Non è facile interpretare la reazione dell’opinione pubblica russa alla decisione di Putin di avviare un’invasione militare (per ora parziale) dell’Ucraina che sta avendo un forte impatto non solo all’interno del Paese ma anche sul contesto globale. Ci sono state manifestazioni importanti contro la guerra, represse con molta determinazione dalle forze di polizia governative, ma non sappiamo quanto queste rappresentino un dissenso più generalizzato di quello che normalmente coinvolge il ceto medio delle grandi città. E’ probabilmente radicata l’idea che la Russia sia stata tradita nelle sue aspettative dagli Stati Uniti e dalle forze atlantiche, dopo essere stata illusa di poter partecipare alla cogestione del mondo (con l’inclusione nel G8 ed altre analoghe iniziative), come grande potenza seppure non più alla pari con gli Stati Uniti.
A questo senso diffuso di frustrazione fa da contraltare il disagio per aver scelto la soluzione militare per risolvere un conflitto che vede protagonisti due popoli con una lunga storia condivisa e che nel caso dell’Ucraina, vede in prima fila a pagare le conseguenze dell’azione militare proprio la minoranza russa, che si dichiara di voler difendere. Altro elemento di incertezza è dato dall’impatto che cominceranno ad avere le sanzioni decise dai paesi occidentali. Non sappiamo ancora quali saranno le conseguenze di questa disconnessione dal contesto economico globale, non tanto per i ceti medio-alti delle grandi città quanto per la Russia periferica e “profonda”. Anziché indebolire il consenso per Putin potrebbero consolidarlo nella convinzione di essere vittima, come popolo, di una ritornante “russofobia”.
In questo quadro, la cui evoluzione non potrà che essere collegata a quanto accadrà sul terreno militare e alla durata del conflitto, si collocano le forze di sinistra russe che hanno preso posizione sulla guerra.
La principale formazione politica, il Partito Comunista della Federazione Russa, si è schierato a favore di quella che, con molta ipocrisia, è stata ufficialmente definita come una “operazione speciale”. Il PCFR premeva da tempo, attraverso la sua rappresentanza parlamentare, affinché si arrivasse al riconoscimento, da parte della Russia, delle due repubbliche autoproclamate del Donbass (Lugansk e Donetsk). Il PCFR è una forza politica reale, insediata nell’opinione pubblica, forse l’unica al di fuori del “partito del potere” che sostiene Putin. Nelle ultime elezioni politiche ha raccolto oltre 10 milioni e mezzo di voti, raccogliendo un suffragio di protesta più ampio della tradizionale area di adesione ideologica. In almeno una regione (l’Oblast di Oryol) ha superato il 30% dei voti.
Sulla natura e il ruolo nel sistema politico del Partito Comunista della Federazione Russa esiste un lungo dibattito tra commentatori e analisti. “Opposizione o stampella di Putin?”, sintetizzava l’interrogativo Jacopo Custodi qualche tempo fa. Il Partito, soprattutto per l’indirizzo ad esso impresso dal suo leader Gennady Zyuganov, che da un lato afferma la volontà di costruire una società socialista (seppure in tempi lunghi), dall’altro aderisce ad una visione conservatrice dei problemi sociali che lo avvicina alla Chiesa ortodossa, particolarmente reazionaria. Sul piano politico questo orientamento, definibile come “social-patriottico”, lo ha portato all’opposizione della politica interna di Putin (ad esempio la recente riforma delle pensioni) mentre ne ha in gran parte condiviso la politica estera. In diverse occasioni è stato vittima sia dei brogli elettorali che della repressione messa in atto dal potere politico, senza però mai rompere nettamente con il Presidente russo (su questo “dilemma” si veda l’articolo di Giovanni Savino).
Una dichiarazione di Zyuganov, a nome del Presidium del Comitato Centrale del Partito, emessa il 25 febbraio scorso affermava: “A seguito di un appello delle direzioni della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk, le autorità russe hanno iniziato una operazione politico-militare finalizzata a costringere i provocatori nazisti alla pace. I passi intrapresi hanno come obbiettivo di garantire la pace nel Donbass e di mettere al sicuro la Russia contro le crescenti minacce da parte degli Stati Uniti e la Nato.”
Denunciata la “politica avventuristica” di Washington, il PCFR afferma di ritenere “necessario lo smantellamento dei risultati di molti anni di sforzi per banderizzare l’Ucraina”. Il riferimento è ai movimenti che si richiamano a Stepan Bandera che durante la seconda guerra mondiale guidò un movimento nazionalista anti-sovietico, alleato per diverso tempo con la Germania nazista, e responsabile di crimini di guerra in particolare contro ebrei e polacchi. Secondo Zyuganov queste forze di estrema destra “terrorizzano la popolazione ucraina e spingono le autorità verso un corso politico aggressivo”. Si incolpa Zelensky di aver ceduto alla loro pressione tradendo gli interessi dei suoi concittadini che lo avevano eletto come Presidente della pace in Donbass e dei rapporti di buon vicinato con la Russia.
