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la manovra non è di sinistra

di Paola
Boffo

di Paola Boffo –

Dal documento del governo si legge che “La manovra di finanza pubblica per il 2020 comprende la completa disattivazione dell’aumento dell’IVA, il finanziamento delle politiche invariate per circa un decimo di punto di PIL e il rinnovo di alcune politiche in scadenza (fra cui gli incentivi Industria 4.0). Il Governo intende inoltre adottare nuove politiche che costituiranno il primo passo di un programma più vasto volto a rilanciare la crescita, lo sviluppo del Mezzogiorno e la sostenibilità ambientale. Tra queste, il Governo si è impegnato a ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, a rilanciare gli investimenti pubblici, ad aumentare le risorse per istruzione e ricerca scientifica e tecnologica e a sostenere e rafforzare il sistema sanitario universale. L’impegno aggiuntivo necessario alla riduzione del cuneo fiscale nel 2020 è valutato in 0,15 punti percentuali di PIL, che saliranno a 0,3 punti nel 2021”.

La manovra di finanza pubblica per il 2019 articolata per tipologia di intervento con relativo impatto finanziario in percentuale del PIL sarà presentata nel Documento programmatico di bilancio da inviare a metà ottobre a Bruxelles, in coda a questo articolo compare l’elenco contenuto nella Nadef.

Qualcuno, forse con eccessivo entusiasmo, l’ha definita la manovra più di sinistra degli ultimi anni.

Dovremmo definire quali misure di politica economica possano definirsi “di sinistra” e quali no, e se quelle che piace definire di sinistra non siano semplicemente misure ragionevoli, che cercano, ad esempio, di aumentare il reddito disponibile di una parte dei lavoratori anche soltanto per sostenere un po’ i consumi e cercare di arrestare la caduta della domanda (da cui evidentemente conseguono crisi aziendali, con ulteriori riduzioni dell’occupazione, e della quota del reddito destinata al lavoro) per contrastare la recessione dell’economia.

Oppure quel Green New Deal che è ormai è anche già troppo tardi necessario adottare, di fronte al disastro ambientale, e che eventualmente potrebbe contribuire a ridurre i danni per l’umanità, e non specificamente per le classi più disagiate.

Ancora, piuttosto che introdurre un nuovo bonus, famiglie, questa volta, sarebbe necessario, come ci ricorda Chiara Saraceno, “investire nell’ampliamento dei servizi per la prima infanzia e nella riduzione delle rette. Questi servizi non sono solo un fondamentale strumento di conciliazione lavoro-famiglia per i genitori di bambini molto piccoli, in particolare per le madri. Sono anche un’indispensabile risorsa di pari opportunità per i bambini. Migliorare il livello di copertura, ora al 24% a livello nazionale tenendo conto sia dei nidi pubblici sia di quelli privati e convenzionati, sia delle sezioni primavera nelle scuole materne, ma con livelli inferiori al 10% in alcune regioni meridionali, costituirebbe non solo un pezzo importante delle politiche di sostegno alle famiglie con figli piccoli e, indirettamente, alle scelte di fecondità, ma anche un investimento cruciale nelle nuove generazioni. Anche in questo caso, è importante prendere la direzione giusta. Inutile promettere di abbassare le rette se i nidi non ci sono e se i bambini la cui mamma non è occupata di fatto non possono fruirne”.

Insomma misure di sinistra sono quelle che vanno a vantaggio delle classi più deboli, e necessariamente a scapito dei più ricchi. E che magari operano sulla struttura economica e sociale di un Paese, come ad esempio quelle enumerate nel Manifesto del partito comunista, che però sarebbero state attuate solo dopo la Rivoluzione:

  • espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita fondiaria per le spese dello stato;
  • Imposta fortemente progressiva;
  • abolizione del diritto di eredità;
  • confisca dei beni degli emigrati e dei ribelli;
  • accentramento del credito nelle mani dello stato attraverso una banca nazionale con capitale di Stato e con monopolio esclusivo;
  • accentramento dei mezzi di trasporto nelle mani dello stato;
  • aumento delle fabbriche nazionali e degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano generale;
  • uguale obbligo di lavoro per tutti, organizzazione di eserciti industriali specialmente per l’agricoltura;
  • unificazione dell’esercizio dell’agricoltura e dell’industria e misure atte a preparare la progressiva eliminazione della differenza fra città e campagna;
  • educazione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Abolizione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Combinazione dell’educazione con la produzione materiale.

Si scherza, almeno per il momento.

