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La crisi abitativa ai tempi della pandemia da CoVid-19

di Alessandro
Scassellati

Con la crisi pandemica e la conseguente forte riduzione del reddito, con milioni di persone che hanno perso il lavoro, sono finiti in cassa integrazione o hanno potuto contare solo sui sussidi di disoccupazione, in tutto il mondo si è aggravata la crisi degli alloggi, in molti casi già drammatica. Persone e famiglie che avevano contratto mutui si sono trovate in difficoltà nel pagare le rate, mentre chi era in affitto si è trovato in difficoltà a pagare le spese legate a canone ed utenze. Di recente abbiamo pubblicato un articolo sulla drammatica situazione americana, dove oltre 7 milioni di nuclei familiari sono potenzialmente a rischio di sfratti a breve. Ma, anche in Italia, soprattutto nelle grandi aree metropolitane come quella romana, è aumentato il drammatico fenomeno della morosità incolpevole, foriero del dramma sociale degli sfratti. Nel 2020, in piena pandemia, le nuove sentenze di sfratto emesse sono state 32.500, di cui 28 mila per morosità incolpevole, mentre 5 mila sfratti sono stati eseguiti con la forza pubblica.

Di questi temi abbiamo parlato con Stefano Portelli che è un ricercatore in antropologia urbana affiliato all’Univeristà di Leicester (UK) e un attivista contro gli sfratti da moltissimi anni che milita nell’associazione Sciopero degli Affitti Roma. Portelli ha scritto il libro “La città orizzontale: etnografia di un quartiere ribelle di Barcellona“, sulla demolizione del quartiere di case popolari di Bon Pastor, pubblicato in italiano da Napoli Monitor nel 2017. Fa parte dell’Osservatorio di antropologia del conflitto urbano dell’Università di Barcellona (OACU), ed è redattore del sito web d’informazione Napoli Monitor e della rivista Lo stato delle città.

Alessandro Scassellati (AS): Puoi descrivere le dimensioni e le caratteristiche di questa crisi a livello nazionale?

Stefano Portelli (SP): La cosa più tragica di questa vicenda, a livello sia nazionale che globale, è che non mancano le risorse per evitare la catastrofe. Ci sono sussidi stanziati per aiutare inquilini e inquiline in difficoltà, ci sono fondi stanziati per costruire le case popolari, ma non vengono spesi. Negli USA durante il 2020 il governo federale ha stanziato 46 miliardi di dollari per gli inquilini e le inquiline che non possono pagare l’affitto: fino ad ora poco più del 10% di questi aiuti ha effettivamente raggiunto le persone in difficoltà, il resto è ancora nelle casse dei municipi e degli stati, nonostante i tribunali abbiano ricominciato a eseguire gli sfratti. Le autorità locali non credono alle persone in difficoltà, e preferiscono sfrattare piuttosto che coprire le morosità con fondi pubblici. In Italia la situazione non è affatto migliore: oltre ai fondi nazionali ed europei per la casa, che non sono ancora stati spesi, a Roma ad esempio ci sono ancora migliaia di famiglie che hanno fatto richiesta del minuscolo contributo offerto dal Comune e non l’hanno ricevuto. Gli amministratori hanno deciso di non fidarsi e di chiedere ulteriori documenti, nonostante le indicazioni del ministero siano di erogare i fondi di emergenza e poi avviare cause penali in caso di dichiarazioni false. È inquietante che siano stati versati soldi pubblici a palate alle compagnie aeree, ai tour operator turistici, addirittura a una corporazione neanche più italiana – la FIAT – mentre le persone che rischiano di finire per strada si vedano chiudere le porte in faccia con diffidenza.

