Anche in questo anno, forse più che nel precedente, l’intero continente sarà interessato da una grave siccità, che, peraltro non esclude ci possano essere anche eventi meteorici estremi (le cosiddette “bombe d’acqua”).
Il tema dell’acqua, anche per le sue evidenti connessioni con quello della crisi climatica, è uno dei temi più critici da affrontare nell’immediato futuro, non solo per i problemi ambientali ma anche per quelli sociali ed economici.
Quasi tutti sanno che l’acqua sulla terra copre la maggior parte della superficie del globo (oltre il 70%). Forse sanno anche che la maggior parte dell’acqua si trova nei mari ed è salata. Solo il 3% è dolce e la maggior parte di questa si trova, almeno sino ad oggi (vedremo che succederà col cambiamento climatico) nei ghiacciai (poco meno del 70%), il 30% si trova sotto terra e il restante (meno del 1%) nei fiumi e nei laghi.
Molti di noi (persino i deputati, i ministri, gli assessori), hanno sentito parlare dei cicli della biosfera. Tra questi cicli, quello forse più conosciuto, è quello dell’acqua, che, sinteticamente, può essere così riassunto (mi scuso con gli esperti acquaioli per l’approssimazione e il linguaggio improprio):
- l’acqua del mare (e anche quelle dei laghi e fiumi) evapora per azione dei raggi solari e finisce nell’atmosfera
- l’acqua che si accumula nell’atmosfera, prima o poi cade sotto forma liquida, o di neve (a seconda delle latitudini, dell’altitudine e delle stagioni) sulla terra
- quella solida che cade alle alte quote o verso i poli tende ad accumularsi nei mesi più freddi e viene rilasciata lentamente acqua nei mesi più caldi. (sottolineo lentamente)
- l’acqua che viene rilasciata dai ghiacciai va ad alimentari in parte i corsi d’acqua e in parte si infiltra nel sottosuolo rimpinguando i corpi idrici sotterranei (le cosiddette acque di falda)
- le acque dei fiumi riportano rapidamente le acque al mare. Nel farlo alimentano naturalmente laghi e zone umide e la vegetazione (in particolare bisognerebbe soffermarsi su quello che accade nelle foreste tropicali dove si formano veri e propri “fiumi aerei”).
Come è noto tutti gli esseri viventi che stanno sulla terraferma hanno bisogno dell’acqua dolce per sopravvivere. Noi umani ne abbiamo bisogno oltre che per far funzionare il nostro organismo, anche per le nostre, più o meno impattanti, attività (agricoltura, industria, ecc…).
Senza affrontare qui il problema serio dell’acqua che rendiamo inutilizzabile per i nostri bisogni a causa degli inquinanti che continuiamo a riversare nell’ambiente (in particolare gli inquinanti persistenti e bioaccumulabili), l’acqua che possiamo utilizzare senza enormi dispendi energetici (mi riferisco ai desalinizzatori) è quella che sta sulla terra (nelle acque superficiali e negli strati più superficiali (100 m?) del sottosuolo).
Il fattore critico per questo utilizzo è la velocità dell’acqua. Cioè il tempo che l’acqua dolce ci mette per compiere il suo ciclo. Più è lento meglio è. Più è veloce peggio è! Insomma più lentamente l’acqua che sta sulla terra va in mare, più rimane disponibile per tutti gli animali e le piante terrestri. Un ruolo importante nel rallentamento di questa velocità è giocato dai ghiacciai che normalmente sono in grado di trattenerla per molto tempo e rilasciarla lentamente.
Che sta combinando il modello economico attuale, dall’inizio della rivoluzione industriale ad oggi? Sostanzialmente sta accelerando la velocità dell’acqua!
Un esempio banale, non esaustivo del problema della velocità: i tempi di “corrivazione delle piene si sono accorciati enormemente negli ultimi decenni (un’onda di piena del PO, che negli anni’80 ci metteva più di una giornata per andare dalla zona di Asti a quella di Mantova, oggi ci mette metà del tempo).
Ciò a causa di diversi fattori, principalmente:
- a causa il riscaldamento globale (attraverso diversi effetti sinergici)
- a causa del pessimo uso del suolo (abnorme cementificazione; pessime pratiche agricole)
- a causa della progressiva distruzione delle foreste (in particolare quelle tropicali).
L’aumento della temperatura del globo aumenta l’evaporazione dal mare e, anche a causa della messa in gioco di maggiori energie, inasprisce ed aumenta la frequenza di eventi meteorici estremi, (dove cade moltissima acqua in poco tempo) anche in zone climatiche (come la nostra) dove un tempo erano più rari. I cambiamenti climatici sono anche la causa del disastroso prolungamento dei periodi di siccità (come quello che stiamo vivendo in questi ultimi anni anche in Italia). Il riscaldamento sta provocando l’inesorabile scioglimento dei ghiacciai, che, oltre a squilibrare il volume di acque che, nel corso delle stagioni, alimentano i fiumi, provocherà il progressivo abbassamento delle falde idriche.