Ma anche nel contesto dato, sarebbe stata una misura di sinistra individuare modalità diverse per la copertura delle spese, ad esempio incrementando l’Iva sui beni di lusso, o introducendo un’imposta sui patrimoni e sulle successioni superiori ad una certa soglia, aumentando la tassazione di tutte le rendite finanziarie ai livelli di altri Paesi europei (si veda qui uno studio della Banca d’Italia al riguardo). In questo modo si opererebbe una redistribuzione del reddito che, quello sì, risponderebbe alla necessità di ridurre le disuguaglianze e rafforzerebbe il potere contrattuale e l’accesso a una vita dignitosa per le classi subalterne.

Invece le coperture per la manovra sono quelle descritte nella stessa Nota, ovvero:

Le risorse per il finanziamento degli interventi previsti dalla manovra di bilancio per il 2020 sono pari a quasi lo 0,8 per cento del PIL e saranno assicurate dai seguenti ambiti di intervento:

  • misure di efficientamento della spesa pubblica e di revisione o soppressione di disposizioni normative vigenti in relazione alla loro efficacia o priorità, per un risparmio di oltre 0,1 punti percentuali di PIL;
  • nuove misure di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, nonché interventi per il recupero del gettito tributario anche attraverso una maggiore diffusione dell’utilizzo di strumenti di pagamento tracciabili, per un incremento totale del gettito pari allo 0,4 per cento del PIL;
  • riduzione delle spese fiscali e dei sussidi dannosi per l’ambiente e nuove imposte ambientali, che nel complesso aumenterebbero il gettito di circa lo 0,1 per cento del PIL;
  • altre misure fiscali, fra cui la proroga dell’imposta sostitutiva sulla rivalutazione di terreni e partecipazioni, per oltre 0,1 punti percentuali di PIL.

Peraltro, come sostiene Emiliano Brancaccio, “La sterilizzazione dell’Iva praticamente occupa l’intera manovra e rende pressoché impossibile l’utilizzo delle leve di politica economica.”

Ripasso mentalmente quello che mi spiegavano all’università, ovvero che le leve della politica economica sono il tasso di interesse controllato dalla Banca centrale, l’emissione di moneta, il livello della spesa pubblica, il livello della tassazione, tutti strumenti che possono essere usati se sono effettivamente controllabili dall’autorità di governo. È appena il caso di ricordare che almeno i primi tre sono diventati fattori esogeni a causa della situazione di perfetta e rapidissima mobilità internazionale dei capitali, del trasferimento alla Banca Centrale Europea del potere di battere moneta, oltre che di fissare il livello dei tassi di interesse, della necessità di perseguire il pareggio del bilancio statale introdotta dal Trattato di Maastricht e addirittura nella Costituzione italiana.

Del quadro normativo in cui gli stati membri dell’Unione Europea devono muoversi quando decidono delle finanze pubbliche e delle politiche economiche avevamo scritto in occasione della presentazione a Bruxelles del Documento programmatico di bilancio 2018, nell’ottobre dell’anno scorso.

Ancora una volta è quindi necessario ribadire che la manovra economica si può esercitare nei limiti assai stretti dettati dalla UE, e di conseguenza che allo stato delle cose non è possibile praticare una politica fiscale espansiva che possa effettivamente invertire la rotta.

Va anche detto che il mercato quest’anno ci è meno ostile dell’anno scorso, tanto è vero che lo spread è sceso nonostante il governo si appresti ad approvare una manovra da 29 miliardi, che tradotta in termini di deficit/Pil, equivale al 2,2%, più alto del 2,04% dello scorso anno e non lontano da quel 2,4% cui si voleva arrivare con la manovra del primo governo Conte, e che aveva scatenato l’impennata dello spread. La differenza sta nel fatto che l’attuale compagine governativa, e la maggioranza che la sostiene, è decisamente più orientata di quella precedente al rispetto delle regole europee e, citando ancora Brancaccio: “L’anno scorso i tassi d’interesse aumentavano perché gli operatori sui mercati, a torto o a ragione, ritenevano che nella vecchia compagine di governo stesse montando una gran voglia di uscire dall’euro. Per questo motivo pretendevano che al normale tasso d’interesse si aggiungesse un premio per il cosiddetto ‘rischio di cambio’, cioè per coprire l’eventualità che l’Italia uscisse dalla moneta unica e che i titoli nazionali fossero denominati in una nuova lira deprezzata. Adesso invece gli operatori ritengono che il nuovo esecutivo sia legato a filo doppio al processo d’integrazione europea e che dunque non oserà in nessun caso contestare l’euro. Ecco perché non reputano più necessario esigere un premio per il rischio sui titoli italiani”.

Questa volta le relazioni dell’Italia con l’Unione Europea sono molto migliori: abbiamo come ministro dell’Economia Gualtieri, deputato del Parlamento Europeo per due legislature, rieletto per la terza, ma successivamente nominato ministro nel governo Conte, esperto del meccanismo di stabilità, del Patto di bilancio, dell’Unione bancaria europea.

