articoli

La Macchina del Vento

di Tommaso
Chiti

di Tommaso Chiti –

Parafrasando l’omonimo titolo dell’ultimo libro di WuMing sulle fughe da fermi dei confinati antifascisti dell’isola di Ventotene, viene subito da pensare alle analogie con lo stato dell’Unione Europea di fronte all’epidemia di Covid19 e alle conseguenti ricadute sul piano politico ed economico.

Al centro di entrambe le narrazioni, del romanzo come della nostra realtà paranormale in tempi di contagio collettivo, sta infatti la crisi e quel fattore di shock esterno che, per Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed altri federalisti, rappresentava la ‘finestra di opportunità’, per rilanciare il percorso di integrazione fra gli stati europei, oltre ogni nazionalismo.

Una crisi che proprio in questi giorni ha visto i vari paesi membri rispondere in ordine sparso all’emergenza epidemica, riproponendo comunque quei limiti e quelle contraddizioni di un’unione prettamente mercantilista, a trazione intergovernativa e fortemente squilibrata negli assetti societari.

L’equazione crisi-opportunità mostra i risvolti più interessanti proprio negli ambiti più profondi dell’integrazione UE, ovvero rispetto all’unione doganale da un lato; e ai parametri di coordinamento fiscale dell’unione monetaria, dall’altro.

Dopo la trasformazione dell’Italia nel principale focolaio di quella ‘pandemia’ mondiale, dichiarata venerdì scorso dal direttore dell’OMS in seguito al dilagare del nuovo coronavirus, le principali reazioni dei paesi membri dell’UE si sono concentrate sulla chiusura dei propri confini. La messa in discussione dell’accordo di Schengen è emersa dalla richiesta a catena di nove stati, a cominciare da Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Estonia, Lituania, proseguendo poi con Danimarca, Germania ed infine anche Spagna, rapidamente imitate da Svizzera e Norvegia.

Di fatto la Commissione Europea ha decretato lo stop temporaneo ai viaggi nell’UE per trenta giorni, estendendo poi la misura a tutta l’area Schengen , in modo da limitare il contagio ma non solo… Il primo attacco al progetto di unione doganale è venuto dalla Casa Bianca, dove Trump ha imposto lo stop ai voli provenienti dall’Europa. A ruota altri paesi interni all’area hanno avanzato la richiesta di controlli sanitari alle frontiere interne ed esterne, vietando l’ingresso a passeggeri che presentano sintomi di virus, in modo da tentare di contenere il contagio.

La preoccupazione maggiore, nonché la principale contraddizione di un’unione fortemente squilibrata a vantaggio del mercato unico è quella della limitazione di spostamenti e traffico alle sole persone, mentre le merci possono transitare liberamente, anche per scongiurare la penuria di rifornimenti alimentari e sanitari. Riproponendo criteri stringenti di selezione sul diritto di accesso alle persone, in modo analogo alla gestione dell’emergenza dei flussi migratori, queste misure mettono in discussione i valori stessi del progetto europeo così come sancito dalla Convenzione sui Diritti dell’Uomo (CEDU).

L’altro pilastro dell’UE fortemente incrinato dalle ricadute di questo shock esterno è poi l’unione monetaria, che proprio in questi giorni doveva registrare un’ulteriore stretta con l’approvazione del nuovo Meccanismo di Stabilità Europeo (MES), momentaneamente rimandata. La necessità condivisa all’ultimo Eurogruppo di stimolare l’economia reale, fortemente a rischio recessione anche per la contrazione sia dell’offerta – con la chiusura di attività produttive per il rischio di contagio – che della domanda – a causa delle ricadute sul reddito delle giornate non lavorate, specialmente per chi non può beneficiare di ammortizzatori sociali -, ha portato all’adozione di misure straordinarie di revisione dei bilanci a favore di investimenti pubblici ed estensione della protezione sociale. Lo sforamento dello 0,10% di deficit da parte dell’Italia rispetto ai parametri del Patto di Stabilità con 25mld stanziati dal governo Conte è solo un palliativo, specie se comparato ai 550mld di stanziamenti previsti dal governo Merkel.