AS: Sciopero degli Affitti opera a Roma, anche se sta all’interno di una rete di mobilitazione nazionale, puoi darci una descrizione del disagio abitativo nell’area metropolitana romana? Chi vive a Roma sa che ci sono decine migliaia di persone – individui e famiglie – senza casa, che dormono per strada o nei centri di emergenza/accoglienza, mentre molti altri vivono in situazioni abitative improprie e precarie, come quelle dei palazzi abbandonati occupati per necessità. Tra l’altro sappiamo che questi fenomeni avvengono in una città in cui vi sono circa centomila alloggi disponibili che rimangono inutilizzati perchè banche e proprietari immobiliari richiedono di pagare mutui o affitti ormai insostenibili per gran parte delle famiglie, dei single e degli studenti fuorisede.

SP: I numeri a Roma li ha riassunti di recente un articolo di Sarah Gainsforth: ottomila persone dormono per strada, diecimila in occupazione, dodicimila sono in attesa di una casa popolare, e almeno cinquantamila famiglie hanno richiesto il contributo affitti l’anno scorso. Nella stessa città ci sono centomila case vuote e trentamila affittate ai turisti: su un terzo di queste neanche si pagano le tasse. Nessuna persona sana di mente può vedere un senso in tutto questo – tranne quello di rendere gli alloggi un bene prezioso, per estrarne più profitto possibile, distruggendo le vite di migliaia di persone – soprattutto di persone migranti, donne, persone razzializzate o comunque già oggetto di discriminazione. Siamo arrivati a un punto in cui dobbiamo prendere posizioni chiare contro la violenza immobiliare: non solo contro gli sfratti, ma contro la concentrazione della proprietà. Non abbiamo solo bisogno della moratoria sugli sfratti: bisogna espropriare le case vuote, trasformarle in case popolari, impiegare finalmente i soldi delle tasse dei cittadini per rispondere alle esigenze della popolazione, e non per far arricchire ancora di più chi già possiede troppo. Non sarebbe certo la prima volta – come nel dopoguerra i latifondisti sono stati espropriati con una riforma agraria, ora bisogna fare lo stesso con le case. Tanto più che molto spesso i grandi proprietari neanche pagano le tasse – è ovviamente il caso del Vaticano, che possiede forse un quinto degli immobili italiani – ma possiamo anche rimanere più in basso. Ad esempio, tra le richieste di aiuto arrivate alla rete Sciopero Affitti di Roma, alcune sono famiglie che vivono nei Piani di zona: complessi di appartamenti che il Comune ha fatto costruire a delle cooperative su terreni pubblici, con la condizione che fossero venduti o affittati a prezzi calmierati. Ma il Comune non ha mai controllato, e gran parte di queste cooperative hanno venduto le case a prezzi di mercato, arricchendosi a scapito della collettività. Ora alcuni abitanti di questi palazzi rischiano lo sfratto, e le autorità invece di togliere le concessioni ai costruttori imbroglioni e assegnare le case a chi le abita, stanno dando ragione ai costruttori. Ci sono duecentomila appartamenti di questo tipo in tutta Roma: anche solo restituire queste risorse alla collettività, toglierle a chi ci sta facendo profitti illegittimi, cambierebbe decisamente le carte in tavola.

AS: Che tipo di iniziative ha messo in campo Sciopero degli Affitti Roma? Come funziona lo “sciopero degli affitti”?