Abbiamo Paolo Gentiloni Commissario europeo per l’Economia, che nell’audizione del 3 ottobre scorso di fronte al Parlamento Europeo ha assicurato la massima imparzialità, di fronte ai deputati che gli chiedevano se non avrebbe avuto uno sguardo di favore per l’Italia, paese con un debito fra i più alti dell’UE. Si è anche impegnato a concentrarsi sulla riduzione del debito pubblico, incoraggiando al tempo stesso l’uso di qualsiasi spazio fiscale disponibile per gli investimenti.

Il problema è quanto potrà essere ampio questo spazio, nel negoziato sulla manovra, dovendo rispettare la regola della spesa e la Raccomandazione n. 1 dello scorso anno: Assicurare che il tasso di crescita nominale della spesa pubblica primaria netta non superi lo 0,1% nel 2019, corrispondente a un aggiustamento strutturale annuo dello 0,6 % del PIL. Utilizzare entrate straordinarie per accelerare la riduzione del rapporto debito pubblico/PIL. Spostare la pressione fiscale dal lavoro, in particolare riducendo le agevolazioni fiscali e riformando i valori catastali non aggiornati. Intensificare gli sforzi per ridurre l’economia sommersa, in particolare potenziando i pagamenti elettronici obbligatori mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti. Ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia nella spesa pubblica al fine di creare margini per l’altra spesa sociale.

Su questo nella Nota di aggiornamento, per quanto attiene alla riduzione della spesa nominale netta, a fronte della richiesta prevista nella Raccomandazione UE (-0,1%) il Governo dichiara che nel 2020 “il tasso di crescita della spesa è previsto essere positivo”. Al riguardo, in particolare, il Governo rileva che “il rispetto della regola della spesa è al momento ancora più sfidante della convergenza verso l’OMT. Il contenimento della spesa negli anni fino al 2017 ha generato pressioni sulle amministrazioni pubbliche e sugli enti locali che hanno reagito diminuendo drasticamente gli investimenti pubblici. In generale, le politiche messe in atto hanno impedito interventi adeguati sul piano sociale e hanno minato i presupposti per una ripresa economica più decisa”. Il Governo auspica, quindi, una “revisione della regola della spesa volta a escludere determinate categorie di beni di investimento”. Staremo a vedere.

A completamento della manovra di bilancio 2020-2022, il Governo dichiara quali collegati alla decisione di bilancio:

  • DDL Green New Deal e transizione ecologica del Paese;
  • DDL in materia di spettacolo, industrie culturali e creative, turismo e modifiche al codice dei beni culturali;
  • DDL recante disposizioni in materia di formazione iniziale e abilitazione del personale docente;
  • DDL recante riordino del modello di valutazione del sistema nazionale di istruzione e delle università;
  • DDL recante istituzione dell’Agenzia nazionale per la ricerca e il trasferimento tecnologico;
  • DDL recante misure per il sostegno e la valorizzazione della famiglia (Family Act);
  • DDL recante interventi per favorire l’autonomia differenziata ai sensi dell’articolo 116 comma 3 della Costituzione attraverso l’eliminazione delle diseguaglianze economiche e sociali nonché l’implementazione delle forme di raccordo tra Amministrazioni centrali e regioni, anche al fine della riduzione del contenzioso costituzionale;
  • DDL recante semplificazioni e riordino in materia fiscale;
  • DDL recante riordino del settore dei giochi;
  • DDL recante delega al Governo per il testo unico in materia di contabilità e tesoreria;
  • DDL in materia di economia dell’innovazione e attrazione investimenti;
  • DDL in materia di Banca degli Investimenti pubblica;
  • DDL recante riduzione del cuneo fiscale;
  • DDL in materia di semplificazioni normative e amministrative e redazione testi unici;
  • DDL in materia di revisione della disciplina del ticket e delle esenzioni per le prestazioni specialistiche e di diagnostica ambulatoriale;
  • DDL in materia di disabilità;
  • DDL recante misure volte a razionalizzare le misure di trasparenza e anticorruzione;
  • DDL recante interventi mirati finalizzati a coordinare le responsabilità disciplinari dei dipendenti pubblici;
  • DDL recante disposizioni di semplificazione e puntualizzazione, procedimentale e processuale, in materia di accesso ordinario e generalizzato;
  • DDL recante disposizioni volte alla razionalizzazione delle procedure selettive della PA;
  • DDL recante delega al Governo per la revisione del codice civile;
  • DDL in materia di sostegno all’agricoltura.
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