartamento con una camera da letto nel Queens è di 1.900 dollari).[]
  19. Conosciuti anche come SRO, abbreviazione di camera singola, questi edifici offrono camere piccole ed economiche e bagni in comune. Molti sono dentro e intorno al centro e una volta operavano come hotel di lusso. Decenni fa, la città aveva molti più SRO, ma molti sono stati demoliti prima che i funzionari della città mettessero in atto nuove protezioni per gli edifici storici nel 2008.[]
  20. Negli Stati Uniti è riemersa con forza una società “patrimoniale” in cui la ricchezza, in particolare la ricchezza ereditata, che – come ha sottolineato Piketty nei suoi libri – è il determinante cruciale delle possibilità di vita delle persone. Troppo spesso ricchezza e disuguaglianze dei redditi sono in una relazione simbiotica con i vantaggi sociali intangibili del successo economico, come capitale socio-culturale e accesso alle reti parentali ed amicali, che insieme influenzano i risultati formativi e gli orizzonti lavorativi delle nuove generazioni, contribuendo a trasformare risultati disuguali di una generazione in opportunità diseguali per la generazione successiva, influenzando tutte le life chances degli individui, dall’istruzione all’occupazione, dalla salute alla speranza di vita. Ad esempio, gli uomini americani ricchi tendono a vivere più a lungo della media dei cittadini di qualsiasi altro Paese e ora vivono 15 anni in più degli americani poveri che hanno una speranza di vita pari a quella degli uomini di Paesi come Sudan e Pakistan. I servizi pubblici sono sistematicamente sotto-finanziati o vengono esternalizzati ad operatori privati, con la conseguenza che spesso i più poveri ne vengono esclusi. Ecco perché negli USA e in molti altri Paesi ricchi un’istruzione e una sanità di qualità sono diventate un lusso che solo i più abbienti possono permettersi.[]
  21. Dopo i disordini urbani degli anni ’60, a fine luglio del 1967 il presidente Johnson incaricò la Commissione consultiva nazionale sui disordini civili – generalmente nota come la Commissione Kerner (presieduta da Otto Kerner, governatore dell’Illinois) – di studiare le cause delle rivolte e proporre soluzioni. Il rapporto Kerner (Report of the National Advisory Commission on Civil Disorders), pubblicato nel marzo 1968, sosteneva che le rivolte erano causate in gran parte dalle condizioni di vita in quartieri poveri e dalle limitate opzioni di lavoro che affliggevano i neri americani come conseguenza del razzismo e della discriminazione dilagante nei mercati degli alloggi e del lavoro. Questi fattori erano considerati essere alla base dello sviluppo e della persistenza dei “ghetti” neri delle aree urbane del nord, dove i residenti avevano subito un’estrema segregazione, limitate scelte abitative, concentrazione della povertà e scuole di bassa qualità. Sebbene gli autori del Kerner Report credessero nella piena integrazione come soluzione a lungo termine, hanno sostenuto che un aiuto più immediato era possibile attraverso investimenti governativi su larga scala mirati a programmi di alloggio, istruzione, occupazione e assicurazione sociale più solidi. Senza un’azione immediata, tuttavia, avevano previsto che i disordini sarebbero continuati.[]
  22. Una parte della popolazione bianca americana è divenuta intollerante all’egemonia culturale del politically correct dei tecnocrati e delle élites intellettuali delle università e grandi media tradizionali mainstream (NBC News, CNN e New York Times, etc.) che negli ultimi due decenni si era estesa nella convinzione che la denotazione non rispecchia, ma crea la realtà e aveva normalizzato il “diverso” – messicano, asiatico, latinoamericano, afro-americano, musulmano, femminista, gay o transgender. Gruppi che sono portatori di valori culturali, modi di vita ed interessi che la classe lavoratrice bianca considera quasi del tutto estranei ed antagonisti ai propri che enfatizzano famiglia e comunità tradizionali. Un processo che ha raggiunto l’apice dell’intollerabilità con l’elezione alla Casa Bianca del figlio di colore di un keniota e il cui secondo nome era Hussein. Non a caso, per screditarne la legittimità, la corrente più apertamente razzista del panorama politico americano – il birtherism –, cavalcata dal Tea Party, ha sostenuto che sarebbe nato in Africa e non alle Hawaii, oltre ad essere un musulmano “coperto”. Una tesi sposata da Trump sin dalle sue prime fasi. []
  23. Si vedano i libri del conservatore radicale Vance J.D., Hillbilly Elegy. A memoir of a family and culture in crisis, Harper Collins Publishers, New York, 2016 (Elegia Americana, Garzanti, Milano, 2017), e di Smarsh S., Heartland. A memoir of working hard and being broke in the richest country on earth, Scribner, New York, NY, 2018.[]