SP: Sciopero degli affitti è solo un’espressione che abbiamo iniziato a usare per definire chi si è autoridotto l’affitto o ha smesso di pagare, sin dal primo lockdown. Di fronte alla scelta dolorosa tra smettere di fare la spesa e non pagare l’affitto, centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo hanno scelto di non pagare l’affitto, spesso notificando o negoziando con la proprietà. Anche quando i proprietari sono stati comprensivi, la stragrande maggioranza di queste persone ha vissuto questa scelta come un problema individuale, anche come una vergogna. Chiamarla ‘sciopero’ è un modo di restituire dignità e di ripoliticizzare questa scelta, renderla una questione collettiva. Non è colpa del singolo individuo o della singola famiglia, se c’è stata un’emergenza sanitaria mondiale, e se le autorità hanno ordinato che si fermassero tantissime attività economiche. Perché queste persone dovrebbero sentire l’obbligo morale di pagare l’affitto, se si sono trovate senza reddito senza colpa? Perché la rendita immobiliare dev’essere più tutelata che il diritto ad avere una casa? Il primo passo lo ha fatto un gruppo di studentesse e precarie del quartiere Bolognina, a Bologna: abitando tutte nello stesso palazzo, di proprietà di una stessa compagnia, è stato più facile per loro prendere coscienza del problema, autoridursi l’affitto e aiutarsi a vicenda per negoziare con la proprietà. Da allora, diversi gruppi di inquiline e attivisti di tutta Italia hanno cominciato a condividere materiali, idee, contatti e risorse, in vista dell’arrivo degli sgomberi. Anche se c’era il blocco degli sfratti, i debiti si accumulavano; ora che il blocco sfratti è finito, moltissime persone hanno dato fondo ai loro risparmi in silenzio, hanno esaurito le risorse delle loro reti familiari e amicali, alcune si sono addirittura affidate agli usurai e alla criminalità organizzata. Sono tutte cose che avvengono al di fuori dei dati ufficiali sull’impoverimento della popolazione: gli effetti si vedranno nei prossimi mesi, o anni.

AS: Quale è stata la risposta delle istituzioni nazionali e locali a questa crisi? Oltre al blocco degli sfratti, che tipo di interventi sono stati messi in campo per evitare che il disagio abitativo diventi una “bomba sociale”?

SP: Nessuno, tranne qualche misura di facciata, affidata alla buona volontà dei proprietari immobiliari. L’impressione che ho è che all’interno delle istituzioni venga considerato accettabile, se non addirittura desiderabile, che esploda una bomba sociale. Altrimenti, come si spiega la mancanza non solo di soluzioni, ma anche di discorso, rispetto a una catastrofe economica ed abitativa senza precedenti in tempo di pace? D’altra parte, osservando il tipo di comunicazioni che giungono dall’esecutivo, orientate a fomentare la tensione sociale invece che a smorzarla (si veda l’informazione sui vaccini, interamente orientata a trasformare in capro espiatorio una parte di popolazione, senza alcun effetto positivo sulla campagna vaccinale), non stupirebbe che l’obiettivo sia proprio fomentare la tensione sociale per far degenerare la situazione. Se la popolazione è impegnata in una continua battaglia interna sul green pass, ad esempio, è più facile tenere in ombra il fatto che il PNRR non contiene alcun tipo di proposta di politiche abitative, eccetto il generico ‘housing sociale’, cioè la costruzione di case di proprietà per le classi medie. Ricordiamo che alla presidenza del consiglio abbiamo un ex dipendente del fondo speculativo Goldman Sachs, uno degli attori più potenti nel processo di rapida finanziarizzazione del mercato immobiliare. Eliminare le politiche pubbliche sulla casa e usare i soldi dei cittadini per propiziare la concentrazione di ricchezze private è proprio il tipo di politiche neoliberali che fondi come Goldman Sachs perseguono a livello globale da decenni. Come nella crisi del 2008, uno tsunami di sfratti, l’impoverimento della società, le migliaia di famiglie sul lastrico, l’aumento dei crediti deteriorati da cui “salvare” le banche, saranno strumenti di arricchimento senza precedenti per grandi speculatori come Cerberus, Blackstone, e la stessa Goldman Sachs. Queste imprese si stanno accaparrando centinaia di migliaia di immobili in tutto il mondo, sia pubblici che privati, per aumentare il loro potere.

