I francesi sono insoddisfatti della loro democrazia e dei loro partiti. Questa insoddisfazione, secondo gli osservatori, produce due fenomeni che si sono registrati anche nel secondo turno delle elezioni municipali che si è tenuto il 28 giugno scorso: 1) aumento dell’astensionismo; 2) spostamenti veloci da un partito all’altro. Questo secondo fenomeno è stato definito “degagisme”, un termine ripreso dalle proteste tunisine della primavera araba , quando si urlava al potere “degage!”, vattene (qualche anno prima in Argentina si gridava “que se vayan todos”).
Negli anni ’50, il movimento poujadista, uno dei primi fenomeni di dichiarato populismo, aveva tradotto questo sentimento in “sortez les sortants”, traducibile come: “cacciate i parlamentari uscenti”. Di questo fenomeno di insoddisfazione diffusa hanno beneficiato in modi e momenti diversi l’estrema destra della Le Pen, la candidatura presidenziale di Melenchon ed anche l’attuale presidente Macron.
Ma siccome la ruota gira, proprio i candidati del partito di Macron, “La Republique En Marche” (LREM), sono stati i più colpiti dal malcontento. In generale, dove si sono alleati, hanno scelto di schierarsi con la destra e questo ha portato all’allontanamento di quella parte dell’elettorato di provenienza socialista che aveva intravisto in Macron la possibilità di una direzione più moderna e dinamica, benché anch’essa moderata, rispetto ad un Partito Socialista incapace di uscire dalla palude nella quale lo aveva condotto François Hollande.
Contemporaneamente i gollisti, più radicati sul territorio, hanno ripreso un po’ di vitalità, anche se pure loro hanno dovuto lasciare sul terreno diverse città importanti, tradizionali roccaforti, spesso dominate per molti anni da vecchi baroni politici ormai al tramonto, come Bordeaux o Marsiglia. Ma chi ne è uscito meglio è il primo ministro Philippe che proviene dalla destra gollista, ha avuto più consenso di Macron nella gestione della pandemia, e ha vinto bene nella sua città Le Havre, contro un candidato comunista che non è riuscito a fare il miracolo.
Prima del voto municipale sembrava che la testa del primo ministro avrebbe potuto cadere, per consentire a Macron di trovare un nuovo capo del governo in grado di favorire il recupero dei consensi in vista delle elezioni presidenziali del 2022. Ora si potrebbe immaginare uno scenario del tutto diverso con lo stesso Philippe pronto ad applicare con il suo Presidente la stessa strategia che Macron aveva adottato con Hollande. Lasciare il governo per tempo, per costruire la propria candidatura a Presidente, raccogliendo la destra macroniana delusa e riportarla all’ovile gollista.
Intanto la priorità di Macron sembra essere quella di concedere qualcosa alle aspirazioni di molti francesi per una politica più attenta alle esigenze ambientali, convocando alcuni referendum in materia, partendo dalle proposte, un po’ annacquate, della Convenzione formata da cittadini estratti a sorte. Una forma inedita di consultazione politica che porta a delegittimare ulteriormente partiti già in affanno. Il contenuto di questi referendum è ancora molto vago. Inoltre i referendum sono sempre rischiosi per chi li indice, come ricordava maliziosamente Le Monde, citando l’esempio di De Gaulle e quello più recente e più affine che ha portato alla sconfitta di Renzi.
Gli ecologisti sono sicuramente i principali vincitori della tornata elettorale. Hanno beneficiato della ricaduta del movimento di Fridays for Future, come si era già visto alle elezioni europee dell’anno scorso, e pure della dinamica del “degagisme”, essendo, almeno nella sensibilità dell’opinione pubblica, una forza nuova e non ancora sperimentata in ruoli politici di primo piano. E’ naturale che i verdi, in maggioranza raggruppati nell’EELV, guardino con grandi aspettative alle presidenziali del 2022. Sarà cruciale l’alleanza con i socialisti, che probabilmente non avranno una candidatura forte da proporre in prima persona (anche se si è timidamente riaffacciato Arnaud Montebourg, già portavoce di Segolene Royal, che si era praticamente ritirato dalla scena politica), e potrebbero accettare una proposta ecologista.
Il Partito Comunista Francese, esce da queste elezioni con un risultato in chiaroscuro. Pesa la perdita di Saint-Denis, una cittadina con oltre 100.000 abitanti, uno dei gioielli del comunismo municipale, ceduta ai socialisti, in uno scontro interno alla sinistra. Ha nuociuto il conflitto che si è aperto con France Insoumise attorno alla personalità di Madjid Messaoudène, leader del movimento antirazzista, ma le cui scelte non sono sempre state condivise dal sindaco comunista. Questo ha portato pochi giorni prima del voto alla diffusione di un appello che accusava il sindaco Laurent Russier di “razzismo”. Accusa che appare ingiustificata, ma evidentemente il PCF, che un tempo dominava la politica locale, non è riuscito a gestire con la necessaria flessibilità una possibile coalizione composta da anime diverse e a volte conflittuali. Il PCF può comunque rivendicare ancora una discreta presenza di propri sindaci in molti comuni, a volte riconquistati alla destra, e la partecipazione a tante coalizioni di sinistra che hanno avuto successo come a Parigi o a Marsiglia (dove però il sistema elettorale potrebbe non dare alla nuova sindaca Michele Rubirola la maggioranza in Consiglio comunale).
Il segretario comunista eletto nell’ultimo Congresso con un cambio di maggioranza, Fabien Roussel, ha cercato di dare un profilo più autonomo al partito, ma ha mantenuto un orizzonte unitario a sinistra. Sembra difficile, anche alla luce dei dati emersi dal voto municipale, che rischi la presentazione di una candidatura autonoma alle prossime presidenziali, dove forse l’unica carta spendibile potrebbe essere quella di Ian Broussat.
Più complessa la situazione di France Insoumise che ha affrontato le elezioni municipali quasi considerandole un evento minore. A livello locale si è inserita in alleanze diverse (a Bordeaux ha sostenuto il candidato del Nuovo Partito Anticapitalista, a Grenoble il sindaco verde Eric Piolle) o è andata da sola come a Parigi, senza ottenere risultati eclatanti. Dopo l’esito negativo della elezioni europee si era aperta una discussione interna sulla prospettiva di lungo periodo del movimento, ancora troppo dipendente dalla figura di Melenchon. Il sito del movimento L’Heure du Peuple, commentando il voto, rileva la sconfitta di Macron, ma tende a ridimensionare l’importanza del successo ecologista, sottolineando che si tratterebbe un voto limitato al ceto medio. Più che queste elezioni, caratterizzate da alte astensioni, conteranno i movimenti sociali è la tesi avanzata. La speranza, sembra di capire, è che con il riemergere dei conflitti la ruota del “degagisme” (che Melenchon ha assunto da tempo come orizzonte strategico) possa portare nuove opportunità per La France Insoumise.
Ora comincia per tutti la lunga rincorsa verso le presidenziali. L’unica certezza sembra essere la presenza della Le Pen, tutto il resto è ancora imprevedibile. E non è nemmeno sicuro che Macron riesca, la prossima volta, ad essere uno dei due sfidanti nel duello finale.