Il PCFR accetta la narrazione ufficiale sulla necessità di “demilitarizzare” e “denazificare” l’Ucraina come condizione per “garantire una duratura sicurezza per i popoli di Russia, Ucraina e dell’intera Europa”.
In una successiva dichiarazione, di fronte agli sviluppi sul terreno, Zyuganov cerca di puntare l’attenzione sull’azione delle milizie ucraine note per le simpatie ultranazionaliste ed estremiste di destra. Il Presidente del PCFR afferma che “a Mariupol, circondate dalle forze delle Repubbliche di Lugansk e Donetsk, i nazisti dei reggimenti Azov e Aidar stanno impedendo ai civili di lasciare la città. Essi collocano tiratori ai piani alti dei palazzi residenziali per impedire alla gente di lasciare la città. Le unità militari naziste utilizzano queste persone come scudi umani”.
Il leader comunista rimprovera a quelli che chiama i “campioni della pace” di non avere protestato negli otto anni passati per i quotidiani bombardamenti subiti dalle popolazioni del Donbass. E nemmeno avrebbero protestato – sostiene – se fossero scorsi “fiumi di sangue” per mettere fine al “genocidio” dei russi e delle popolazioni che parlano russo.
Dalla lettura di queste dichiarazioni di Zyuganov sembra che l’unico conflitto militare in corso in Ucraina sia quello tra le milizie delle Repubbliche autoproclamate del Donbass e i due battaglioni ucraini organizzati dall’estrema destra. Del tutto irrealistica risulta la lettura di un’Ucraina dominata dai nazisti o, come a volte li si chiama, dai “banderisti”. Né si vede come l’allargamento militare del conflitto possa in alcun modo migliorare la situazione delle popolazioni del Donbass.
Il Fronte di Sinistra, guidato da Sergey Udaltsov, alleato del PCFR, ma su una strategia di opposizione più radicale a Putin e al suo blocco di potere, ha assunto una posizione anch’essa di sostegno all’azione militare, anche se in un contesto più critico per le motivazioni di Putin. In una dichiarazione del 28 febbraio il Consiglio del Fronte afferma che la “responsabilità per il sanguinoso conflitto tra i popoli fratelli di Russia e Ucraina” risiede nei “rappresentanti del capitale mondiale”. La guerra è stata preparata dalle “elites” oligarchiche dei differenti Paesi.
Le “forze patriottiche di sinistra in Russia sono critiche della politica anti-sociale e predatoria perseguita del Presidente Putin e dal suo entourage oligarchico.” Allo stesso tempo, il Fronte si dichiara disgustato dalle attuali autorità di Kyiv, che dal 2014 hanno protetto i nazisti e messo al bando il Partito Comunista. Mentre invece vengono sostenuti gli “eroici residenti” delle Repubbliche autoproclamate che stanno conducendo da molti anni una importante “guerra di liberazione nazionale”.
Per quanto l’azione di Putin sia motivata dalla sua volontà di accrescere il consenso e di “prolungare la sua permanenza al potere”, il Fronte approva sia il riconoscimento delle Repubbliche autoproclamate, sia “l’assistenza russa per liberare il Donbass e Lugansk dagli occupanti nazisti”. Anche in questo caso si omette di far riferimento all’insieme dell’azione militare russa.
A fronte delle sanzioni occidentali il movimento di Udaltsov ritiene che si debba rispondere con una “svolta a sinistra” sul piano socio-economico anche perché non potrà continuare “la vita di lusso delle classi dominanti garantita dal furto ai danni di milioni di lavoratori.”
Per completare il quadro delle forze politiche che hanno un atteggiamento sostanzialmente favorevole all’azione militare si deve richiamare la posizione del Partito Comunista Operaio Russo guidato da Viktor Tyulkin. Come il PCFR, e il Fronte di Sinistra si richiama favorevolmente a Stalin, ma essendo assente dall’azione istituzionale persegue una strategia di mobilitazione dal basso. Non ha più il seguito su cui poteva contare all’inizio degli anni ’90 ed è ridotto ad essere una forza marginale.
Il PCOR si è schierato a favore del riconoscimento delle Repubbliche autoproclamate, ma in relazione all’invasione dell’Ucraina sostiene che non bisogna confondere l’Unione Sovietica con l’attuale Russia governata dalla borghesia. Se l’intervento è giustificato in funzione della difesa delle popolazioni del Donbass data la “natura nazista” delle attuali autorità di Kyiv, l’occupazione dell’Ucraina sarebbe un atto di espansione “imperialista” e in quanto tale inaccettabile.
