Esistono confini che chi si dichiara di sinistra non può oltrepassare. Sono politici ma anche etici e valoriali, determinano una visione del mondo, un ruolo, la capacità di prospettare una società diversa da quella neoliberale. Chi nega il “diritto a forzare i confini”, si perdoni il gioco di parole, esce dai confini della sinistra, dei principi delle democrazie ed entra a pieno titolo in un altro campo.
Quanto accaduto recentemente nelle enclacve spagnole in Marocco di Ceuta e Melilla, le due piccole città fortezza distanti fra loro centinaia di chilometri e circondate da barriere di filo spinato non è soltanto orribile. Le barriere, costruite alla fine degli anni Novanta sono un monumento alla vergogna; nate per impedire di entrare nelle città spagnole e quindi in territorio UE, sono da sempre luogo di incidenti, di tentativi di fuga, spesso anche di morte. Chi provava ad arrampicarsi sulle barriere veniva fermato dalla Guardia civil spagnola e rimandato indietro a qualsiasi costo. Solo chi si feriva gravemente veniva in alcuni casi soccorso e di fatto poteva provare a chiedere asilo. A fermare l’assalto alle barriere provvedeva quasi sempre anche la polizia marocchina, in un accordo comune per conservare una sorte di pace condivisa. Qualcosa è saltato nei giorni scorsi nei rapporti fra Marocco e Spagna, anche per le intenzioni manifestate lo scorso anno e in via di realizzazione, di innalzare a 10 metri le reti di recinzione delle due città che danno sul mare, alzando la barriera più grande d’Europa. Il casus belli è stato rappresentato dal fatto che la Spagna ha deciso di accogliere e curare un leader del “Fronte Polisario”, il movimento di liberazione del Popolo Saharawi (Sahara Occidentale Spagnolo) che il Marocco considera illegale e di cui non accetta le istanze di indipendenza. Ma si tratta di una scintilla, il Marocco non ha mai riconosciuto di fatto l’autorità spagnola sulle enclaves che considera proprio territorio e la realizzazione di nuove barriere si traduce in una ennesima riaffermazione di proprietà delle due città. Fatto sta che la polizia marocchina ha allentato i controlli e in poche ore, a nuoto, soprattutto a Ceuta, migliaia di persone sono giunte dal Marocco a nuoto provando poi a forzare le barriere.
Ci sono stati scontri che hanno portato a far sì che degli 8.000 fuggitivi intercettati almeno in 5.000 sono riusciti ad entrare nell’enclave. Secondo le autorità di Madrid, intervenute pesantemente, almeno 2.800 sono stati immediatamente ricacciati in territorio marocchino. Dai movimenti solidali giungono notizie secondo cui anche minori sarebbero stati respinti, fatto smentito dal governo “di sinistra” di Sanchez. Le barriere un tempo erano alte 3 metri, poi, con il sostegno di Frontex e della Comunità europea, sono state innalzate a 6, ora si vuole salire più in alto. Nel 2005 ci fu una massiccia rivolta per tentare di forzare le reti che portò a numerosi morti e feriti, a sparare quella volta fu la polizia marocchina. Sono migliaia le persone che da quando esistono le reti sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa, chi scavalcandole chi, peggio ancora, tentando di attraversare lo Stretto di Gibilterra. L’ineffabile Salvini ha immediatamente plaudito l’intervento spagnolo spiegando che “si dovrebbe fare così anche da noi”, forse, al di là di qualsiasi considerazione etica inutile da fare nei suoi confronti, gli sarebbe utile un ripasso in geografia per comprendere come le frontiere italiane hanno ben altra conformazione. Ma c’è un altro aspetto, più inquietante che dovrebbe far riflettere partendo da questo episodio accaduto peraltro in contemporanea con l’ennesimo naufragio (50 dispersi) al largo della Tunisia di una imbarcazione partita dalla Libia.
Dopo la presentazione del New pact on migration and asylum del settembre scorso, da parte della presidente della Commissione Europea che venerdì sarà a Roma a parlare di solidarietà, Ursula Von der Leyen, il testo non ha fatto passi in avanti nonostante la fretta. In teoria resterebbe un mese per discuterlo ma si chiederà certamente una proroga, sollecitata dal fatto che dal primo giugno ci sarà il semestre di presidenza europeo della Slovenia, su questo e su altri temi, fra i più duri.
Il messaggio repressivo che giunge dalla Spagna è una sorta di viatico a sbrigarsi. Basta parlare di redistribuzione dei profughi, di piani di accoglienza e di Europa solidale. La chiave di volta sarà sempre più quella delle esternalizzazioni, dei rimpatri (volontari o coatti) dell’approccio “hotspot” centri di detenzione già esistenti in Italia e Grecia in cui selezionare i pochi da tenere ai tanti da rimandare indietro e interventi di sostegno ai regimi che si impegnano a fermare i migranti sul proprio territorio. La prospettiva è quella dei “non luoghi” possibilmente in mezzo al mare, che non saranno considerati territorio europeo e da cui sarà più immediato ricacciare indietro gli indesiderati senza colpo ferire. Una battaglia persa perché a tentare di bruciare le frontiere si continuerà comunque, aumenteranno solo le vittime che i governi del continente considerano danno collaterale. E a farlo saranno sia governi di destra come quello greco, di sinistra come quello spagnolo, e onnicomprensivi come l’attuale compagine italiana, uniti attorno all’idea che i “sacri confini” vanno difesi. Tanto, come i processi a Salvini dimostrano, anche il sequestro di persone sulle navi non è considerato un reato perseguibile.
All’Europa i poveri non servono, come votato ieri al Parlamento si cercherà di incrementare solo “immigrati selezionati” preparati, di qualità, quelli che ci servono a far aumentare i profitti e che in cambio di pochi vantaggi saranno disposti anche a salari più bassi.
È il mercato, bellezza!