Di Daniela Sansone – L’accordo di Prespe, siglato dal Primo Ministro Greco Alexis Tsipras e dal suo omologo macedone Zoran Zaev nel mese di Giugno, ha rappresentato il punto di partenza per la soluzione di una controversia tra i due stati che durava da immemore tempo. Una controversia non solo politica ma anche geografica e culturale che ha rappresentato motivo di stallo nelle relazioni tra i due stati ma anche nello sviluppo di una regione balcanica più forte ed equilibrata. Questo accordo ha posto la parola fine alla questione, con l’avvio del processo di ratifica nei due parlamenti. La prima parte di questa ratifica è stata completata con successo dal Parlamento di Skopije. Questa settimana, inizierà quella presso il Parlamento di Atene. Una ratifica che, in realtà, è stata preceduta dalla richiesta di un voto di fiducia da parte del Governo al Parlamento, a seguito delle dimissioni del ministro della difesa, Panos Kammenos, da sempre in netto contrasto con il contenuto dell’accordo e portatore di posizioni nazionalistiche che collidono con l’apertura alla soluzione fortemente voluta dal governo Syriza.
Alexis Tsipras, in una sua intervista al giornale AVGY, ha parlato di un accordo necessario e storico per i due paesi, catalizzatore di pace ed equilibrio nella più ampia regione dei Balcani ma anche di una soluzione dal forte costo politico. Perché, in Grecia, la questione della Macedonia è in grado di risvegliare fortissimi sentimenti nazionalistici che cozzano con una politica di apertura e di confronto. Ancora oggi, risuona forte lo slogan “La Macedonia è greca” uno slogan usato nel 1992 durante una manifestazione a Salonicco. In quel periodo, le tensioni erano altissime dopo la dichiarazione di indipendenza del paese avvenuta nel 1991 allorquando, la Repubblica Socialista di Macedonia, scelse di assumere il nome di Repubblica di Macedonia. L’allora governo greco rifiutò di accettare la scelta del nome e assieme ad esso la tenuta di alcuni simboli nazionali, come il sole di Vergina immagine impressa sul vessillo macedone. Questa presa di posizione, portò al blocco da parte della Grecia al processo di adesione della Macedonia alla Unione Europea e alla NATO.
Le obiezioni sollevate dalla parte greca erano tre:
-la prima, concerneva l’uso del nome “Macedonia”, dal momento che questo nome indica anche l’odierna regione greca Macedonia;
-la seconda relativa alla bandiera su cui campeggiava la Stella di Vergina, simbolo della dinastia di Filippo il Macedone, padre di Alessandro Magno. In base a questa obiezione, la Grecia rimproverava alla Repubblica di essersi appropriata indebitamente di un simbolo dell’antico Stato di Macedonia;
-la terza obiezione riguardava alcune clausole incluse nella costituzione della nuova Repubblica, che potevano essere interpretate come presagio di possibili pretese territoriali su regioni settentrionali della Grecia, in particolare della regione Macedonia e della possibilità che Salonicco potesse essere proclamata capitale.
Nel 1993, un compromesso intercorso con le Nazioni Unite ha fatto sì che venisse congelata la questione sul nome fermo restando che le parti dovevano giungere ad una soluzione; dal canto suo, la Grecia insisteva sulla sua posizione e avviò un embargo economico che durò fino a quando i punti importanti della questione, quelle riguardanti la bandiera e quelle costituzionali non vennero risolti nel 1995. Questa situazione si ripercosse a livello internazionale. La soluzione delle Nazioni Unite del 1993 , non risolveva nulla di concreto perché la Macedonia, a livello internazionale, venne riconosciuta temporaneamente come FYROM, Former Yugoslav Republic of Macedonia (in macedone Поранешна Југословенска Република Македонија, in greco Πρώην Γιουγκοσλαβική Δημοκρατία της Μακεδονίας) ma questo riconoscimento rimase solo sulla carta, dal momento che molte nazioni, Stati Uniti in primis, continuavano a denominarla nei loro rapporti bilaterali come Repubblica di Macedonia. Per questo motivo, era necessario non solo un accordo sul piano politico ma anche uno slancio d’orgoglio tra i due paesi e rimettere mano ad una questione che era rimasta per troppo tempo irrisolta.
In questo contesto, il 18 giugno del 2018, Zoran Zaev e Alexis Tsipras, si incontrano nella regione di Prespe per siglare un accordo tra le due nazioni. Un protocollo all’interno del quale, si fissano i punti cardini della soluzione ad una questione che aveva per molto tempo interrotto e messo in stallo le relazioni tra due paesi. Una soluzione politica, nata e voluta fortemente da due governi progressisti, che in una Europa che sceglie di erigere muri ha rappresentato una novità dal sapore positivo e che fa ancora ben sperare sulla tenuta del progetto europeo. Questo accordo, definito da Tsipras come un passo coraggioso, storico e necessario per i due popoli chiude finalmente la storica disputa tra i due paesi e risolve la questione principale, quella connessa al nome.