Tyulkin ha apertamente polemizzato con la tesi sostenute da Putin nel discorso con il quale ha giustificato sul piano storico l’invasione dell’Ucraina, nel quale il Presidente russo attribuiva la responsabilità dei problemi attuali a Lenin e ai bolscevichi. “Volodya Putin”, sostiene il leader del PCOR avrebbe dovuto studiare meglio Lenin anziché affidarsi al “filosofo filo-nazista Ilin” e ai dogmi della chiesa ortodossa. Il richiama al teorico dell’emigrazione “bianca” anti-sovietica, Ivan Ilin è stato oggetto di discussione anche tra gli osservatori occidentali della Russia. Per alcuni Ilin è un pensatore nazional-conservatore ed avrebbe un ruolo importante nel pensiero di Putin. Per altri come Marlene Laruelle non può essere considerato il “guru” filosofico del Presidente russo che fa riferimento principalmente ad altre figure della storia russa, in modo piuttosto eclettico, tra cui il riformatore autoritario Petr Stolypin.
Nella ricostruzione di Tyulkin il richiamo a Ilin serve a collocare l’azione di Putin in un contesto che non ha alcuna continuità con la storia sovietica, al contrario egli si si ricollegherebbe al generale Vlasov, che durante la seconda guerra mondiale guidò le truppe collaborazioniste del nazismo. Il leader del PCOR parla di uno scontro tra “banderisti” (ucraini) e “vlasovisti” (russi). Il PCOR denuncia anche il tradimento dello spirito originario della ribellione popolare nel Donbass, confermato anche dall’uccisione, in circostanze poco chiare, di comandanti di milizie come Mozgovoy, Dremov, Givi, Motorola, Batman ed altri.
Dalla sinistra russa sono emerse voci contro la guerra che, per il momento, restano minoritarie anche perché devono fronteggiare una crescente repressione.
Diversi membri di partiti di sinistra e intellettuali russi hanno pubblicato una dichiarazione comune a nome di una “tavola rotonda contro la guerra di forze russe di sinistra”. La condanna “della decisione assunta dal presidente russo V. Putin di invadere l’Ucraina”, è netta ed è motivata dal fatto che l’azione militare condurrà inevitabilmente alla morte di migliaia di persone da ambo i lati e ad un “aggravamento della situazione economica dei lavoratori di entrambi i paesi”.
L’invasione, per i firmatari, è solo “una soddisfazione per insane ambizioni di politica estera per uno stretto circolo di persone alla direzione del paese, così come un modo per distrarre l’attenzione dai fallimenti del governo russo in politica interna”. Per questo esigono “dai dirigenti russi che cessi immediatamente l’aggressione contro il popolo fratello ucraino”.
Fra i firmatari figurano, il noto sociologo Boris Kagarlitsky, Evgeny Stupin, deputato alla duma di Mosca per il Partito Comunista della Federazione Russa, Kirill Medevdev del Movimento Socialista Russo, Nikita Arkin del Movimento Socialista di Sinistra e V. Aramchuk del Partito Rivoluzionario Operaio (un piccolo raggruppamento trotskista), Alexey Sakhnin, ex militante del Fronte di Sinistra in dissenso con questo partito.
Oltre Stupin anche altri esponenti e militanti del PCFR hanno assunto una posizione di dissenso con la guerra. Tra questi il deputato Mikhail Matveev che pur avendo votato a favore del riconoscimento di Donetsk e Lugansk ha dichiarato su twitter che il suo voto era “per la pace, perché la Russia avesse uno scudo, perché il Dombass non fosse non bombardato, e non perché fosse bombardata Kiev”.
Sul social russo Vkontakte, equivalente locale di Facebook, è stato diffuso un comunicato firmato da 12 deputati del PCFR (a vari livelli di rappresentanza) nonché militanti del partito e dell’organizzazione giovanile nel quale si sostiene che il conflitto porta “distruzione, disastro economico e morte per i popoli di Russia, Ucraina e delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk”, seminando “discordia e odio reciproco tra i lavoratori di Russia e Ucraina.” Aggiungono i firmatari: “siamo contro il fascismo tanto in Ucraina quanto in Russia. E, pertanto, non diamo credito alla retorica secondo la quale il regime rabbiosamente anticomunista e antidemocratico di Putin possa liberare il popolo dell’Ucraina dalle bande naziste.” L’appello chiede al PCFR di opporsi alla guerra.
Altre voci contro la guerra si sono levate da piccoli gruppi di vario orientamento come la piattaforma “Sinistra Alternativa”, il “Blocco di Sinistra” e “Azione autonoma” (di orientamento libertario. Intanto si sono registrate anche le prime condanne sulla base delle nuove norme repressive approvate dal parlamento russo.
Franco Ferrari