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La crisi della sinistra e la ricerca dei fondamenti

di Franco
Ferrari

Il quadro che offre la sinistra radicale in Europa e nel mondo è certamente contrastato ma in generale si può considerare ancora di crisi. Non mancano situazioni in controtendenza ma nel complesso la capacità di intervenire in modo unitario e significativo sui processi politici, sugli assetti economici e nella nuova fase aperta dall’emergere di un quadro di guerre e di militarizzazione della politica resta scarsa. A questo si aggiungono, in Europa, tendenze centrifughe che hanno prodotto divisioni e scissioni dolorose.

Le ragioni di questa crisi e le possibili vie d’uscita sono tema complesso e che deve essere affrontato da diversi punti di vista e utilizzando molteplici strumenti di analisi. Quello al quale vorrei accennare in questa sede e che ho avuto modo di affrontare anche in precedenti articoli riguarda la discussione sui “fondamenti” dell’azione politica della sinistra radicale. Temi che richiedono di essere affrontati se non si vuole che il confronto resti solo ancorato alla contingenza politica e alle questioni tattiche.

Alla fine degli anni ’70, a partire dalla Francia, si è sviluppata una corrente che ha avuto un grande impatto mediatico e che decretava la fine delle “grandi narrazioni”. A distanza di alcuni decenni si può ritenere che in realtà le “grandi narrazioni” non sono affatto scomparse. Al contrario, alcune di esse hanno ripreso vigore come il fondamentalismo religioso (non solo quello islamista, pensiamo all’India di Modi, o agli evangelici negli Stati Uniti e in alcuni paesi del Sud America), il nazionalismo a base etnica o apertamente razzista (prima gli italiani, America First, ecc.). Se vogliamo anche le stesse teorie complottiste che hanno avuto una discreta diffusione possono essere considerate una forma di “grande narrazione”.

Ora siamo in presenza di quella che può “grande” di tutte le “grandi narrazioni” ovvero l’ideologia della guerra necessaria e permanente. “Grande” non per il suo valore morale e per il suo fondamento analitico, tutt’altro, ma perché mette in discussione l’esistenza stessa degli individui e dell’umanità nel suo complesso.

In sostanza, l’unica “grande narrazione” che è stata realmente messa in dubbio è stata quella espressa dal movimento operaio e socialista, inteso nella sua più larga accezione. Certamente questa crisi non è riconducibile solo ad una offensiva ideologica massiccia, che pure c’è stata, ma anche per il venire meno di alcune delle condizioni che ne avevano consentito il successo (peso della classe operaia della grande fabbrica, presenza del blocco di paesi socialisti per quanto il loro assetto fosse spesso in contrasto con gli stessi principi proclamati).

Io credo che, nell’attuale contesto e per affermare una posizione autonoma in quella che abbiamo chiamato, utilizzando una vecchia formula, “battaglia delle idee”, sia necessario ripensare alla ricostruzione di una “grande narrazione” o grande disegno, per usare una formula utilizzata nel dibattito strategico statunitense.
Se è così occorre stabilire in che cosa debba consistere una “grande narrazione” per essere considerata tale e quali siano le condizioni di una sua formulazione che non sia puramente arbitraria.

Tre sono le domande alle quali dovrebbe rispondere in modo tale da essere largamente comprensibile dalla persona comune. Coloro che un tempo si sarebbero chiamati “l’uomo della strada” o la “casalinga di Voghera”.
Queste domande sono: che cosa, con chi e come.

Per cercare di entrare un po’ più nel dettaglio vorrei riferirmi alle posizioni di Bernie Sanders, così come sono espresse nel suo ultimo libro, da poco pubblicato in Italia, e che confermano posizioni assunte da tempo (Scassellati, 2024).
Sul “che cosa”, Sanders risponde: “il socialismo”. Nella sua visione questo si basa, più che su una vera e propria rottura con la struttura socio-economica capitalistica, nella ricerca di una riformulazione del compromesso socialdemocratico. Ne erano parti costitutive un solido Welfare State, rapporti più equilibrati tra capitale e lavoro, una ripartizione più equa della ricchezza.
Alla domanda “con chi” (che implica anche il “per chi”) la risposta del leader della sinistra nordamericana indica la classe lavoratrice. Una formula che in inglese a differenza che in italiano e in altre lingue latine ha un significato più largamente inclusivo di classe operaia, che indica soprattutto il lavoratore manuale dell’industria. Si potrebbe definire questa “classe lavoratrice”, riprendendo per altro la visione originaria marxiana, l’insieme di tutti coloro che per vivere devono vendere la propria forza-lavoro a chi detiene i mezzi di produzione.
Sulla terza questione, il “come”, Sanders propone una strategia istituzionale-elettorale che si basa su una trasformazione del Partito Democratico, grazie ad una spinta organizzata dal basso. In questo caso il tema è quello più specifico della strategia politica che può essere perseguita in un sistema storicamente bipartitico e non solo bipolare come sono gli Stati Uniti. Ipotizzando che, data la natura prevalentemente elettorale dei partiti democratico e repubblicano essi siano trasformabili a partire da una spinta esterna. Come, di fatto, è avvenuto con il movimento MAGA (Make America Great Again) di Trump per ciò che riguarda il Partito Repubblicano.