  24. Nel 1980, i fondi federali rappresentavano il 22% dei bilanci delle grandi città, ma nel 1989 questi aiuti costituivano solo il 6% delle entrate urbane (parte di una maggiore diminuzione del 60% della spesa federale per sostenere i governi locali). I tagli maggiori hanno riguardato i programmi federali per gli alloggi per persone e famiglie a basso reddito. Il Congresso ha dimezzato il budget per l’edilizia popolare e la Sezione 8 (il programma di sovvenzione dei voucher abitativi del governo) e tra gli anni 1980 e 1989 il bilancio dell’HUD è stata ridotta da 74 miliardi di dollari a 19 miliardi di dollari.[]
  25. La scelta di Arlington potrebbe dare a Amazon una maggiore influenza politica nella capitale, dove ha già uno dei più grandi uffici di lobby della città. In particolare, gli analisti ritenevano che la prossimità al Pentagono avrebbe aiutato Amazon a vincere un contratto di cloud computing da 10 miliardi di dollari dal Dipartimento della Difesa, che invece è poi stato vinto da Microsoft. In Virginia, Amazon riceverà incentivi per 573 milioni di dollari, inclusi in media 22 mila dollari per ogni posto di lavoro creato. Inoltre, con denaro pubblico verranno fatti investimenti per centinaia di milioni in infrastrutture educative e di trasporto.[]
  26. La National Low Income Housing Coalition (NLIHC) ha pubblicato a luglio il suo rapporto annuale su ciò che il salario minimo consente ai lavoratori di affittare. I risultati del rapporto sono sia sorprendenti che desolanti: in più di nove contee americane su dieci, è letteralmente impossibile per qualcuno che guadagna un salario minimo, lavorando 40 ore alla settimana, permettersi un appartamento con una camera da letto in affitto. Secondo il rapporto in media, il salario nazionale necessario per l’edilizia abitativa per un appartamento con una camera da letto è di 20,40 dollari l’ora, la cifra per un appartamento con due camere da letto è di 24,90 dollari l’ora.[]
  27. Processi di “distruzione creativa” che investono tutte le aree urbane e periurbane del mondo, dalle favelas di São Paulo al quartiere Euljiro di Seoul, dall’isola di Al-Warraq nel Nilo e altri quartieri poveri del Cairo o della vietnamita Ho Chi Minh City alle ex comunità rurali che in Cina vengono inglobate da metropoli in espansione come Pechino, i cui abitanti diventano dei waidiren (“forestieri”) e dei diduan renkou (“popolazione di fascia bassa”), espulsi dalle città, allorquando le loro case vengono demolite, per essere rilocalizzati lontano in nuove costruzioni.[]
  28. Come evidenziato dall’emergere, spesso dal nulla, delle nuove immense città cinesi, indiane, Sud Est asiatiche e dei Paesi del Golfo, la produzione di nuovi spazi e nuove geografie attraverso l’espansione urbana è divenuta una delle principali leve per la creazione di enormi ricchezze (e a volte anche di enormi perdite finanziarie, come nel caso della bolla speculativa dell’arcipelago di 300 isole artificiali The World di Dubai, costata 60 miliardi di dollari al governo e altri miliardi ad investitori privati) per i ricchi e le global corporations e, allo stesso tempo, una delle principali soluzioni (lo spatial fix evidenziato da David Harvey) per la risoluzione del problema dell’assorbimento del surplus di capitale.[]
  29. Dalle città d’arte italiane al Louvre come alla vetta dell’Everest o alle spiagge di Thailandia, Messico e Filippine o alle meraviglie naturali della Sierra Nevada e delle Ande, ormai ci sono troppe persone che affollano destinazioni divenute attrattive e popolari. Oltre 20 milioni di persone visitano ogni anno Barcellona, una città con una popolazione 1,6 milioni; oltre 20 milioni di visitatori a Venezia, con 52 mila abitanti. La classe media ora è globale e decine di milioni di persone hanno acquisito i mezzi per viaggiare negli ultimi decenni. La Cina è responsabile di gran parte di questa crescita, con il numero di viaggi all’estero compiuti dai cittadini che sono passati da 10,5 milioni nel 2000 a circa 156 milioni nel 2018. Gli arrivi di turisti internazionali in tutto il mondo sono passati da poco meno di 70 milioni nel 1960 a 1,4 miliardi del 2019. Le tendenze del business contribuiscono a trasformare il paradiso in paradiso perduto e portano le economie locali a dipendere dal settore turistico che le espone ad una maggiore fragilità e precarizza le condizioni di lavoro, spesso con salari più bassi, esternalizzazioni, lavoro in nero, stagionalità. Le crociere sono diventate popolari, con navi gigantesche che scaricano fumi tossici e migliaia di passeggeri nelle città portuali. Un settore economico che prima della pandemia da coronavirus CoVid-19 valeva 150 miliardi di dollari e che faceva partire o fare tappa a 500-600 smisurate navi da crociera all’anno nella fragile laguna di Venezia, passando a pochi metri da piazza San Marco. Le compagnie di crociera più importanti al mondo – Carnival, Royal Caribbean e Norwegian (che rappresentano i tre quarti del settore) – pagano poco o nulla per la manutenzione dei beni pubblici che sfruttano. Hanno sede in paradisi fiscali – rispettivamente Panama, Liberia e Bermuda – per cui pagano basse tasse ed evitano molte fastidiose normative ambientali e sul lavoro, mentre inquinano l’aria e il mare, erodono le coste e riversano decine di milioni di persone nei porti di scalo, stravolgendo la vita delle comunità locali investite da questi enormi flussi. Le compagnie aeree consentono lo spostamento low-cost da un posto all’altro del mondo a miliardi di viaggiatori. Piattaforme digitali come Airbnb hanno aumentato l’offerta di camere in affitto nelle città, riducendo le difficoltà della ricerca per i viaggiatori, aumentando la capacità di carico delle città e facendo aumentare le spese di affitto per i residenti.[]