AS: Negli ultimi decenni, la crisi degli alloggi è stata favorita dalla totale mancanza di una politica pubblica per la casa, dai processi di privatizzazione e finanziarizzazione che hanno portato alle dismissioni del patrimonio degli enti pubblici, alla concentrazione della proprietà immobiliare in mano ai grandi proprietari (in entrambi i casi spesso rappresentati dai grandi fondi immobiliari), nonché alla liberalizzazione del mercato degli affitti privati attraverso l’abolizione dell’equo canone con la legge 431/1998. Lo stesso vale per i/le giovani student* fuori sede che spesso vengono privati del diritto allo studio, e dunque sono obbligati ad abbandonare i propri percorsi formativi, in quanto costretti a ricorrere ad affitti da rapina per un posto letto a causa della scarsità di alloggi e la mancanza di studentati pubblici. Un fenomeno che, peraltro, non fa altro che alimentare quei processi di gentrificazione e studentificazione che favoriscono l’espulsione e la segregazione di intere parti delle nostre città. Roma, come altre grandi città italiane ed europee, è sovrastrutturata per alloggiare ricchi e benestanti, mentre mancano gli alloggi a prezzi accessibili e calmierati per le classi medie e popolari. Il 26 settembre a Berlino si vota un referendum proposto dal movimento degli inquilini sull’esproprio con indennizzo di tutti gli appartamenti dei gruppi immobiliari che ne possiedono più di 3 mila.

SP: Spesso si confonde la gentrificazione con l’apertura di ristorantini vegetariani nei quartieri popolari. È la solita mistificazione. La gentrificazione è la prosecuzione delle recinzioni originarie da cui nasce il capitalismo estrattivo: il progressivo spossessamento dei beni che possiede e usa il popolo da parte di potenti signori in grado di influire sulle politiche pubbliche, per trasformarli in strumenti di profitto. È un processo complesso e arcistudiato, che prevede prima l’abbandono di alcuni quartieri per esasperare la popolazione e far calare i prezzi, poi l’arrivo improvviso di grossi investimenti pubblici e privati che condizionano radicalmente la vita e le scelte delle abitanti. A Roma la gentrificazione è iniziata anche prima che in molte altre città europee, con lo svuotamento del centro storico, culminato nell’espulsione delle classi popolari da quartieri importantissimi come Trastevere e Monti: oggi il centro storico di Roma non è più una città, bensì una macchina per i profitti di pochi proprietari, investitori e tour operator. Non ne posso più di sentir parlare del problema delle periferie: a Roma il vero problema è il centro. La sua bellezza è il prodotto del lavoro di milioni di persone nel corso di millenni, ed è mantenuto con le tasse di tutta la cittadinanza: ma ne traggono beneficio solo una piccola fascia di classi medio-alte, che trattengono confinata fuori dalle mura aureliane l’intera popolazione della città. La gentrificazione ha trasformato Roma in una ciambella, vuota al centro, privando la popolazione delle loro piazze, strade e quartieri, che sono stati regalati all’industria turistica. Questi posti sono importantissimi per la socialità: le piazze sono una parte fondamentale del patrimonio culturale italiano, sono i luoghi in cui gli strati più diversi della popolazione si incontrano, comunicano, litigano anche, ma così facendo mediano le tensioni e i conflitti sociali con lo scambio quotidiano. Una città priva di centro, svuotata, crea una cittadinanza atomizzata, frammentaria e riottosa, preda di terrori e manipolazioni di ogni sorta perché incapace di mantenere i rapporti frontali con chi è diverso da sé. Una città priva di centro è più alienata, perché moltissime persone dipendono dai social network, dai telefoni e dai media per la loro vita sociale e le informazioni; ma è anche più inquinata e insostenibile, perché la gente vive lontano dal proprio posto di lavoro, dai propri amici, dai luoghi della cultura e del divertimento, pesando sulle infrastrutture e affidandosi alla mobilità privata. Bisogna assolutamente invertire questa dinamica, obbligando chi ha case vuote in centro ad affittarle a prezzi calmierati, e iniziare un processo di esproprio delle proprietà troppo concentrate. Per la Costituzione italiana la proprietà privata è limitata dalla sua funzione sociale, e in questo momento le case e i quartieri devono tornare a svolgere la loro funzione come spazi di protezione, benessere e socialità della popolazione più vulnerabile.