L’uso del suolo, soprattutto nei paesi industrializzati, ha progressivamente aumentato l’impermealizzazione dei suoli. Sia grazie alla continua ed inutile cementificazione (in Italia abbiamo i casi più gravi di tutto l’occidente), sia grazie a molte delle partitiche messe in atto dall’agricoltura industrializzata. Infatti l’impermealizzazione è favorita anche dal cambiamento della struttura dei suoli causato, tanto dai lunghi periodi di siccità, quanto dalle cattive pratiche agricole. Insomma per un motivo o per l’altro anche i suoli liberi dal cemento sono meno in grado di assorbire l’acqua che cade dal cielo (soprattutto quando cade in enormi quantità nel breve tempo).
Oltre a queste pessime pratiche, vi è da aggiungere un pessimo governo delle acque che, in particolare in Italia si è prolungato per molti decenni (dalla fine della seconda guerra mondiale sino ad oggi), ciò nonostante che la normativa nazionale fosse intervenuta positivamente, in più occasioni con buone leggi e ottime indicazioni (si veda l’articolo citato all’inizio). In particolare sono state prese iniziative, soprattutto a livello locale, assolutamente dannose per l’ambiente e la sicurezza delle persone e degli animali; ne cito solo alcune:
- l’eccessiva irreggimentazione dei fiumi. Ai fiumi devono essere lasciate le necessarie aree di espansione, ciò permette di evitare le inondazioni più gravi, e permette di recuperare molte delle acque portate dalle piene e da eventi meteorici estremi. Pensare di risolvere il problema delle piene con argini sempre più alti è sbagliato, sia perché prima o dopo ci sarà una piena che spezza gli argini con effetti ancora più gravi, sia perché così si aumenta la velocità delle acque
- la tombinatura di molti corsi d’acqua, che è ancor più grave della eccessiva arginatura. Prima o poi i tombini saltano con tutto ciò che comporta!
- l’edificazione in zone di naturale espansione delle acque, o, addirittura, in zone golenali, sia di edifici industriali, sia di edifici residenziali
- la mancata conservazione di zone umide
- l’impianto di colture non adatte ai territori, e/o l’uso di sistemi irrigui inefficienti
- l’insufficiente impegno nella manutenzione delle infrastrutture idriche (acquedotti, fognature, depuratori).
Mai un governo nazionale o una forza politica con ambizioni di governo hanno inserito nella propria agenda politica o nel proprio programma di governo il tema dell’acqua. O meglio lo hanno fatto in omaggio al liberismo sfrenato; usando l’alibi della ricerca di una maggiore efficienza gestionale, hanno progressivamente privatizzato il servizio idrico e mercificato il bene acqua. Tutto ciò è iniziato nel nostro Paese con governi di centro sinistra negli anni novanta. Proprio pochi anni dopo il varo di una buona legge (la 183/1989) frutto di molti anni di lavoro di una commissione scientifica varata dopo l’alluvione di Firenze del 1966, fu varata la legge 36 del 1994 che dava il via alla privatizzazione che sarebbe seguita nei decenni successivi. I gestori dei servizi idrici avrebbero dovuto garantire, con le entrate delle tariffe, la manutenzione e l’efficienza e il completamento delle infrastrutture idriche, ma così non è stato quasi per nulla!
Oggi, mentre in alcuni paesi “occidentali” si comincia a quotare in borsa l’acqua, anche in Italia qualcuno pensa che per ovviare alla carenza idrica bisogna alzare il prezzo dell’acqua, in modo che il “mercato” possa così risolvere automaticamente i conflitti fra i diversi utilizzatori (chi è in grado di pagare di più avrà più acqua!). Intanto con il recente decreto legislativo sulla concorrenza si è tentato di rendere ancora più difficile la gestione pubblica dei servizi idrici.
È, invece, indispensabile che, chi si candida a governare questo Paese, inserisca nel proprio programma politico, fra i temi centrali, quello dell’acqua, non tanto come merce da vendere, o solo come servizio da gestire, ma come bene comune da garantire.
Infatti, oltre a dare via seriamente alla transizione ecologica che, quanto meno, riduca gli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici, bisogna cominciare a porre dei rimedi ai danni e ai problemi che ormai inevitabilmente, colpiranno il nostro territorio negli anni futuri.
Probabilmente, anche per affrontare gli effetti della crisi globale, è utile cominciare dal basso, affrontando quei problemi prima accennati.
Come?
Prima di tutto garantendo una visione ed una gestione unitaria dei problemi (a questo proposito, la “autonomia differenziata”, voluta dalla Lega e anche da qualche “governatore” del PD, rappresenterebbe un ulteriore passo indietro!).