Secondo il dettato del testo che la stampa greca ha pubblicato, il paese prenderà il nome di “Repubblica della Macedonia del Nord”. Il nome dovrà essere inserito nella Costituzione del paese e ratificato da un referendum popolare; al termine di tale processo, potranno aprirsi i negoziati sull’adesione del paese alla NATO e all’Unione europea. Il nome scelto è frutto di un accordo tra le regioni greche esistenti chiamate Macedonia Occidentale, Macedonia Centrale e Macedonia Orientale. Inoltre, la repubblica della Macedonia del Nord rinuncerà a utilizzare il “Sole di Vergina”, simbolo della dinastia macedone, cancellerà dalla sua costituzione e dal suo sistema d’istruzione ogni “forma di richiamo irredentista”. Un comitato vigilerà anche sul cambiamento dei contenuti storici riguardanti questi temi in testi e carte dei manuali scolastici. In cambio la Grecia riconoscerà il nuovo nome del paese, accetterà il riconoscimento della lingua macedone a livello internazionale e cesserà di porre il veto all’ingresso della Macedonia nell’Unione europea e nella NATO.
In ossequio a quanto previsto dall’accordo, nel settembre del 2018 si è avviato il procedimento di ratifica da parte del parlamento macedone che si è concluso con 69 voti a favore e 51 astensioni. Nel mese di ottobre, in accordo con la Grecia, è stato indetto un referendum consultivo sul nome Macedonia del Nord. Questo referendum, non ha ottenuto il quorum del 50% più uno, fermandosi al 36,87%. L’esito non positivo del referendum ha rimesso in forse il procedimento di ratifica: il passaggio successivo era la riforma costituzionale, secondo i dettami dell’accordo del 18 Giugno. Zoran Zaev, con l’appoggio dei partiti della sua maggioranza, aveva sostenuto l’importanza nel continuare le procedure parlamentari per il completamento della riforma costituzionale. In caso contrario, avrebbe indetto elezioni anticipate.
Il procedimento si avvia e si conclude l’11 gennaio del 2019, con l’approvazione da parte dei 81 dei 120 membri del parlamento delle quattro leggi di modifica costituzionale, in base alle quali verrà cambiato il nome una volta che il Parlamento greco avrà completato il processo di ratifica dal suo lato. Oltre al cambio del nome, gli emendamenti prevedono l’inclusione nel preambolo della Costituzione degli “Accordi di Ocrida”, la dichiarazione del rispetto dell’integrità territoriale dei paesi confinanti e una nuova formulazione dell’articolo sulla tutela dei macedoni all’estero e della cultura macedone.
Come lo stesso Tsipras ha detto in una sua intervista ad AVGY, “l’accordo di Prespe è un passo storico non solo per i due paesi e la regione in generale, ma anche per l’intera Europa. Perché stabilisce relazioni di amicizia, cooperazione e stabilità in un ambiente in cui il mondo è costantemente destabilizzante. Con Prespe, si è concluso un confronto durato un decennio, che è servito a promuovere l’etnolaicismo e il patriottismo da entrambe le parti. E l’accordo è storico proprio perché, per arrivare qui, dobbiamo dire un grande no a queste tendenze pericolose, che sono in costante forza e in ascesa in Europa. Quindi abbiamo tutti i motivi per essere orgogliosi. L’accordo, frutto di lunghe e dolorose negoziazioni, sancisce pienamente i nostri interessi nazionali, protegge completamente i nostri interessi nazionali, pone definitivamente fine allo sfruttamento della storia e dell’irredentismo nel rispetto della dignità di tutte le parti. La ratifica è un compito patriottico. E la maggioranza del Parlamento risponderà a questo compito, lasciando da parte le differenze politiche e i giochi di fattibilità micropolitica.”
Ma il primo ministro sa anche che si gioca, a livello politico, una carta fondamentale con la ratifica di Prespe. Un pilastro di politica estera che ha deciso di affrontare, consapevole del costo in termini di consenso elettorale che potrebbe portare con sé. In Grecia, la polarizzazione politica si sta accentuando sempre di più, nutrita anche dalle posizioni estremiste assunte da Nuova Democrazia che non ha alcuna intenzione di votare a favore della ratifica. La sua visione ed ideologia politica va a braccetto con quella neonazista di Alba Dorata: ieri, in una manifestazione in Piazza Syntagma ad Atene era presente a manifestare proprio con gli estremisti di destra. Il ritorno dei sentimenti nazionalisti in tutta Europa sarebbe la fine della stessa Europa. L’unico antidoto a queste situazioni dolorose, è l’apertura e la soluzione di controversie importanti e spinose, come era quella Macedone. La Comunità internazionale e la stessa Unione Europea hanno espresso plauso per questi accordi. Non solo, si è anche aperta la possibilità per i due primi ministri di essere candidati al Nobel per la Pace. In una Europa dei muri e delle diseguaglianze è da strette di mano ed abbracci come quelli intercorsi tra Alexis Tsipras e Zoran Zaev sul Lago di Prespe il 18 giugno, che possiamo sempre sperare sulla buona tenuta e sulla conservazione del progetto europeo.