Si può evidenziare come dal punto di vista teorico le risposte di Sanders non siano particolarmente innovative. Si tratta, in una certa misura di un tentativo di applicare un paradigma di ispirazione marxista che negli Stati Uniti non si è mai consolidato ma in Europa è invece andato da tempo entrato in crisi.
Ora tutte le risposte che fornisce Sanders possono, e in effetti sono, oggetto di contestazione da diversi punti di vista.
Negli Stati Uniti ad esempio, David Atkins, un intellettuale vicino ad Elizabeth Warren, l’altra candidata della sinistra alle primarie di quattro anni fa, riteneva che essendo dal punto di vista programmatico gli obbiettivi largamente condivisi, parlare di socialismo servisse solo a spaventare una parte dell’elettorato. Così come lo stesso intellettuale riteneva che, un’identità di classe fosse ormai largamente sopravanzata da altre identità (etnia, genere ecc.) e come tale non più attivabile per costruire una coalizione vincente (Ferrari, 2020).
In Italia abbiamo una corrente teorica, quella vagamente definita come post-operaista che ha contrapposto socialismo e comunismo come due finalità diverse ed opposte e non più come diverse fasi di passaggio verso una stessa finalità sociale. Una posizione espressa in con chiarezza in articolo di Paolo Virno che ho commentato in un testo precedente (Ferrari, 2024).
In occasione della formazione della Linke tedesca si determinò una differenza di approccio tra la componente derivante dal Partito del Socialismo Democratico, che continuava ad utilizzare il richiamo al socialismo, con quella che aveva dato vita alla WASG che invece si limitava a porre l’obbiettivo della “giustizia sociale” contenuto nel nome stesso dell’organizzazione (Damiani, 2016:105))

Ancora più controverso è il tema della classe come identità attivabile nel conflitto politico (Ferrari, 2023). È noto che i principali teorici del populismo di sinistra hanno assunto come punto di partenza il fatto che ormai non ci si possa più basare su una identità di classe, ma solo su una convergenza di diverse richieste sociali in grado di collegarsi tra loro e connesse, fondamentalmente, dalla comune identificazione del nemico. Non ci può essere un “popolo” se non si individua prima “l’anti-popolo”.

Anche per quanto riguarda il “come” si presentano impostazioni molto diverse, tra chi dà il primato al conflitto sociale e alla “rivolta”, chi alle aggregazioni di movimento quali attrici primarie, chi continua ad attribuire un ruolo significativo al partito politico. Anche in questo caso con un ruolo meno ambizioso di quello che sarebbe spettato al “moderno principe” gramsciano ma non di semplice strumento di un soggetto ad esso preesistente.

Come si vede si possono dare risposte molto diverse alle tre domande che ho posto all’inizio.
E qui si chiede a mio parere un secondo passaggio, se si ritiene che esista la necessità di un “grande narrazione”, che attiene alle condizioni della sua costruzione.
Dovendo evidentemente semplificare partirei da una notissima citazione di Marx, tratta dal “18 brumaio”:
“Gli uomini (ndr: oggi evidentemente diremmo gli uomini e le donne) fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione” (Marx, 1976:172, ma originariamente 1852). Per “fatti” io intenderei la struttura socio-economica e per “tradizione” tutto l’insieme delle ideologie, del senso comune, dell’immaginario sociale.

Una “grande narrazione” per non essere del tutto arbitraria e quindi fondamentalmente solo autoconsolatoria deve essere in grado di interpretare proprio il “ma” di Marx. Ovvero la connessione possibile tra la volontà soggettiva e le condizioni oggettive presenti in una determinata fase storica ed anche in una specifica congiuntura.
Questa relazione implica anche che la volontà soggettiva non possa mai essere considerata come totalmente esterna alle condizioni oggettive.
In termini filosofici e scusandomi per la grossolana semplificazione direi che abbiamo innanzitutto il ricorso all’ideale regolativo. Un nucleo permanente di valori e di giudizi morali che guidano l’agire politico quotidiano. L’altra opzione la ricondurrei, anche qui semplificando parecchio, all’idea della volontà di potenza. Le condizioni oggettive sono sempre date e tutto dipende dalla volontà soggettiva che deve solo rendersi conto della sua possibilità di realizzazione.
Il terzo elemento che va considerato, dopo il contenuto della “grande narrazione” e le modalità di una sua costruzione non arbitraria, è il rapporto con l’oggetto primario della politica, ovvero la questione del potere.

Nella visione dei teorici del populismo di sinistra, il tema del potere è posto, ma la “narrazione” tende a collocarsi sul terreno puramente discorsivo, senza un reale fondamento nella struttura sociale. In altre visioni si rischia di trasformare il conflitto politico in un puro confronto tra “narrazioni” alternative. Solo nella misura in cui si trasforma in idee-forza una “grande narrazione” può essere politicamente efficace.

Franco Ferrari

Riferimenti bibliografici

Damiani, M., La sinistra radicale in Europa, 2016, Donzelli.
Ferrari, F., La sinistra USA guarda al dopo Sanders, 2020, Transform! Italia, https://transform-italia.it/la-sinistra-usa-guarda-al-dopo-sanders/.
Ferrari, F., Sinistra senza classi o classi senza sinistra?, 2023, Transform! Italia, https://transform-italia.it/sinistra-senza-classi-o-classi-senza-sinistra/.
Ferrari, F., È tempo di dottrina, 2024, Transform! Italia, https://transform-italia.it/e-tempo-di-dottrina/.
Marx, K., Rivoluzione e reazione in Francia 1848-1850, 1976, Einaudi.
Scassellati, A., Sanders sfida l’übercapitalismo insieme alla classe lavoratrice statunitense, 2024, Transform! Italia, https://transform-italia.it/sanders-sfida-lubercapitalismo-insieme-alla-classe-lavoratrice-statunitense/.

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