AS: Tra l’altro a Roma la spirale speculativa sugli immobili è anche legata ad un flusso turistico che è stato in costante crescita negli ultimi anni e che è legato all’affitto per brevi periodi governato da piattaforme digitali come Airbnb. Che dimensioni ha questo fenomeno a Roma? L’amministrazione municipale di Amsterdam ha deciso di vietare l’affitto turistico di case di nuova costruzione (introducendo la regola del buy-to-live) e una maggiore repressione del subaffitto delle case popolari (che sono il 39% del totale delle abitazioni), che è vietato, come parte di una serie di politiche volte a combattere i prezzi proibitivi delle case, la carenza di alloggi e l’eccessiva saturazione del turismo. Iniziative analoghe sono state prese in diverse altre città turistiche in giro per il mondo. A Roma?

SP: La cosa interessante di queste iniziative per contrastare la speculazione immobiliare e turistica è che sono azioni municipali: non sono gli stati nazionali né le istituzioni internazionali a frenare Airbnb e le grandi catene di alberghi, ma le amministrazioni locali: non solo ad Amsterdam, ma anche a San Francisco, a New York, a Barcellona, esistono leggi più rigide che da noi sugli affitti brevi e sulle licenze alberghiere. Altre iniziative importanti vengono dai parlamenti di regioni autonome che stanno cercando di avere più indipendenza dagli stati nazionali: la Scozia ad agosto ha approvato una legge sul controllo degli affitti e contro gli sfratti, e la Catalogna aveva fatto lo stesso a gennaio, entrambe su pressioni dei movimenti per la casa locali. Non sono un esperto di politiche turistiche a Roma, e rimando a chi ne sa più di me: ma il fatto che in piena pandemia, con la più grande crisi abitativa dal dopoguerra alle porte, l’amministrazione municipale sia orgogliosa di inaugurare un nuovo hotel di Bulgari a piazza Augusto Imperatore, mi sembra l’ennesimo segno del disprezzo per il popolo che hanno i politici che gestiscono la città. Nessuno dei quattro principali candidati a sindaco ha speso una parola verso queste questioni. Fanno tutti parte della stessa élite che ha confinato la popolazione della città lontano dalle zone di pregio, proponendo street art o imbarazzanti pantomime per la legalità nelle periferie, e poi invoca il decoro per impedire di sedersi sulla scalinata di piazza di Spagna. Figuriamoci se potranno mai aiutarci a riconquistare il diritto alla città. Solo la popolazione organizzata può riuscire a riprendersi quello che le è stato sottratto.

AS: A fine aprile, Sciopero degli Affitti Roma, insieme a Movimento per il Diritto all’Abitare – Roma, ASIA-USB e Cambiare Rotta-Noi Restiamo, ha promosso la petizione e la piattaforma “Senza casa non c’è salute” che è stata caricata sulla piattaforma change.org. e presentata al Presidente del Consiglio Mario Draghi ed ai Ministri competenti anche sotto forma di proposta di legge. Puoi indicarci quali sono i punti qualificanti e gli esiti finora ottenuti?

