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Iraq, inizia la seconda settimana di rivolta

di Fabio
Alberti

di Fabio Alberti –

In Iraq, entrato martedì nella seconda settimana di proteste, stanno cominciando ad affluire i pellegrini dell’Arba’een, la ricorrenza religiosa sciita che si celebra in commemorazione dalla uccisione dell’imam Al-Husayn e che si terrà quest’ anno il 19 ottobre. Si tratta di un imponente pellegrinaggio verso Kerbala, la città santa sciita. Dall’Iran sono attesi 2 milioni e mezzo di pellegrini.

Per l’occasione alcuni coordinamenti hanno annunciato la sospensione delle manifestazioni sino al compimento della festa per permettere il libero flusso dei pellegrini. Altri gruppi hanno dichiarato che le manifestazioni continueranno. E stanno in effetti per ora continuando anche se con minore intensità. A Baghdad le manifestazioni si stanno decentralizzando e si sono tenute in diversi quartieri della capitale organizzate su internet che è stato ripristinato nella giornata di lunedì e poi nuovamente interrotto.

Martedì è stata, in generale, una giornata di relativa calma. Ciò forse favorito anche dai 17 provvedimenti, principalmente per casa, disoccupazione e sussidi per i poveri, decretati sabato dal Governo e votati lunedì dal Parlamento, che dovrebbero venire incontro alle richieste dei manifestanti. Un coordinamento organizzativo di Baghdad abbia invece dichiarato che la lotta continuerà sino alla caduta del regime.

Il Governo per conto suo ha annunciato martedì sera un secondo pacchetto di provvedimenti contro la disoccupazione e la povertà e il Parlamento ha deciso di sospendere i consigli provinciali in attesa delle nuove elezioni che si terranno in primavera.

Gli scontri sono invece continuati a Sadr City. Stanotte nel sobborgo popolare di Baghdad abitato da tre milioni di persone, in gran parte sciiti e roccaforte nella capitale di Muqtada al Sadr è stato ucciso un poliziotto e feriti altri 4. Ma è domenica notte che la repressione è stata particolarmente aspra.

Domenica i giovani si sono cominciati a radunare a Sadr City nella serata. C’è stato un confronto con l’esercito. “Sparavano in aria – testimonia un manifestante – poi improvvisamente un ufficiale ha aperto il fuoco ad altezza d’uomo” ed è stata una carneficina. Sul terreno sono rimasti 15 ragazzi.

Nel paese le vittime sono ormai 120, 6000 i feriti, 800 gli arrestati, di cui 500 sembra siano stati rilasciati. Secondo un funzionario del ministero della salute il bilancio sarebbe ancora peggiore: 165 morti.

La notizia del massacro di Sadr City ha tenuto banco tutta la giornata di lunedì. Nel pomeriggio il Governo ha ammesso “l’uso sproporzionato della forza”, e promesso un’inchiesta e la punizione dei responsabili ed ha ritirato l’esercito da Sadr City, sostituito con le forze di polizia. A Baghdad e nel sud vi sono stati alcuni arresti di ufficiali dell’esercito incolpati di aver aperto il fuoco sulla folla.

Ma chi sparava a Sadr City? E chi spara sui manifestanti? Testimonianze riportate sui social e sulla stampa, oltre che di polizia ed esercito, parlano di persone in abiti civili, mascherate. Nelle manifestazioni si punta il dito sull’Iran e sulle milizie legate all’Iran. La presenza di elementi paramilitari viene segnalata in più parti.

La questione della interferenza esterna si ripresenta ancora, in un paese in cui il nome del primo ministro è stato, di fatto, concordato tra Usa e Iran. Il rischio che venga indotta una dinamica di scontro armato, che spazzerebbe via di fatto il movimento di protesta, è presente.

Ieri visita lampo del ministro degli esteri russo Lavrov, ufficialmente per concludere accordi economici e di assistenza militare e telefonata al primo ministro Mahdi del Segretario di Stato Mike Pompeo. Ambedue hanno chiesto moderazione e fine delle violenze. L’Iran invece ha rinnovato l’accusa di un complotto occidentale dietro alle manifestazioni e ha annunciato che l’invio di 7500 soldati, muniti di droni, in Iraq per “tutelare i pellegrini” dell’Arba’een.

Ma i segnali di nervosismo iraniano trapelano anche dalla dichiarazione dello sceicco Al Fayyad, capo delle Forze di Mobilitazione Popolare, che ha detto che le sue milizie “sono pronte ad intervenire in caso di insurrezione se verrà richiesto dal Governo “. Le PMF sono milizie sciite formatesi dopo la conquista di Mosul da parte di Daesh per partecipare alla liberazione del paese e considerate molto vicine all’Iran.

“Ne sciiti né sunniti ma iracheni”, risuona nei cortei una nota nazionale. La rivolta irachena e la rivolta dei millennial, e i minori di 24 sono i l 60% della popolazione. Sono ragazzi nati e cresciuti nel dopo Saddam che sono scesi in piazza. Quelli che non hanno conosciuto null’altro che il caos interno, la divisione settaria del paese la corruzione dilagante. Quelli che non hanno avuto ideologie e che sembrano ora liberarsi anche delle religioni. Quelli che hanno aspettato che qualcosa cambiasse e che la vita assumesse una sembianza di normalità dopo anni di guerra civile e della lotta a Daesh.

Ora, sembrano dire rivolti a tutti i partiti accomunati dall’inefficacia delle politiche e dalla pratica della corruzione, “non avete più scuse”. Se il 40% della popolazione è sotto la soglia della povertà, se i proventi del petrolio, 5 milioni di barili al giorno, spariscono nel buco nero della corruzione, se per avere un posto di lavoro bisogna fare affidamento alle quote settarie, se non ci sono case e manca l’elettricità. Ora non avete più scuse, se questo accade è colpa vostra: dei partiti che hanno gestito il potere, delle religioni, dei paesi che si contendono il controllo dell’Iraq.

La rivolta continua, Usa e Iran permettendo.

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