intersezioni femministe

Judith Butler al Gaza Solidarity Encampment di Bologna

Presentiamo un recente video (con sottotitoli in italiano attivabili cliccando sull’icona sulla destra) di Judith Butler a Bologna, dove la filosofa ha tenuto fra l’altro l’apprezzatissima lectio magistralis intitolata Fascist Passions,  titolo di impatto che vale già il contenuto. Judith Butler, americana di origini ebraiche, partecipa anche a un avvenimento fuori dalle mura universitarie, in un luogo non anodino, dove l’impegno è messo a nudo e non è solo chiacchiera accademica anche queer. È un modo diverso di percorrere i luoghi della parola pubblica e vivere la propria agency nel mondo.

Così dichiarano su facebook i Giovani Palestinesi di Bologna:
Oggi 8 maggio 2024 Judith Butler, dopo una conferenza tenuta all’Università, si è unita al campeggio studentesco di lotta per il popolo p4l3st1n3se in piazza Scaravilli a Bologna e ha parlato contro il g3n0c1d1o in atto e a favore delle lotte anticoloniali e intersezionali che si stanno diffondendo in Italia e in tutto il mondo contro l’ap4rtheid in P4l3st1n4. Moltissimə studentə erano presenti e hanno potuto parlare e intervenire nel dibattito con la grande filosofa.

(Nota: come tutt* forse sanno, ma è sempre meglio specificare, gli strani caratteri con cui sono scritte alcune parole come genocidio o Gaza non sono uno dei tanti deprecati “vizi” dei wokeculturalisti e della cultura gender tanto aborrita anche da alcuni “compagni”, ma semplici modi per non essere sospesi o espulsi da un social politicamente imbarazzante  come facebook ).

Torniamo all’intersezionalità che faticosamente cerchiamo in un percorso di pace, poiché, come ha scritto Judith Butler ne L’alleanza dei corpi ( Nottetempo, 2017, a cura di Federico Zappino):
Mi trovo a riflettere sulle forme di alleanza tra varie minoranze o parti di popolazione considerate dispensabili; più in particolare, sono interessata al modo in cui la precarietà – questo termine intermedio che è anche, in qualche modo, un termine di mediazione – potrebbe operare, o già opera, come luogo di alleanza tra gruppi di persone che, al di là di essa, hanno poco in comune tra loro, o tra i quali vi è talvolta perfino diffidenza e antagonismo. Nonostante la mia attenzione si sia dunque spostata seguendo più o meno questa traiettoria, a non essere mutata è la mia convinzione che le politiche identitarie non siano in grado di esaurire la questione più ampia di cosa significhi, politicamente, vivere insieme, attraverso le differenze […] La nozione di «precarietà» designa quella condizione politicamente indotta per cui determinate persone soffrono più di altre per la perdita delle reti economiche e sociali di sostegno, diventando differenzialmente esposte all’offesa, alla violenza e alla morte. […] Attraverso il concetto di «precarietà» mi riferisco quindi a fasce di popolazione che versano in condizioni di inedia o quasi, alle quali il cibo non è assicurato tutti i giorni […] Ma la precarietà riguarda anche le sex workers transgender, costrette a difendersi dalla violenza di strada o dalle molestie della polizia. E a volte, le stesse persone appartengono contemporaneamente a più d’una di queste categorie […]. Così la precarietà, forse in modo ovvio, si collega direttamente alle norme di genere, dato che sappiamo perfettamente che coloro che non vivono il genere in modi pienamente leggibili sono maggiormente suscettibili di molestie, patologizzazione e violenza.[…] Ciò che a volte definiamo «diritto» di apparizione è tacitamente sostenuto da schemi regolativi che qualificano solo determinati soggetti come degni di esercitare questo diritto. Quindi non conta affatto quanto «universale» tale diritto possa essere ufficialmente dichiarato: il suo universalismo è in realtà particolarizzato da forme differenziali di potere che stabiliscono chi può apparire e chi no. Per coloro che sono considerati «inammissibili» nella sfera dell’apparizione diventa fondamentale allearsi e la lotta deve prevedere un’istanza plurale e performativa di ammissibilità là dove essa non esiste.[…] Quando diventa possibile passeggiare senza protezione e sentirsi sicure, ciò accade perché molte altre persone supportano quel diritto, anche se è esercitato individualmente. Se posso esercitare questo diritto e se esso mi viene riconosciuto, in altre parole, è perché ci sono molti altri che lo stanno esercitando a loro volta, anche se non in questo stesso momento. Ogni «io» prevede un «noi».[…] Cosa significa rivendicare diritti quando non se ne ha nessuno? Significa rivendicare il potere che ci viene negato, per mettere in evidenza la negazione e combatterla…

Paola Guazzo

Qui il video del momento bolognese:

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