SP: La petizione su change è un passaggio in un percorso più ampio. Dal lockdown di febbraio abbiamo organizzato una serie di incontri online, poi diventati incontri di persona, che abbiamo chiamato “Forum affitti”: abbiamo invitato esperti e rappresentanti di movimenti politici di diversi paesi, cercando di capire come la questione dell’affitto che vedevamo esplodere potesse diventare uno strumento da cui modificare le politiche abitative. Abbiamo capito che le stesse banche e fondi che durante la crisi del 2008 facevano profitti con i mutui subprime, adesso puntano a guadagnare con gli affitti e il turismo, attraverso strutture come le REIT. Abbiamo capito che la proprietà immobiliare in Italia è molto più concentrata di quello che si crede, ma che i dati su questo sono difficilissimi da reperire, o addirittura inesistenti. Abbiamo capito che la mitologia negativa sull’equo canone e sugli affitti calmierati è falsa, e che un controllo pubblico sugli affitti non provoca, come spesso si crede, un calo dell’offerta abitativa. Che in Italia c’è bisogno di un milione di nuove case popolari, che però devono essere prodotte senza nuovo consumo di suolo e di cemento per non alimentare la catastrofe climatica, quindi riutilizzando le strutture abbandonate o infrautilizzate dei grandi proprietari. Che uno degli strumenti di discriminazione abitativa più feroci è l’art. 5 del decreto Lupi, che vincola la residenza al consenso della proprietà, quindi impedisce a chi vive in occupazione, o in situazioni abitative irregolari, di accedere a diritti di base come la salute o l’educazione. Abbiamo capito anche che la grande proprietà manipola i piccoli proprietari, facendo loro credere di difendere i loro interessi chiedendo sfratti e sgomberi e sovrarappresentando gli inquilini “furbetti” – quando è evidente invece che i piccoli proprietari hanno interessi molto più vicini ai loro inquilini che non alle banche e ai fondi speculativi – i veri “furbetti” che tengono il mercato in pugno. Abbiamo discusso di tutte queste questioni a maggio in un convegno nell’occupazione Metropoliz, insieme a ASIA-USB, a Cambiare rotta e al Movimento per l’Abitare: ne sono usciti cinque punti, cinque richieste intorno alle quali deve articolarsi un nuovo piano per la casa. Questa è la base della petizione “LeggeAbitare2021” che faremo circolare nei prossimi mesi, e che vogliamo trasformare in proposta legislativa. I punti centrali sono: 1) blocco di sfratti, sgomberi e pignoramenti; 2) diritto universale alla residenza, abolizione dell’art. 5 del decreto Lupi; 3) rentcontrol, o calmierazione degli affitti in base al reddito degli inquilini e delle inquiline; 4) nuovo piano di edilizia popolare senza nuova costruzione; 5) tassare il vuoto e invertire la gentrificazione.

AS: Quali sono le iniziative di mobilitazione che avete in programma di mettere in campo nelle prossime settimane?

SP: A settembre ricominceranno gli sfratti, che durante l’estate si riducono. Come l’anno scorso, faremo riunioni con le persone che stanno subendo minacce di sfratto, organizzeremo i picchetti per stare vicino a loro mentre affrontano la visita dell’ufficiale giudiziario, e tesseremo nuove reti con le persone che vogliono lottare per la giustizia abitativa. Roma ha una grande tradizione di lotta agli sgomberi, ma questa si è sviluppata soprattutto nelle case popolari e nelle occupazioni. Stiamo estendendo queste pratiche anche agli affitti privati, un settore di popolazione che solo adesso sta rivelando tutta la sua drammatica povertà. Nel frattempo stiamo cercando di elaborare un vademecum contro gli sfratti insieme ad altre realtà italiane che sono parte della rete Sciopero Affitti: da Rentstrike Bologna ai comitati di quartiere di Milano, Brescia, Parma, Firenze, ma anche la rete contro la turistificazione di Napoli, i comitati di abitanti di Messina. E continueremo a condividere pratiche e teorie anti-sfratto con le reti europee e globali come la Habitat International Coalition e Rentvolution EU. Proprio dai contatti con altre realtà europee, in particolare dai sindacati abitanti della Catalogna, abbiamo di recente imparato ad usare uno strumento prezioso per fermare gli sfratti: il ricorso alla Commissione ONU per i diritti umani. Molti non lo sanno, ma l’Italia ha firmato due trattati internazionali che vietano di eseguire sfratti senza alternative abitative. Se si notifica in tempo la violazione, si può richiedere alla Commissione ONU che vigila su questi trattati di intervenire presso il tribunale che ha ordinato lo sfratto e richiederne la sospensione finché la inquilina o l’inquilino non ottiene una casa dignitosa. Abbiamo già compilato quattro di queste domande, ottenendo tre sospensioni, e proprio in questi giorni ne abbiamo compilate altre due. Questo strumento non può sostituire i picchetti e tutti gli altri strumenti con cui fermare gli sfratti; ma la situazione è così grave che bisogna agire – come si diceva un tempo, e per un altro tipo di discriminazione – con ogni mezzo necessario.

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