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La France Insoumise tra radicalità e alleanze

di Franco
Ferrari

Il voto del secondo turno francese ha ribaltato l’esito del primo segnando la sconfitta dell’estrema destra del Rassemblement National e il successo, inatteso anche per i suoi stessi dirigenti, del Nuovo Fronte Popolare.
Il voto ha segnalato che, nonostante i dubbi, il principio della disciplina repubblicana, l’unione di tutti per fermare l’estrema destra, ha funzionato benché più per volontà dell’elettorato di sinistra che di quello centrista.
Il secondo dato significativo è il successo, in termini di seggi, della coalizione formata dai quattro principali partiti di sinistra: La France Insoumise, il Partito Socialista, i Verdi Ecologisti e il Partito Comunista Francese (con l’aggiunta di qualche gruppo minore). L’aggregazione ha funzionato nonostante sia stata approntata in pochi giorni dopo l’esito del voto europeo. Quella campagna elettorale aveva visto le diverse formazioni della sinistra competere con asprezza e segnalato un forte recupero del Partito Socialista che, dopo le ultime elezioni presidenziali, veniva dato per defunto.

Nonostante il voto europeo abbia modificato i rapporti di forza a sinistra, nella ripartizione delle candidature per le elezioni parlamentari La France Insoumise ha mantenuto una posizione di predominio. Il partito-movimento guidato da Jean-Luc Melenchon che, subito dopo il voto europeo, ha lanciato l’obbiettivo dell’alleanza a sinistra, ha costruito un rapporto complesso e non privo di tensioni con i suoi alleati.
Gli ultimi mesi e soprattutto in campagna elettorale i grandi media francesi e i centristi di Macron hanno avviato un processo di demonizzazione della France Insoumise che è andato di pari passo invece con la progressiva normalizzazione del Rassemblement National. LFI ha impostato il suo discorso per le europee sulla solidarietà con i palestinesi e la denuncia dei crimini israeliani. Una scelta che teneva conto del diffuso sentimento di solidarietà presente in una parte del mondo giovanile e tra i molti immigrati e figli di immigrati di origine maghrebina presenti in Francia. Il discorso dominante dei media e del sistema politico francese ha imposto una identificazione tra critiche a Israele e antisemitismo. Lo stesso Macron aveva ufficializzato l’identificazione tra critica al sionismo come ideologia nazionalista e differenzialista (per molto tempo minoritaria nello stesso mondo ebraico) col pregiudizio antisemita che in Francia ha una lunga storia.

L’impostazione della campagna elettorale da parte di Melenchon, che resta la figura dominante del movimento benché non sia più presente in Parlamento, e le scelte compiute per il voto parlamentare evidenziano l’articolazione e anche le difficoltà della strategia perseguita da La France Insoumise. Gli elementi di radicalità che si sono via via accentuati nel tempo sono andati di pari passo con una grande flessibilità nella costruzione di alleanze.
Lo si è visto nel primo turno che ha visto confluire nel fronte popolare un vastissimo schieramento che andava dall’ex Presidente Hollande, a cui si rimprovera di avere inflitto un colpo devastante alla credibilità della sinistra quale forza di cambiamento e di riferimento delle classi popolari, fino ad alcune fazioni trotskiste. Scelta quest’ultima compiuta da formazioni si ispirano a Trotsky che, a suo tempo, fu decisamente ostile al “vecchio” fronte popolare. Ma si può dire: meglio tardi che mai.
La strategia seguita da Melenchon ha subìto nel tempo diverse correzioni e cambiamenti anche radicali. Dal punto di vista della sua biografia personale, l’ex ministro socialista si era formato in una delle formazioni trotskiste francesi quella nota come “lambertista”, dal nome del suo fondatore e leader indiscusso fino alla morte, Pierre Lambert. Come altri giovani militanti che si erano formati a quella scuola politica e ideologica (Cambadelis, Jospin) ha poi fatto carriera nel partito socialista. Mitterrand, il primo ad aver portato la sinistra francese al potere, è considerato tuttora da Melenchon come una fonte di ispirazione. Quanto dell’una e dell’altra esperienza facciano ancora parte del modo di far politica del leader degli insoumis è oggetto di discussione in Francia. Certamente ha poi sviluppato una sua visione originale.

