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L’Africa si libera del franco cfa ma non del controllo francese

La concessione in pompa magna della Legion d’onore ad Al Sisi da parte di Macron ha giustamente portato alcuni assegnatari di questo titolo alla sua restituzione. Deve essere questa l’occasione per tornare a mettere a fuoco le forme di neocolonialismo affaristico e complice di dittatori che caratterizzano la Francia, ma anche l’Italia e la UE. Qui riproponiamo un articolo da Internazionale sul “nuovo” corso francese.


Con un astuto colpo di geopolitica monetaria il 20 maggio il governo francese ha approvato un disegno di legge che potrebbe formalizzare la fine dell’ultima moneta coloniale ancora in vigore nel mondo: il franco cfa che circola nei paesi dell’Unione economica e monetaria dell’Africa occidentale (Uemoa). Una riforma fortemente voluta dal presidente Emmanuel Macron per mettere a tacere le crescenti critiche che piovono dall’Africa e dall’Europa (soprattutto da Germania e Italia). Ma, dai primi dettagli emersi, il progetto non sembra portare a un reale cambiamento di rotta negli squilibrati rapporti economico-monetari che continuano a sussistere tra la Francia e alcuni paesi africani.

Creata dal generale Charles de Gaulle nel 1945, questa valuta spesso criticata lascerà spazio a una nuova moneta comune chiamata eco, che circolerà inizialmente negli otto stati dell’Uemoa – Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Mali, Niger, Senegal e Togo – per poi essere gradualmente estesa (almeno in teoria) a tutta l’area della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Cedeao), cioè i paesi dell’Uemoa più Capo Verde, Gambia, Ghana, Guinea, Liberia, Nigeria, Sierra Leone. La riforma non interesserà invece gli stati dell’Africa centrale (Camerun, Ciad, Repubblica Centrafricana, Congo, Gabon e Guinea Equatoriale), comunità economica gemella dove continuerà a circolare il franco cfa.

Per diventare pienamente operativo, però, l’accordo monetario con la Francia dovrà seguire un iter di revisioni parlamentari che in alcuni paesi richiederà anche delicate revisioni costituzionali. Non è da escludere che su questo sensibile punto in alcuni stati dell’Africa occidentale si possa concentrare il dissenso popolare della prossima stagione di lotte contro classi politiche accusate di servilismo e corruzione.

I mezzi d’informazione, sia francesi sia africani, commentando la notizia si dividono tra toni entusiasti e dubitativi. Per quelli maggiormente allineati alla politica di Parigi si tratterebbe di “una notizia storica”, “un decisivo voltare pagina”, “la fine della Françafrique” (come piace ripetere anche a Macron). Per i più critici, invece, saremmo davanti a una “riorganizzazione di facciata della vecchia moneta coloniale”, l’”ennesimo gioco di prestigio del padre-padrone francese”, una versione del mantra del Gattopardo “tutto deve cambiare perché tutto resti come prima” in salsa neocoloniale.

Pilastri invariati

L’annuncio dell’approvazione del disegno di legge, che recepisce l’accordo raggiunto con i paesi dell’Uemoa il 21 dicembre 2019 ad Abidjan, è stato affidato alla portavoce del governo francese Sibeth Ndiaye, di origine senegalese: “Un progetto di legge molto atteso da un certo numero di nostri partner africani”, ha detto correggendosi in fretta dopo un rocambolesco lapsus freudiano che l’aveva portata a dire i “nostri paesi”. “Una fine simbolica che s’inscrive all’interno del rinnovamento delle relazioni tra la Francia e i paesi africani”. Ndiaye, segretaria di stato del premier, sembra quasi voler rassicurare la pancia velatamente imperialista dei francesi, quando aggiunge: “Questo accordo preserva naturalmente il cambio fisso della moneta comune con l’euro e il sostegno apportato dalla garanzia finanziaria della Francia”.

Oltre ai retaggi coloniali dell’accordo, va aggiunto che la Banca di Francia continuerà a stampare, trasportare e assicurare l’eco

Secondo diversi economisti ed esperti di geopolitica africani, a fronte di alcuni elementi di parziale evoluzione, i principali pilastri del dominio monetario della Francia sulle ex colonie resteranno invariati. Oltre al cambio di nome, la riforma del franco cfa prevede la cessazione del tanto discusso obbligo di depositare metà delle riserve di cambio dei paesi dell’Uemoa al tesoro e alla Banca di Francia, e il ritiro dei rappresentanti di Parigi dagli organi tecnici di controllo della Banca centrale degli stati dell’Africa occidentale (Bceao), nello specifico il consiglio d’amministrazione e il comitato di politica monetaria, oltre che dalla commissione bancaria dell’Uemoa.

Restano, invece, l’ancoraggio e il cambio fisso con l’euro, insieme alla tutela della Francia, che passa da “cogestionario” a “garante fiduciario” della valuta africana in caso di crisi monetaria. Le modalità di tale garanzia non sono ancora state chiarite, è emerso solo che Parigi esige come contropartita un accesso privilegiato alle informazioni macroeconomiche dei paesi dell’Uemoa. Alla lista dei retaggi coloniali insiti nell’accordo va aggiunta anche la conferma del ruolo commerciale della Banca di Francia, che continuerà a stampare, trasportare e assicurare l’eco. Un servizio offerto alla cifra di quasi 41 milioni di euro all’anno, pagati direttamente dalla Bceao, come rivelato da Mediapart.