Più in generale, questa situazione di emergenza evidenzia nettamente i danni creati dalle politiche di austerità e di privatizzazione soprattutto nel settore sanitario e di welfare, così come le conseguenze delle riforme nel mercato del lavoro sulla condizione di vita.

Questa sorta di ‘effetto-verità’ dell’emergenza sanitaria – come scritto dal Collettivo per l’Economia Fondamentale sul Manifesto – riguarda tutti i servizi essenziali ‘che non si possono fermare’ – dalla produzione e distribuzione alimentare, alla cura delle persone, all’istruzione, fino all’amministrazione pubblica, alle forniture energetiche e alle telecomunicazioni – e la loro utilità pubblica, che richiede perciò un paradigma perequativo ed anticiclico, del tutto inviso alle politiche di rigore degli ultimi anni. L’UE ha infatti privilegiato investimenti in settori altamente remunerativi, tagliando invece quei comparti definiti spesso ‘improduttivi’ in termini di rendimenti e profitti. Per questo l’emergenza sanitaria finirà per presentare un conto salato al paradigma europeo di governo neoliberista dell’economia.

La prima riprova viene dai provvedimenti di requisizione delle strutture sanitarie private, voluto dal governo spagnolo per fronteggiare l’epidemia, e ripreso poi anche da Parigi e Roma, a fronte però in entrambi questi casi di un indennizzo ai titolari delle realtà requisite.

Non bastano quindi le campagne filantropiche di raccolta fondi a sostegno di strutture ospedaliere martoriate dai tagli alla sanità pubblica, ma anche in questo caso la crisi scoperchia l’opportunità di un sistema fiscale radicalmente progressivo, interamente collocato nella sfera del diritto pubblico.

Alcuni interessi hanno più forza di altri e su questo adagio si arriva a mettere da parte l’art.168 del Trattato sul funzionamento dell’UE che prevede “un livello elevato di protezione della salute umana” e che “gli Stati membri coordinino fra loro, in collegamento con la Commissione, le rispettive politiche”.

Quasi utopistico, dopo la cura lacrime e sangue imposta dal memorandum della Troika alla Grecia nel 2010, scomodare l’art.222 del TFUE sulle clausole di solidarietà fra paesi membri, così da sviluppare misure omogenee a livello continentale, invece di concentrarsi prettamente sul pareggio di bilancio.

Il carattere globale di questa epidemia, così come di altre calamità che originano nei cambiamenti climatici in corso, richiederebbe un maggiore coordinamento, invece del ripiegamento all’interno dei confini nazionali. Eppure, questa ennesima crisi può forse essere affrontata come occasione di messa in discussione critica delle derive di un simile sistema, guardando con gli stessi occhi dei confinati antifascisti di Ventotene come «la guerra – citata più volte nel discorso alla nazione del presidente francese Macron – non la pagherà solo il regime […], e noi erediteremo le macerie. Però noi vediamo l’occasione di ricostruire! Invece là, – puntò il bastone in direzione del continente – la maggior parte della gente ancora sonnecchia, intorpidita dal fascismo. Qui a Ventotene vediamo il futuro, mentre nel resto d’Italia non ne hanno la minima idea! E allora chi sono gli isolati? Chi sono i veri prigionieri del loro tempo?».

Cedu, Coronavirus, Patto di stabilità, Schengen
Articolo precedente
Frontiere blindate
Articolo successivo
Ma l’Europa non c’è

1 Commento. Nuovo commento

  • Liliana Frascati
    18/03/2020 20:42

    Sono d’accordo è ora di invertire lo slogan partorito negli anni ’80 per affermare un nuovo paradigma “più pubblico, meno privato”, vista la devastazione delle privatizzazioni in molti settori delicati, in primis nella sanità,

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Compila questo campo
Compila questo campo
Inserisci un indirizzo email valido.