  30. Così, oggi nel centro storico di Firenze un appartamento su quattro è riservato all’affitto breve ai clienti di Airbnb e non a chi vuole vivere stabilmente nella città, mentre in molte città italiane si deve pagare un biglietto d’ingresso per poter entrare in una chiesa anche solo per pregare o confessarsi. Per cercare di porre un freno alla spirale speculativa sugli immobili e a un flusso turistico in costante crescita che sta distruggendo la città, a Berlino, gli attivisti hanno installato cartelloni pubblicitari anti-Airbnb in giro per la città con l’hashtag #boycottAirbnb prima che la città emettesse un divieto. L’amministrazione municipale di Amsterdam ha deciso di vietare l’affitto di case di nuova costruzione (introducendo la regola del buy-to-live) e una maggiore repressione del subaffitto delle case popolari (che sono il 39% del totale delle abitazioni), che è vietato, come parte di una serie di politiche volte a combattere i prezzi proibitivi delle case, la carenza di alloggi e l’eccessiva saturazione del turismo. Se gli investitori acquistano case multiple ad Amsterdam con l’intenzione di affittarle, questo significa che gli acquirenti “normali” di case hanno meno possibilità di trovare case a prezzi accessibili, vengono espulsi dalla città e la vivibilità per i residenti peggiora. L’amministrazione municipale vuole anche regolare gli affitti a breve termine di Airbnb (che ha 20 mila host) e delle altre piattaforme digitali, che rappresentano il 12% dei pernottamenti turistici in città. Il ministro degli Interni olandese ha annunciato la creazione di un sistema nazionale di registrazione, mentre diventerà un crimine finanziario con sanzioni severe l’affitto di una casa tramite le piattaforme digitali turistiche per più di un massimo di giorni all’anno (ad Amsterdam è di 30).[]
  31. Tra il 2000 e il 2019 in Germania i prezzi dell’edilizia residenziale sono aumentati di oltre il 25% in termini reali. A Berlino – città dove ci sono 1,95 milioni di appartamenti, di cui 1,45 milioni affittati – la mancanza di affitti a canone calmierato è diventata critica dopo che l’amministrazione comunale decise di “cartolarizzare” decine di migliaia di appartamenti nei primi anni 2000 per evitare la bancarotta finanziaria. Così, nel 2004 la Deutsche Wohnen, il più grande gruppo immobiliare tedesco (oggi con oltre 110 mila alloggi nella capitale, circa il 7% del mercato dell’affitto),acquistò per 405 milioni di euro 50 mila appartamenti, che oggi valgono 6,8 miliardi. Altre vendite sono state appannaggio delle altre quattro maggiori società immobiliari tedesche – Vonovia (40 mila alloggi), Ado Properties (24 mila), Akelius (11 mila) e Grand City Property (4 mila). Una evoluzione che ha creato un’emergenza abitativa, che negli anni ha visto a Berlino aumenti vertiginosi degli affitti, decine di migliaia di sfratti e un’offerta sempre minore di appartamenti a canone calmierato. Il movimento degli inquilini ha promosso e raccolto le firme necessarie per un referendum (ai sensi dell’articolo 15 della Costituzione federale) che ha puntato ad espropriare con indennizzo tutti gli appartamenti dei gruppi immobiliari che ne possiedono più di 3 mila. Per dare una risposta alla mobilitazione dei cittadini e per evitare che si arrivasse all’esproprio, l’amministrazione berlinese rosso-rosso-verde ha adottato (23 febbraio 2020) una legge/piano anti-speculazione immobiliare che ha previsto affitti congelati e ridotti (definendo dei tetti massimi) per cinque anni dal 2020, il cosiddetto Mietendeckel (il “tappo alle locazioni”) e successivi aumenti solo legati al tasso di inflazione. Un problema analogo di “follia degli affitti” vivono tutte le grandi città tedesche – Monaco, Colonia, Francoforte Gottinga, Mannheim e Friburgo – e anche qui inquilini e cittadini si sono mobilitati contro le grandi holding degli alloggi. Per questo, il neo-commissario SPD, Thorsten Schäfer-Gümbel, ha messo il Mietendeckel sul tavolo dell’esecutivo nazionale, presentando la mozione per estendere la misura a tutti i 16 Land della Bundesrepublik. Una questione che ha creato qualche conflitto tra SPD con i partner della Große Koalition, CDU/CSU (ma anche Partito Liberale), che difendono gli interessi della lobby immobiliare. E’ stato fatto ricorso alla Corte Costituzionale Federale che però per ora lo ha rigettato.[]
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