Al di là dei tecnicismi economici, in Africa occidentale il franco cfa ha un valore simbolico dirompente per l’immaginario collettivo, soprattutto quello giovanile, arrivando a catalizzare le istanze di emancipazione e il sempre più crescente sentimento antifrancese (da intendere come avversione alla politica estera di Parigi in Africa, non come odio generalizzato verso i francesi o, più in generale, “i bianchi”). Gli argomenti della società civile contro il franco cfa sono stati abbracciati da molti attivisti africani che mirano a liberarsi da ogni tutela straniera per conquistare una piena sovranità economico-monetaria a oltre sessant’anni dalle indipendenze.

“La fine del franco cfa non è che un pesce d’aprile della Francia”, accusa su YouTube Kemi Seba, celebre attivista del movimento anticfa. Nell’agosto 2017 le immagini del leader del gruppo Urgences panafricanistes che brucia un biglietto da cinquemila franchi cfa (circa 7,5 euro) in strada a Dakar hanno fatto il giro del continente. “La vera fine del franco cfa sarà quando anche i paesi della Cedeao, guidati da Nigeria e Ghana, daranno vita alla moneta eco, agganciata a diverse valute con un tasso di cambio flessibile”, sostiene Kemi Seba nell’ultimo video, diventato virale (50mila visualizzazioni in tre giorni).

Tagliare il cordone ombelicale

Nigeria e Ghana – superpotenze economiche della regione e dell’intero continente che pare vogliano aprire alla Cina e legare il futuro eco allo yuan – insieme alla Guinea non vedono di buon occhio l’ingerenza della Francia nel progetto di moneta unica della Cedeao. Un’idea che è alla base della comunità economica fin dalla sua creazione (nel 1975), introdotta in linea di principio dai 15 stati nel 1983 e finora mai realizzata perché è mancata la volontà politica di mettersi d’accordo sui dettagli monetari e le procedure da adottare. Visto che la regione ha una popolazione totale di 356 milioni di persone e un pil globale di più di 817 miliardi di dollari (di cui circa il 70 per cento riconducibile alla Nigeria), la sfida è decisiva. Secondo diverse stime, infatti, con l’avvento di una valuta comune, la Cedeao diventerebbe la diciottesima potenza economica del mondo, scalzando paesi come Turchia, Svizzera e Arabia Saudita. Oggi invece nella regione continuano a circolare otto diverse monete, che minano l’originaria aspirazione all’integrazione economica e politica.

Per far fronte a tale criticità il 29 giugno 2019 i capi di stato della Cedeao hanno proclamato la creazione “graduale” dell’unione monetaria. Durante gli intensi negoziati degli ultimi mesi, però, Nigeria e Ghana hanno ribadito la richiesta ai leader dei paesi francofoni regionali (soprattutto ai più ricchi Costa d’Avorio e Senegal) di “tagliare il cordone ombelicale con la Francia”, condizione posta come necessaria per la creazione di una nuova valuta comune realmente indipendente. Il presidente ivoriano Alassane Ouattara e l’omologo senegalese Macky Sall, invece, sono velocemente passati da ferventi difensori del franco cfa ad accorati testimonial dell’eco in versione francese, anche se non vedrà la luce ancora per alcuni anni.

In un video visualizzato oltre 180mila volte, l’attivista svizzera camerunese Nathalie Yamb, invitata al forum economico Russia-Africa che si è svolto a Soči nell’ottobre 2019, ha affermato: “Noi vogliamo uscire dal franco cfa, ma Parigi, con la complicità dei suoi lacchè africani, lo vuole perpetuare sotto il nome di eco”. Due mesi dopo è stata espulsa dalla Costa d’Avorio, dove ricopriva la carica di consigliera esecutiva di Mamadou Coulibaly, candidato alle prossime presidenziali contro Ouattara.

Le critiche contro un “make-up di facciata” non si fermano alla dimensione economica e trascendono il simbolismo politico della “pseudoriforma”. L’economista e sociologo camerunese Martial Ze Belinga – tra gli autori di Sortir l’Afrique de la servitude monétaire. A qui profite le franc cfa? (Edizioni La Dispute, Parigi 2016) in cui un nutrito gruppo di esperti africani si fissa l’obiettivo di “liberare il continente dalla repressione monetaria e dalla trappola del franco cfa” – si sofferma sul cambio di nome della valuta: “A cosa rimanda il termine eco nella vita quotidiana delle persone? A niente, assolutamente niente, se non a una forma di mimetismo rispetto all’euro. Esiste un vero problema di creatività: l’assenza di un immaginario africano”. Non manca d’immaginazione invece la Francia, che in epoca postcoloniale aveva mutato la dicitura da “franco delle colonie francesi in Africa” a “franco della comunità finanziaria africana”, senza nemmeno dover cambiare acronimo. Singolare come oggi il nome eco sia stato preferito ad altri termini più endogeni per facilità di pronuncia in lingua francese e inglese.

Sempre secondo Martial Ze Belinga, inoltre, l’approccio graduale sancito dall’agenda della Cedeao sulla nuova moneta unica è insostenibile a causa del ritardo accumulato dai vari paesi nel soddisfare i “criteri di convergenza” richiesti. Il timore dell’analista economico camerunese è che dietro all’attuale ristrutturazione ci sia la volontà di affossare le istanze d’indipendenza monetaria della società civile africana. “Alcuni avranno mano libera di speculare sui ritardi esistenti. In definitiva il rischio è la strumentalizzazione di questo progetto della Cedeao per farlo fallire, e così facendo uccidere l’idea che racchiude, per riportare i paesi africani a utilizzare le stesse monete del colonialismo”.

“Quello che viene fatto per noi senza di noi, è fatto contro di noi”, ha commentato a caldo, parafrasando Gandhi, il rapper senegalese Didier Awadi. Il franco cfa è morto. Lunga vita al franco cfa.

colonialismo, Francia
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