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La diga della discordia ed i tentennamenti dell’UE

di Tommaso
Chiti

In una fase storica di transizione economica ed ecologica, che mette nuovamente in crisi un sistema capitalistico trainato dallo sfruttamento predatorio di persone ed ambiente e dalla speculazione finanziaria; le scelte sull’approvvigionamento energetico agitano i confini europei sul versante orientale, con la rimonta della questione ucraina a nord; e con la ripresa dei negoziati oggi a Vienna nel tentativo di riattivazione dell’accordo 5+1 sul nucleare iraniano del 2015.

La crisi climatica insieme a quella pandemica accelerano certi processi economici e sembrano acuire contrapposizioni nazionaliste invece di soluzioni multilaterali anche sulle questioni energetiche.

Proprio nell’area circostante al corno d’Africa si trova una delle regioni politicamente più instabili al mondo per le contese legate all’approvvigionamento idrico.

A dieci anni dalla sua progettazione sul Nilo Azzurro, la diga ‘GERD’ – acronimo di Grand Ethiopian Renaissance Dam – sugli altipiani dell’Etiopia settentrionale presso il lago Tana, dove scorre l’85% delle acque affluenti alla foce del Nilo, continua ad essere motivo di contrapposizione fra Egitto, Sudan ed Etiopia appunto, in cui convergono gli affluenti Atbara e Sobat .

Il Nilo, il fiume più lungo del mondo, attraversa undici per 4.000 miglia, dai fiumi equatoriali che alimentano il Lago Vittoria fino alla sua foce finale nel Mar Mediterraneo. L’Egitto, paese prevalentemente desertico, di 100 milioni di abitanti, fa affidamento sul fiume per il 90% del suo fabbisogno di acqua dolce, concentrato nella diga di Assuan.

La sua costruzione della GERD, dal costo complessivo di 4,5mld di dollari, che ha visto la partecipazione della ditta italiana WeBuild (ex Salini-Impregilo),  porterebbe alla realizzazione di una centrale idroelettrica da 6mila megawatt, con l’aspirazione di diventare uno dei maggiori hub regionali di distribuzione elettrica nell’Africa orientale.

L’estate scorsa Addis Abeba ha attuato il primo riempimento del bacino aumentando la portata d’acqua fino a 560 metri, con un serbatoio di 4,9 miliardi di metri cubi, tale da poter testare le prime due turbine. Il secondo riempimento è stato invece fissato per la prossima stagione delle piogge a luglio, di fatto un’azione unilaterale portata avanti nonostante le proteste del Cairo e di Khartum.

I due paesi rivieraschi temono infatti che la riduzione del flusso d’acqua abbia conseguenze disastrose sul piano economico, sociale e demografico, acuite dalla perdurante pandemia, con ricadute fatali dell’eventuale calo delle forniture in una simile situazione di sofferenza, tale da far parlare i vertici dei due stati di una minaccia alla sicurezza nazionale.

Il fabbisogno annuo dell’Egitto prevede un volume totale di 55 miliardi di metri cubi, che per il 57% derivano dal Nilo Azzurro.

L’economia nazionale del Cairo è fortemente dipendente dal settore agricolo, con un fabbisogno annuale di circa 30 miliardi di metri cubi d’acqua solo per mantenere gli attuali livelli di produzione di questo comparto. Il settore primario contribuisce infatti a circa il 15% del PIL e pesa per quasi un terzo dei posti di lavoro totali, con circa il 55% degli occupati nelle attività comprese nell’indotto, specie nell’area dell’Alto Egitto.

Il contenzioso principale tra Il Cairo e Addis Abeba verte soprattutto sulla velocità di riempimento del bacino.

La strategia diplomatica portata avanti finora dal presidente egiziano Al-Sisi consiste nell’internazionalizzazione della controversia, come annunciato lo scorso febbraio con il sostegno alla proposta sudanese di arbitrato, mediante un meccanismo di coordinamento ed enforcement che possa garantire i flussi d’acqua nei periodi più aridi, tenendo non soltanto conto della ciclicità stagionale ma anche delle situazioni di particolare di urgenza.

Secondo alcune previsioni, il processo di riempimento della diga GERD potrebbe comportare una perdita media annua della capacità agricola egiziana del 2,5%. Inoltre, il Paese aumenta ogni anno il suo fabbisogno idrico in virtù del rapido sviluppo industriale e del costante aumento della popolazione.

In questo quadro, a luglio 2020 si è tenuto un mini-vertice virtuale dell’Unione Africana (UA) per discutere della controversa mega-diga puntando sulla retorica del ‘fiume come fonte di vita e quindi di pace’, per il rilancio dei negoziati trilaterali con l’auspicio di un accordo collegiale delle parti.

