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La Germania si riarma e la SPD chiede un arsenale atomico

di Roberto
Musacchio

Karina Barley è la capolista della SPD alle prossime elezioni europee essendo già oggi vice presidente del Parlamento Europeo. Ha dichiarato che occorre prendere in seria considerazione la costruzione di un arsenale nucleare europeo. Scholz, il cancelliere socialdemocratico del governo semaforo con verdi e liberali, ha inaugurato in questi giorni un gigantesco impianto di produzione di munizioni, parte dell’imponente programma di riarmo tedesco, e ha detto che occorre produrre meno merci e più armi.

L’uscita di Trump sul possibile disimpegno USA dalla NATO, con tanto di frasi intimidatorie su chi tra i Paesi europei non paga per la sua difesa  e verrà lasciato in mano a Putin, ha portato allo scoperto una volontà ormai largamente diffusa: fare della UE una potenza militare. Naturalmente le opzioni sono varie e confuse, tra chi non pensa minimamente di autonomizzarsi dagli USA e chi vede uno scenario imperiale anche, parzialmente, in proprio. Intanto, come costume delle borghesie che detengono il potere e lo usano, si procede per fatti compiuti. La UE è proprio pensata così, non democratica ma funzionalistica. E la funzione principe oggi è fare armi ed attrezzarsi alla lunga guerra con la Russia. La spesa per le armi sta fuori dal rientrante patto di stabilità (che mieterà vittime sociali in quantità). Germania, e Polonia, si stanno portando particolarmente avanti. I più massicci programmi di riarmo. I toni più aspri sul conflitto Russia-Ucraina. E in Germania la testa di questo processo l’hanno presa i socialdemocratici, peraltro sostenuti dai Verdi più bellicisti d’Europa. Ora la Storia ci parla di tristi precedenti di socialdemocratici che votano i crediti di guerra e di Germania in armi. Nell’imponente processo di revisionismo storico in corso sarà bene che qualche libro di Storia rimanga aperto. Sembra ieri quando la caduta del muro e la riunificazione tedesca portava gioia ma anche domande inquietanti espresse da personalità quali Ingrao, Natta, lo stesso Andreotti. La Germania in questi 35 anni ha accresciuto enormemente la sua potenza economica fatta di surplus esportativi nell’area UE e di politiche monetarie che li favoriscono. Si è pagata così la sua riunificazione. Ha allargato la propria influenza sui Paesi provenienti dal dissolto blocco dell’Est. Ora si paga il riarmo con il ripristino del patto di stabilità che ripropone questi tratti della sua egemonia. Per altro è in recessione a causa delle conseguenze delle rotture delle catene del valore determinate dal conflitto con la Russia, subisce l’affondamento del North stream ma sembra intenzionata a ripagarsi accentuando il suo tratto egemonico anche per via militare. L’Ost politik è finita. Torna la Germania financo nucleare, oggi socialdemocratica, domani magari Afd. Perché ormai le destre strabordano. In questi giorni in Finlandia il candidato di destra ha vinto le prime presidenziali dell’era della fine della neutralità e dell’ingresso nella NATO. L’Europa si fa sempre più nazione di nazioni, con la guerra alla Russia come orizzonte, le differenze sociali in grande crescita, le privatizzazioni ad ingrassare i capitali finanziari, l’accordo di potere tra establishment e nazionalisti di destra a gestire il passaggio che attraverso il revisionismo storico riporta l’Europa dove era, agli imperialismi guerrafondai.

Per questo la Pace è il vero punto di discrimine. Come fu nella prima metà del ‘900. In Italia, dalla RAI al Parlamento, passando per le piazze, è il vero tema. Occorre che lo sia anche nelle urne europee.

di Roberto Musacchio

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