Il tema fondamentale su cui si è svolta la campagna elettorale in Germania è stato senza dubbio alcuno l’immigrazione. Le cittadine e i cittadini con background migratorio erano, alla fine del 2023, circa 25 milioni, di cui quasi 10 milioni ancora privi di cittadinanza. Una situazione che ha costretto il precedente governo, non certo di estrema sinistra, a velocizzare i tempi per garantire tale diritto, portando da 8 a 5 gli anni necessari che possono persino scendere a 3, su base premiale, se si è dimostrata forte integrazione, valido apprendimento della lingua, servizi di volontariato. La Germania è stata anche il Paese in Europa che dal 2012 al 2021 ha accolto più richiedenti asilo, circa 2,3 milioni, di cui almeno la metà provenienti dalla Siria. Non si è trattato, sia chiaro, di scelta etica. Dopo l’Italia la Germania è il paese con l’età media più alta e per garantire il funzionamento dell’apparato produttivo – nonostante i segnali di questi mesi lì si continua a produrre e ad esportare – è necessario avere persone giovani in età lavorativa, da occupare in numerose nicchie economiche. Era comunque inevitabile che tali scelte portassero a conseguenze, oltre che all’investimento di ingenti risorse. Soprattutto nell’Est, dove peraltro la presenza di rifugiati ed immigrati è molto più scarsa, si è risvegliato da anni un malessere sociale, diffuso in tutta Europa e frutto di numerosi fattori: il timore di perdere lavoro o di veder diminuito il proprio potere contrattuale, la paura verso culture diverse, i numerosi allarmi legati alla sicurezza, la diminuzione di supporto allo stato sociale, una certa intolleranza relativa all’uso di risorse nell’accoglienza e nella coesistenza, l’assenza totale di politiche economiche di lungo respiro capaci di prospettare un futuro migliore per chiunque viva in Germania, si sono riversate in diffusi fenomeni di xenofobia, razzismo, con una virulenza unica forse in Europa.

La nascita e la crescita di AfD ha sdoganato anche una parte significativa delle remore derivanti dal passato nazista. Aggressioni, gesti, scritte, manifestazioni di stampo razzista, hanno trovato spazio e sono state giustificate anche dall’establishment borghese tedesco, dai media, al punto che Alice Weidel, leader attuale dell’estrema destra tedesca, poteva affermare senza timore di creare scandalo: «Abbiamo un piano per il futuro della Germania: chiudere completamente le frontiere, respingere ogni viaggiatore senza documenti, cancellare le prestazioni sociali per i non residenti e procedere a rimpatri su larga scala. Se si deve chiamare remigrazione, si chiamerà remigrazione». Il termine, ripreso senza grande successo mesi fa da qualche salviniano in cerca di gloria, è divenuto vincente per l’elezione di Donald Trump, al punto che oggi corrisponde ad un piano ben preciso a cui guarda con favore una parte consistente dell’Europa conservatrice. Le persone dotate di senno sanno quanto questa sia una grande “bufala” soprattutto in un Europa a crescita zero e in pieno inverno demografico, che da una parte sbraita poi, sottobanco, cerca disperatamente manodopera come richiesto dalle imprese ma dal punto di vista simbolico il tema si è imposto. A tal punto che, tornando alla Germania, il vincitore delle elezioni, il leader della CDU Merz, proprio un mese fa, a seguito di un’aggressione di cui era stato probabilmente responsabile un richiedente asilo, parlava espressamente di “giro di vite sui migranti” in caso di sua vittoria. Il 24 gennaio poi le dichiarazioni si sono tradotte in fatti: una mozione per inasprire le misure contro l’immigrazione illegale, presentata dai cristiano-democratici e in particolare dal candidato cancelliere, è passata sul filo di lana, ma è passata: 348 contro 345. I voti della stretta su migranti e richiedenti asilo sono arrivati da Unione Cdu/Csu, dai liberali della Fdp e dall’ultradestra di Afd. La CDU rompeva così l’accordo di non realizzare mai alleanze con l’estrema destra.

La stessa Angela Merkel prendeva le distanze da quella mozione e quando, pochi giorni dopo, il provvedimento è tornato per essere approvato nel Bundestag, è stato bocciato per 349 voti a 338. Vistose le assenze fra i liberali di FdP (alcuni hanno votato contro), e nella stessa CDU.  Imbarazzante il voto a favore di alcuni esponenti di BSW la “sinistra conservatrice” e nazionalista, molto critica nei confronti delle politiche di accoglienza. Le nuove norme prevedevano ad esempio il blocco dei ricongiungimenti familiari per quanti abbiano ottenuto il diritto alla protezione, ma non all’asilo, e l’ampliamento delle competenze della polizia federale. Ma proprio con quel voto qualcosa è cambiato ed è emersa una forte reazione popolare, antirazzista e antifascista che ha riempito, soprattutto di giovani, numerose piazze, ad Est come ad Ovest. Quella contrapposizione sui contenuti valoriali di un Paese e non connessa ad un brutale fatto di cronaca – l’uccisione di un bambino e di un uomo intervenuto per fermare l’attentatore, un profugo afghano, ha smosso l’opinione pubblica. Ad una narrazione (CDU/AfD) che trovava nell’immigrazione il perfetto capro espiatorio, ad un centro sinistra, SPD, Verdi che tiepidamente si opponevano ma poi invocavano maggior sicurezza, di fatto subendo l’agenda politica della destra, ha fatto da unico contraltare Die Linke, parlando di diritti sociali universali, di giustizia sociale e di tassazione dei ricchi, di convivenza, imponendo parole con cui – secondo una vulgata rozza, non si mangia – “antifascismo” e “antirazzismo” e facendole divenire incombenti. Affrontare insomma la questione, non evitarla, ma imponendo una chiave di lettura diversa, ha prodotto un argine.