- Ad esempio, alla luce delle regole e indicazioni nazionali ed europee vanno rafforzati i ruoli delle autorità di Bacino (distretto) che devono poter operare senza condizionamenti da parte di regioni o altri soggetti, sia per quanto riguarda la gestione delle acque, sia per quanto riguarda la tutela del suolo. Comuni e regioni non devono interferire con quanto indicato nei piani di Bacino o dalle indicazioni che emergono nel bilancio idrico di bacino. Insomma, va riaggiornata (alla luce delle più recenti norme europee e della mutata situazione ambientale) e rafforzata una norma come la legge 183 del 1989. A tali regole e indicazioni nazionali devono adeguarsi tutti i regolamenti e norme locali riguardanti concessioni al prelievo e relativi canoni e i vari provvedimenti e regolamenti sull’uso del suolo.
- Le produzioni agricole vanno adeguate alla situazione che abbiamo di fronte, attraverso la riduzione delle superfici destinate alle culture più idro-esigenti e meno importanti (ad esempio il mais), e un adeguamento delle tecniche irrigue ad una maggiore efficienza.
- Sulle pratiche agricole attualmente in uso e sugli allevamenti vanno poi fatte riflessioni più profonde (a cui non si accenna in questo articolo), sugli effetti negativi provocati da decenni di agricoltura industriale e di allevamenti intensivi.
- Vanno liberate le aree golenali da qualunque istallazione permanente, (edifici capannoni ecc..).
- Oltre a bacini e vasche di accumulo delle acque di pioggia, vanno allestite vasche di espansione presso i diversi fiumi, atte a ridurre gli effetti delle piene e utili a fungere anche da vasche di accumulo.
- Va garantito un efficiente piano di manutenzione dei corpi idrici. I costi per tali attività sarebbero ampiamente ripagati dai risparmi ottenuti per la riduzione dei costi per gli interventi necessari a riparare i danni delle piene e di altri eventi catastrofici.
- Se si garantisce il buon funzionamento dei depuratori degli scarichi civili, rilevanti volumi di acque depurate possono essere destinate ad altri usi.
- Vanno poi progressivamente attuate quelle indicazioni contenute in molte norme e linee guida (vale la pena di rileggere la direttiva del 1977 “Criteri generali per il corretto e razionale uso dell’acqua” ripresa nell’articolo citato all’inizio.
- Ad esempio, anche se può sembrare un lavoro immane, si potrebbe cominciare, quando si affrontano grandi interventi di ristrutturazione di quartieri, di strade, di reti fognarie o di reti di adduzione di acque ad uso civile, a progettare la possibilità di costruire doppie reti, sia per lo scarico che per la fornitura. Ad esempio la separazione, in due reti di scarico, quella delle “acque nere” (le acque di reflue degli usi civili), e quella per le acque meteoriche, permetterebbe di avere una rete non sovradimensionata e efficiente per le acque sporche da depurare, e una rete di acque quasi pulite di acque di pioggia (da cui vengono separate le cosiddette acque di prima pioggia) da convogliare direttamente nei corpi idrici o in vasche di accumulo per gli usi agricoli. Si tratta certamente di un lavoro complesso, ma certamente utile per ridurre i problemi che dovremo affrontare con sempre maggior difficoltà nel futuro (piogge torrenziali alternati a lunghi periodi di siccità).
Insomma bisogna che i programmi di governo e le agende politiche dei partiti si dotino di quella che prima è stata definita una visione unitaria dei problemi e si operino quindi per una gestione unitaria degli stessi. Cosa che, naturalmente, sarà impossibile da attuare dopo una riforma costituzionale che prevede un’autonomia delle diverse regioni.
Forse, questa ed altre ragioni potrebbero essere un motivo che ci spinge a riavviare una riflessione su alcune riforme di carattere costituzionale che rivedano i compiti (in particolare in campo ambientale e di tutela del territorio) delle diverse istituzioni ed organi di governo previsti in Costituzione.
Naturalmente in questa agenda politica, di cui devono dotarsi le forze politiche, non possono mancare i piani per affrontare i problemi di inquinamento ancora persistenti, o per affrontare per tempo i problemi di carattere socio economico che, sia a causa della progressiva mercificazione dell’acqua e della probabile riduzione della disponibilità della risorsa, che colpiranno le classi più deboli della popolazione.
Altro elemento che deve caratterizzare questa visione del tema acqua, riguarda una visione che va oltre il nostro Paese, che va a guardare, cercando, di dare soluzioni positive, i problemi che i cambiamenti climatici, e una storia, fitta di depredazioni coloniali, sta interessando con maggiore emergenza e gravità la parte più povera del mondo.
Un approccio come quello proposto, al problema acqua non può non fare i conti con il modello socio economico capitalista che sta portando il mondo intero in questa situazione!