È interessante esaminare (e qui lo si può fare solo per sommi capi) l’evoluzione seguita da Melenchon dopo il suo distacco dal Partito Socialista, decisione sulla quale aveva pesato il referendum sul cosiddetto trattato costituzionale europeo vinto dagli oppositori.
Con coloro che lo avevano seguito nella scissione dalla casa madre socialista, Melenchon diede vita al Parti de Gauche. In quel momento la diretta ispirazione era la Linke tedesca e Oskar Lafontaine venne chiamato alla fonte battesimale del partito. Per avere pieno successo il PdG avrebbe però dovuto assorbire il PCF, la principale forza politica a sinistra dei socialisti, da tempo in crisi, così come la Linke era nata dall’unificazione tra la PDS che aveva le sue radici nel comunismo della Germania dell’est (rivisto criticamente alla luce del suo crollo) con settori della socialdemocrazia spostatisi a sinistra. Il PCF, che pure con la PDS tedesca aveva stretti rapporti, era però indisponibile a questo assorbimento.
Fallita l’ipotesi di una Linke francese, si avviò una diversa esperienza che non prevedeva l’unificazione in un solo partito bensì la costruzione di una coalizione formalizzata. Nacque così il Front de Gauche, che comprendeva il PdG e il PCF insieme ad altri piccoli gruppi politici di diverso orientamento ideologico. Venne incluso anche il Partito Comunista Operaio Francese, ultima ridotta francese dei seguaci di Enver Hodja.
Il Front de Gauche ebbe indubbiamente una dinamica positiva che consentì il buon risultato di Melenchon alle presidenziali (circa l’11%) aprendo una fase nuova della sinistra che consentiva ai settori più radicali di intervenire negli spazi aperti dalla crisi del mondo socialista. Il FdG aveva un funzionamento basato sulle forze politiche che non consentiva facilmente l’avvicinamento di persone non iscritte ai partiti costituenti. Anche su questa formula si aprì un dibattito interno che vedeva alcuni settori spingere per la trasformazione del FdG in struttura degli iscritti e altri (in particolare il PCF) difendere la forma dell’aggregazione di organizzazioni.
La crisi del FdG fu anche determinata dalla diversa posizione del PCF e del PdG sulle alleanze locali con il Partito Socialista. Favorevole a mantenerle, anche se non ovunque e sempre, il primo, orientato a costruire coalizioni alternative il secondo. Su questa differenza pesava anche il fatto che il PCF aveva un insediamento diffuso nelle amministrazioni locali per la cui difesa era indispensabile l’unione a sinistra, mentre il partito di Melenchon era quasi totalmente assente da quella dimensione politica.
In presenza del declino del FdG iniziò un ripensamento strategico di Melenchon e dei suoi più vicini sostenitori. Era feroce la polemica contro una unità a sinistra basata sulla “zuppa di sigle”. Questa venne considerata inefficace e inadatta alla mobilità e flessibilità politica necessaria a cogliere le potenzialità offerte dal contesto politico e sociale. Va sottolineato che per Melenchon, che da giovane aveva abbandonato una setta politica strutturata ma marginale per una formazione politica ideologicamente più debole ma in grado di competere per il governo, la politica è competizione per il potere non rappresentazione identitaria.
Dopo qualche oscillazione e incertezza, Melenchon ha lanciato La France Insoumise, la cui nascita non può essere compresa se non la si colloca in quello che è stato definito come il “momento populista”. Abbandonata la “zuppa di sigle” era arrivato il momento di “federare il popolo”.