Sia chiaro, quando un partito al cui interno hanno peso esponenti che evocano oscuri passati, supera il 20% dei consensi e, nella parte orientale è di gran lunga la prima forza politica, l’allarme va lanciato. Se, in parte per posizioni marcatamente filorusse, ma soprattutto per un estremismo inconciliabile con la democrazia formale, anche nel contesto europeo l’AfD è tenuta ai margini, il fatto che soprattutto nel mondo delle classi lavoratrici, fra giovani maschi senza futuro, imperi un messaggio ultranazionalista deve far interrogare. E non bastano le semplicistiche analisi secondo cui la crescita di tale forza è meccanicisticamente dovuta alle misure neoliberiste delle forze di governo. C’è qualcosa di più profondo, che corrisponde ad un bisogno di identità protetta e garantita e che guarda ad un “passato glorioso” come unica prospettiva per il domani. L’ennesimo frutto velenoso di una globalizzazione che ha tolto ogni forma di diritto per chi non è benestante, della sua crisi dirompente, come modello che il fiato corto, della rottura strutturale fra profitto e democrazia, per cui il primo esiste solo se si ridimensiona fortemente la seconda. Il rimpianto per il welfare del passato non trova oggi alcuna via d’uscita, resta solo affidarsi alla logica glaciale del mors tua vita mea.

La reazione antifascista e antirazzista è però stavolta non solo riuscita ad emergere ma a trovare una propria rappresentanza politica. Die Linke, partito che veniva dato per finito, fra le difficoltà a governare sperimentate in alcuni Land e l’essere percepito come residuo del passato, ha trovato le parole giuste. In poche settimane ha coniugato in maniera micidiale l’esigenza di politiche sociali radicalmente diverse, la pretesa di tassare i grandi patrimoni, i bisogni di casa, lavoro e studio, investendo soprattutto sui giovani, con parole d’ordine valoriali che sono risuonate alte. Il risultato ottenuto che ha sbalordito molti opinion maker, è stato frutto di un voler rientrare nelle case delle persone, nell’avvicinarsi anche con gioia portando musica e capacità di comunicare quelle che erano le tematiche da porre realmente al centro. In tale maniera si è parlato di immigrazione non come mostro da temere o su cui spendere parole paternaliste e spesso balbettate, ma come parte integrante della società tedesca del XXI secolo. Una sfida assurda che pure ha centrato il bersaglio, politiche sociali significa garantire a tutte e a tutti i diritti essenziali e non in una gerarchia legata alla provenienza, allo status giuridico o al colore della pelle. Nella Linke si è compreso che le lavoratrici e i lavoratori da difendere non hanno nazione che li debba veder privilegiati e questo è stato il fatale errore, insieme al cedimento con AfD commesso dal BSW. Lo si è capito per una ragione molto semplice, in Germania c’è ancora, come in tutti i paesi occidentali, molto da redistribuire e politiche separate o separatiste, muri, esclusioni vanno ad unico vantaggio da chi i profitti, soprattutto in condizione di guerra, li ha accumulati. Ad accorgersene anche quelle lavoratrici e lavoratori, quella classe impiegatizia, che in passato si era sentita abbandonata da Die Linke e che invece di abbracciare le facili ricette scioviniste, si è riavvicinata.