Il Cairo punta piuttosto alla formazione di un “quartetto internazionale” che includa Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite, insieme all’Unione Africana, per facilitare il raggiungimento di una soluzione condivisa sul riempimento e sul funzionamento della diga etiope; pretendendo inoltre, insieme al Sudan un accordo giuridicamente vincolante.

Addis Abeba, invece, ritiene che il bacino artificiale sia necessario alla crescita del proprio sistema e non appaiono disposti a fare troppe concessioni, determinando perciò una fase di stallo, resa ancora più seria dalla moltiplicazione di conflitti nella regione.

Il deterioramento delle relazioni tra i tre paesi, in particolare tra Sudan ed Etiopia, ha raggiunto livelli di tensione elevati dallo scorso novembre, in seguito ad una serie di scontri lungo la loro frontiera, rivendicata da milizie locali del Tigray.

I combattimenti sono avvenuti nella pianura di Al-Fashqa, fra l’esercito governativo etiope e milizie locali, in un territorio che il Sudan considera sotto la propria giurisdizione, così come fanno però anche gli agricoltori della regione etiope di Amhara, finora minoranza insediata nella zona in cambio del pagamento di tasse al governo di Khartoum.

Dopo aver accusato l’Etiopia di sconfinamento, il Sudan aveva schierato ingenti forze nella regione, da cui provengono molti profughi tigrini per sfuggire alle violenze, in cui sono stati coinvolti anche reparti eritrei che affiancavano l’esercito regolare etiope.

Peraltro, l’Egitto ha ribadito il suo sostegno alle istanze sudanesi ed è stata sottolineata la collaborazione tra i due paesi anche sotto il profilo militare, che si è già concretizzata in esercitazioni congiunte.

Secondo il detto però, se “Addis Abeba” piange, “Karthoum” non ride…perché anche qui la stabilità interna è minacciata dall’ostruzionismo del governo nella transizione elettorale, dopo l’impasse alle consultazioni dello scorso settembre, che hanno portato il parlamento a votare di recente per una proroga di due anni al mandato presidenziale.

La questione si inserisce dunque in una situazione del Corno d’Africa già caratterizzata da forti tensioni. Dopo la nomina, nel 2018, del primo ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed Ali, che ha promosso la riappacificazione con l’Eritrea ponendo fine a vent’anni di guerra tra le due ex colonie italiane (conflitto armato dal 1998 – 2000 e poi il conflitto di frontiera tra i due paesi), ora un nuovo casus belli sembra profilare ostilità all’orizzonte.

In questo contesto, pochi giorni fa l’ultimo round di negoziati a Kinshasa non ha dato i frutti sperati ed i  governi di Cairo e Khartoum hanno rifiutato l’offerta dell’Etiopia di condividere i dati sul riempimento della diga GERD, prima di raggiungere un accordo legalmente vincolante tutte le parti in causa. Quotidiani egiziani hanno pubblicato notizie sul completamento dell’impianto per circa il 70%, mentre dal Sudan si è tornati ad invocare l’intervento delle Nazioni Unite per una soluzione mediata collegialmente.

L’Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’UE, Josep Borrell, aveva incontrato il Ministro degli Esteri egiziano lo scorso mese, impegnandosi a rafforzare l’intervento europeo mediante la politica di vicinato ed invitando tutte le parti coinvolte a manifestare la volontà di una soluzione condivisa, “per rinsaldare la fiducia reciproca in un rinnovato ambiente di crescita economica”

Da nord a sud il fronte orientale europeo ribolle di tensioni per l’approvvigionamento energetico e anche certi auspici nella minor competitività per le fonti rinnovabili sembrano vani di fronte al caso della diga GERD e alle sue ricadute, in termini di instabilità istituzionali e conflitti internazionali.

Il multilateralismo, che ha già ampiamente mostrato i propri limiti nella prima decade di questo millennio, sembra sempre più un espediente burocratico utile alle lungaggini della diplomazia, mentre ovunque gli interessi nazionalisti trovano capitani di ventura sempre più inclini alla politica del “fatto compiuto”.

Nella latitanza dell’UE pesano come sempre i retaggi coloniali dei suoi stati membri, che cercano spesso di indirizzare o quanto meno arginare azioni condivise, in base alle proprie priorità strategiche, determinando posizioni laconiche dell’Unione, o peggio ancora coperture imbarazzanti a campagne militari tardive, come per l’avventurismo francese in Mali.

INFO:

https://www.egyptindependent.com/gerd-construction-work-now-79-complete-filling-to-go-as-scheduled-ethiopian-minister/

https://www.reuters.com/article/ethiopia-dam-egypt-int-idUSKBN2BT1HU

https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/91105/gerd-statement-spokesperson-expected-resumption-talks_en

https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2020/659412/EPRS_BRI(2020)659412_EN.pdf

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