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Jin, jiyan, azadi

di Anna
Camposampiero

Domenica 14 maggio si vota per le presidenziali in Turchia. Sono tante le speranze che aleggiano su questo voto. Vent’anni di governo di Erdoğan hanno lasciato segni, autoritarismo, spostamento verso un regime sempre più islamico.
Le persone con cittadinanza turca residenti all’estero hanno già votato nel precedente fine settimana.
Lunghe code fuori dai Consolati, con la militanza curda che ha accompagnato, fatto campagna, sostenuto la partecipazione e il voto.

“Noi siamo la garanzia del paese. Iniziano ad attaccare mentre perdono e sfortunatamente non sanno che perderanno mentre attaccano”.  Sono le parole di Pervin Buldan, co-presidente di HDP durante una delle ultime manifestazioni elettorali del Partito della Sinistra Verde, Yeşil Sol Parti, la formazione nella quale sono confluite le candidate e i candidati di HDP. É stata una scelta saggia, considerato che HDP ha un processo in corso, il “Kobani Case” con cui Recep Tayyip Erdoğan vuole riuscire a mettere fuorilegge HDP, il Partito Democratico dei Popoli, forse perchè non ha piú spazi nelle proprie prigioni piene di prigionieri politici tra eletti, militanti, sindaci. Il “Kobani Case” è stato presentato nel 2020, contro 108 persone tra cui gli ex co-presidenti Demirtas Selahattin e Figen Yüksekdağ, la stessa attuale co-presidente Pervin Buldan, diversi deputati e deputate e sindaci ed ex sindaci di HDP. L’ennesimo tentativo di togliere dalla competizione elettorale il partito sostenuto e di cui fa parte la maggior parte della popolazione curda, e che corrisponde a un bacino di circa 13% dei voti.

La formazione Yeşil Sol Parti, il Partito Verde di Sinistra, dà appoggio esterno alla coalizione tra Partito Popolare Repubblicano (CHP), e il Partito del Bene Comune (Iyi) e altre quattro formazioni minori. Una coalizione variegata che ha trovato in Kemal Kılıçdaroğlu, leader di CHP (partito di centrosinistra e laico) il candidato da contrapporre al presidente uscente Erdoğan e del suo partito Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP (Partito per la giustizia e lo sviluppo).
Kılıçdaroğlu, 74enne, economista, ha una lunga carriera politica alle spalle. Come Erdoğan rivendica l’eredità di Mustafa Kemal Ataturk, ma con la marcata differenza di avere una attitudine democratica molto più marcata, e sicuramente più laica di quella del Sultano, come viene definito Erdoğan.

La relazione tra Chp e il popolo curdo ha giá dato buoni risultati, garantendo nel 2019 con un accordo strategico la vittoria alle amministrative di Istanbul e Ankara, rafforzando così la leadership di Kılıçdaroğlu come principale nemico di Erdoğan, e facendogli incassare una bruciante sconfitta.
Erdoğan, sulla cui salute sono circolate voci in questi ultimi giorni, punta tutto sul nazionalismo, sulla centralità della Turchia e il ruolo che è riuscito ad assumere anche nel recente conflitto tra Russia e Ucraina, collocandosi in politica estera tra Nato, Usa, Russia e Cina, facendo dimenticare al mondo occidentale il suo ruolo con le persone migranti che premono sulle frontiere europee, o l’uscita della Turchia dalla Convenzione di Instanbul o – come citato sopra – la persecuzione contro la popolazione curda e i suoi leader. Peraltro non va dimenticato come in questi anni Erdogan abbia tentato e stia ancora operando per ampliare il ruolo di potenza regionale della Turchia mediante interventi economici, politici e militari nel continente africano (soprattutto in Libia e nel Corno d’Africa), nel nord della Siria, dove nonostante il sisma si continua a combattere, persino nell’Afghanistan dimenticato dall’Europa e dal mondo.

L’opposizione affonda la sua campagna nella crisi economica e l’inflazione galoppante all’85% e su tutta la gestione disastrosa del terremoto in particolare nell’area a maggioranza curda. Una catastrofe che ha causato più di 50.000 vittime e danni incalcolabili su cui è pesato il ritardo negli aiuti o gli invii selettivi, dimenticando intere zone del paese, in particolare quelle a maggioranza curda. Sono azioni che pesano inevitabilmente sulle intenzioni di voto.
Nonostante siano quattro i candidati in lizza, la polarizzazione è tra i due principali, con uno scontro che ha visto recentemente Kılıçdaroğlu in vantaggio nei sondaggi.
Forse per questo le azioni repressive di Erdoğan si fanno ogni giorno piú intense. A fine aprile sono stati arrestati 120 tra attivisti e attiviste, giornalisti, avvocati e militanti curdi.

Speriamo che con queste elezioni si volti pagina rispetto ai lunghi anni di repressione (sono circa 350.000 i/le prigionieri/e politici detenuti nelle carceri turche) e si possa finalmente aprire un cammino verso una soluzione democratica e di pace per il popolo curdo.

I comizi elettorali si chiudono con il popolo che urla “Jin, jiyan, azadi”.
E noi vogliamo gridare con loro: donna, vita, libertà.

Anna Camposampiero

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