E l’Italia potrebbe imparare

La situazione italiana, in materia di immigrazione è radicalmente diversa non solo per i dati quantitativi. I cittadini migranti regolarmente presenti sono poco più di 5,3 milioni, la metà della Germania e i richiedenti asilo o rifugiati potrebbero trovare una soluzione al proprio futuro, in quanto pochi, con una politica sistemica della convivenza da noi mai costruita, si preferisce parlare perennemente di emergenza anche se arrivano poche centinaia di persone. Ma la differenza va oltre. Da noi si è nascosta la testa sotto la sabbia e non si sono volute attuare politiche per facilitare l’accesso alla cittadinanza, si preferisce mantenere condizioni pessime di vita e di alloggio, si spendono centinaia di milioni per far credere di voler rimpatriare i non aventi diritto, quasi un miliardo di euro per un fallimentare progetto di delocalizzazione in Albania e si resta ancorati a leggi vecchie che attengono al secolo passato. La destra estrema, come in Germania, ha costruito in anticipo la propria politica razzista, costruendo un clima fondato sulla paura e sulla repressione che nulla ha a che fare con la vita quotidiana di autoctoni e persone con background migratorio. Si rifiuta, come in Germania, “lo straniero” in quanto povero, in quanto non considerata/o in grado di godere degli stessi diritti dei bianchi, maschi e benestanti, di aspirare ad un riscatto sociale. Le forme melliflue di apartheid nostrano sono le stesse che si vorrebbero applicare in Germania. Un ragionamento simile fa paura perché evoca la continuità storica che portò il nazismo ad affermarsi sulle parole d’ordine del fascismo. E in questo quasi mezzo secolo che ha portato l’Italia a trasformarsi da paese di emigrazione fino a farlo divenire, temporaneamente, di immigrazione, le scelte scellerate della destra hanno trovato campo aperto nella vigliaccheria di una sinistra moderata che non è stata in grado di cogliere il mutamento sociale in atto e proporre soluzioni. I due poli che oggi da noi si confrontano hanno avuto evoluzioni storiche su cui varrebbe la pena approfondire che li differenzia sia anno dopo anno che nelle fondamenta. Ma se ad un fervore tutto fascistoide che oggi paventano le inesistenti invasioni e il rischio di una “sostituzione etnica”, cosa troviamo dall’altra parte? Leggi che nessuna maggioranza ha avuto il coraggio di provare a cambiare, accordi internazionali firmati sul sangue di chi fuggiva, troviamo l’assenza di una visione politica tout court. E si badi bene, con l’approssimarsi delle scadenze elettorali o con l’avanzare di proposte di modifica radicale delle condizioni attuali aggredendo l’agenda politica dominante e provando ad invertirne le priorità, anche in ambienti a noi vicini, in ministri e forze politiche che oggi inneggiano a Die Linke, era normale sentirsi dire “evitiamo ora di parlare di immigrazione. Ce ne occuperemo dopo”. Quel dopo non è mai arrivato e i nodi giungono al pettine in Europa come dagli Usa, continenti suicidi in nome della propaganda a breve termine. In Germania una forza ha provato ad alzare la testa, a sollevare certi temi di cui le persone parlano ed è stata premiata anche con l’incremento del voto operaio, e dei ceti meno abbienti. Ancora poco ma almeno un segnale. In Italia se non avessimo ricevuto la formidabile spinta referendaria delle ragazze e dei ragazzi nati e cresciuti qui, staremo ancora a parlare degli sbarchi, dell’emergenza, utilizzando l’urticante frase con cui l’allora ministro dell’Interno, Giorgio Napolitano, nel 1998, giustificò una legge minimale e non adeguata “dobbiamo coniugare sicurezza e accoglienza”.

Le oltre 638 mila firme raccolte in tre settimane, da chi pretende diritti, non li elemosina e si impone sulla scena sociale anche per migliorare la nostra qualità della vita, il referendum attraverso cui si potrebbero ottenere solo parziali ma significativi miglioramenti, sono la sola risposta finora pervenuta. Eppure destra e fascismi si fermano anche con questa spinta popolare alla partecipazione. E chissà che un risultato non permetta a molte e molti di provarne a pretenderne altri.

Ed è grottesco scrivere queste parole, nell’anniversario della Strage di Cutro nel crotonese, dove oltre un centinaio di persone hanno perso la vita perché dal governo e dalle autorità preposte non giunsero le disposizioni di provvedere al soccorso di un cacicco che si stava rovesciando a poche centinaia di metri dalla spiaggia. Allora, con un cinismo inaccettabile, ministro dell’Interno e presidente del Consiglio affermarono che i morti “se l’erano cercata nel momento in cui erano illegalmente partiti dalle coste turche”, ignorando che chi aveva compiuto un percorso immenso, soprattutto dall’Afghanistan, dominato dai talebani grazie anche alle scellerate politiche NATO, non stava certo compiendo una gita di piacere. Il governo raggiunse l’apice del cinismo, almeno per ora, nel denominare “Decreto Cutro” l’insieme di norme, ora divenute legge, che hanno reso la vita ancora più impossibile per chi chiede asilo. I sopravvissuti chiedono ancora giustizia, i morti furono, come spesso capita nella fossa comune della Fortezza Europa chiamata Mediterraneo, in gran parte donne e bambini. Ma “se la erano cercata” loro o i loro genitori. Ecco di fronte a questo ricordo, ennesima vergogna della guerra asimmetrica e silenziosa che uccide da decenni in mare e non solo, c’è il coraggio di pensare ad una inversione radicale di percorso? Ogni possibilità di costruire un futuro, in Germania come in Italia o nel resto del mondo, passerà per la risposta concreta che si offre a questa domanda.

 

Stefano Galieni

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