articoli, vicino-oriente

Iraq, sesto giorno di rivolta

di Fabio
Alberti

Il Governo corre ai ripari, ma forse non basta

Sabato e domenica, mentre proseguivano le manifestazioni e gli scontri in tutto il centro e il sud del paese (nel nord kurdo e sunnita non si è ancora mosso nulla di significativo) sono stati i giorni dei posizionamenti, delle prese di posizione, degli schieramenti e dei tentativi di sedare la rivolta con nuove promesse.

Le proteste sono state di grande ampiezza e violenza nella giornata di sabato nella quale i morti sono diventati 94, per superare poi il centinaio nella giornata seguente. I feriti sono ormai oltre 6000. Domenica è stata invece una giornata di relativa calma con le manifestazioni che sono scemate in quello che sembra essere un momento di attesa.

Le dimissioni del Governo e le elezioni anticipate sono state richieste dai partiti di opposizione, ma anche dal movimento sadrista, che il governo lo aveva votato, come anche il partito comunista che ha reso noto di aver 16 militanti arrestati. Tutti partiti di maggioranza hanno comunque dato praticamente carta bianca al Governo perché risponda con provvedimenti immediati alle richieste dei manifestanti.

Sabato il presidente del parlamento aveva incontrato un centinaio di presunti organizzatori delle manifestazioni – non riconosciuti peraltro come rappresentanti da una parte dei manifestanti – rilasciando grandi promesse che il PDK, maggiore partito kurdo, ha subito definito irrealistiche.

Ieri è stata la volta del Governo ha preso un primo decreto volto a rispondere alla rivolta. Si tratta di 17 provvedimenti di un certo peso ed apparentemente esecutivi a breve, tra cui la realizzazione di 100.000 abitazioni popolari e la distribuzione di terreni edificabili e mutui agevolati a famiglie povere; sovvenzione e formazione professionale per 300.000 disoccupati; concessione di stalli mercatali in mercati pubblici per un totale di 45.000 posti di lavoro; assunzioni nelle forze armate e nella scuola; esenzioni dai canoni agricoli; salario sociale per 600.000 famiglie, trattamento sanitario gratuito dei feriti e assistenza alle famiglie dei morti durante le manifestazioni.

Un secondo decreto è annunciato per la prossima settimana, ma per ora non c’è nulla di concreto su due temi che sono stati al centro delle manifestazioni e che sono considerate le cause sistemi che della situazione economica irachena: la lotta alla corruzione e la fine del sistema delle quote settarie.

In particolare non c’è una risposta alla richiesta reiterata dal Grand Ayatollah Al Sistani di costituzione di una commissione indipendente formata da esponenti non dei partiti che elabori i provvedimenti necessari per la lotta alla corruzione.

Si capirà nei prossimi giorni se questo basterà per sgonfiare la protesta e vuotare le piazze o se – dopo la delusione per il mancato mantenimento degli impegni che seguirono alla precedente ondata di proteste – prevarrà l’ala che chiede nulla di meno della caduta del regime. Anche perché è già visibile che nella vicenda intervengono ed interverranno le potenze estere che si contendono il controllo del paese, Iran, Arabia Saudita e Stati Uniti.

La repubblica islamica è evidentemente preoccupata per il tono antisettario che stanno prendendo le proteste, che mettono sotto accusa esplicitamente le interferenze Iraniane nel paese, in particolare perché provengono da settori sciiti della popolazione e dopo un paio di giorni di prudenza ha esplicitamente accusato l’Arabia e gli Usa di aver organizzato la rivolta e richiesto una mano ferma nella repressione. Di converso Gran Bretagna e Stati Uniti vedono la possibilità di mettere in difficoltà l’Iran e si sono espressi contro la repressione e chiedendo la punizione dei responsabili delle uccisioni in piazza. Questi interessi

Intanto si registrano a Baghdad episodi inquietanti. Uomini armati e mascherati hanno assaltato un gran numero di televisioni e giornali intimando di non dare copertura mediatica agli avvenimenti in corso nelle piazze. Sono stati segnalati attacchi alla tv saudita Al-Arabia, Al-Furat, TV legata ad un blocco sciita considerato non favorevole all’Iran e a numerose altre televisioni. Cecchini non identificati dai tetti delle case sembra hanno preso di mira sia i manifestanti che le forze di polizia. Alcuni settori delle manifestazioni hanno innalzato cartelli e slogan del generale Saadi, ex capo delle forze antiterrorismo invocandone la presa del potere e il colpo di stato.

La situazione è fluida, la rivolta continua, il pericolo di internazionalizzazione è alto, la solidarietà è necessaria.

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