La France Insoumise ha rappresentato un tentativo di rompere con le forme politiche tradizionali a sinistra. Vengono superati i confini tra aderenti e non. Per un verso basta un click su facebook per essere considerato aderente ma dall’altro ciò che conta è la effettiva partecipazione alle attività politiche concrete. Spezzata la logica della struttura gerarchica (sezioni, federazioni, comitato centrale) che nasceva dalla tradizione storica della socialdemocrazia tedesca, poi rielaborata dal comunismo leninista (successivamente rivisto in chiave staliniana) e anche quella delle interminabili e spesso ininfluenti discussione interne, scontri tra correnti ecc.
Un “movimento gassoso”, è stato definito, capace di utilizzare i nuovi strumenti di comunicazione digitale ma anche con l’ambizione di radicarsi in tutto il contesto sociale e di essere parte e promotore del conflitto diffuso. Sul piano teorico, La France Insoumise si è avvalsa delle elaborazioni dei teorici del populismo di sinistra (la coppia Laclau-Mouffe) sempre adattate alla realtà francese e utilizzate con un certo pragmatismo. Il bilancio che si può trarre da questa esperienza deve valutare elementi positivi e aspetti decisamente più critici.
Nel sottotesto della narrazione populista era ben presente l’idea che questo strumento fosse soprattutto finalizzato alla battaglia per le elezioni presidenziali, considerato nel sistema politico francese il nodo centrale del potere. Mentre il movimento è critico verso le istituzioni della Quinta Repubblica, al punto da proporne una Sesta, contemporaneamente si è adattato alla logica della personalizzazione e del presidenzialismo (alcuni critici dicono troppo) anche nella sua vita interna.
Se diverse critiche hanno certamente un fondamento, come dimostrano i conflitti con alcune delle figure più significative del movimento, si deve riconoscere alla France Insoumise anche diversi meriti. Certamente ha colto delle potenzialità tali da poter contrastare la progressiva emarginazione della sinistra di trasformazione da parte della sinistra di gestione, che sembrava inevitabile a fronte della progressiva crisi del Partito Comunista che aveva storicamente occupato quello spazio.
LFI si è costruita un effettivo consenso in zone di insediamento popolare, prevalentemente nei grandi centri urbani ed in particolare la cintura parigina un tempo roccaforte dei comunisti. I suoi elementi di radicalità affascinano e coinvolgono settori giovanili importanti soprattutto di coloro che, avendo genitori o nonni immigrati in Francia e poi naturalizzati, vedono l’estrema destra come una minaccia esistenziale e guardano al macronismo come l’espressione più pura e sfacciata delle élite economico-finanziarie che disprezzano le classi popolari.
Il movimento di Melenchon ha certamente beneficiato di una presenza di conflitto sociale che in Francia è superiore a quello di molti altri paesi, come si è visto nell’ultima lotta contro l’aumento dell’età pensionabile (il confronto con l’Italia è desolante per noi). Contro il progetto di legge si sono ritrovate tutte le maggiori organizzazioni sindacali. Più spurio e forse con meno incidenza nel successo del Nuovo Fronte Popolare si era registrata la precedente mobilitazione dei “gilet gialli”.
Tutto questo però non sarebbe stato sufficiente se LFI non avesse anche seguito una strategia politica tale da evitare di venire emarginata dal sistema e resa inoffensiva. Combinare azione dal basso e iniziativa, anche spregiudicata, dall’alto è stata una condizione fondamentale per puntare all’egemonia di una sinistra aperta alle diverse formazioni e sensibilità. La radicalità della narrazione non è avvenuta nel vuoto ma si è basata sulla capacità di individuare via via quei settori sociali che esprimevano una domanda politica inevasa dalle forze esistenti. Contemporaneamente ha saputo manovrare tatticamente per dare a quel consenso la prospettiva della trasformazione in reale potere politico tale da poter influire sul terreno del governo e delle decisioni.

Nel dibattito a sinistra vi è chi ritiene che il radicamento in alcuni settori popolari sia stato raggiunto a spese della capacità di conquista di altri settori di società pure indispensabili per costituire una maggioranza sociale in maggioranza politica. Questo è un problema indubbiamente di non facile soluzione come dimostrano le difficoltà del PCF che ha cercato invece di adattare la propria proposta politica ai settori popolari più tradizionali, sottraendoli all’attrazione dell’estrema destra.

La sconfitta del Rassemblement National e il successo dell’NFP ha aperto una nuova fase politica. Certamente più favorevole di quella precedente ma nella quale non mancheranno le trappole e le scelte difficili. Il primo problema è mantenere l’unità della sinistra in presenza degli attacchi mediatici e delle manovre dei macroniani che non si rassegnano alla sconfitta e sperano di continuare a dare le carte del gioco politico. Resta anche il dato oggettivo che dimostra come il consenso della sinistra arrivi a fatica ad un terzo dell’elettorato, fortemente concentrato nelle realtà urbane.

Avevamo scritto che, col primo turno, la sinistra (unita nelle diverse componenti) aveva difeso una trincea. Col secondo turno, grazie alla flessibilità tattica, è uscita dalla trincea e ora ha le condizioni per andare all’offensiva approfittando delle debolezze altrui. Dovrà riuscire a gestire i possibili conflitti interni che già vedono LFI e socialisti competere per avere il gruppo maggiore all’Assemblea nazionale (e i socialisti segnalano che i loro candidati, pur meno numerosi, hanno ottenuto più voti dei melenchoniani). In ogni caso è sempre meglio partire da vincitori che da sconfitti.

Franco Ferrari

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