“A Valerio Evangelisti”, si legge in testa al nuovo romanzo di Lorenzo Ciampi, Io sono il princeps, edizioni Helicon.
“Tutto ciò che posso dirvi è che non conoscete i re… Non c’è potere che non sia tirannico e non c’è tiranno che segua altro che la propria convenienza.”
È la citazione da Il castello di Eymerich che premette all’inizio della storia. Che poi, come dice il titolo, è la ricerca del principe, del chi comanda qui, come e perché.
Siamo sull’isola senza nome, un luogo distopico dove c’è il carcere che rinchiude l’anziano Giuseppe Calopresti, che abbiamo già visto capitanare la rivolta nel centro diurno RSA “La speranza” ne Il club degli anziani, il primo romanzo di Ciampi, cinquantenne che nella vita fa l’operatore socio-assistenziale.
Dopo La città dei matti, il secondo romanzo che ho avuto il piacere di recensire sempre su transform e che ci precipitava in un caleidoscopio di “surrealismo leninista”, ora è il tempo dell’isola senza nome che ci mostra un mondo fatto di carcere, un gigantesco grande magazzino per il consumismo più alienato e alienante, di uomini senza vita (e senza carta di credito), di centri di recupero (al consumare), di poteri senza anima, di rivoltosi. Da Machiavelli, a i’Savonarola, alla regina Antonietta è un mondo feudale che assomiglia terribilmente a quello in cui viviamo. Con tanto di mafiosi, ottimati, la gens salumi e porchetta, religiosi che spartiscono il potere politico e economico, le ambizioni di comando. Di successioni. E di intrighi.
Niente a che vedere con L’isola delle rose, l’isola artificiale creata negli anni ’50 a largo delle coste emiliane da un ingegnere che credeva nell’esperanto e da cui il regista Sibilia ha tratto un bel film recente. Né con le isole di Peter Pan, quella non trovata di Guccini o che non c’è di Bennato.
Qui l’isola c’è, è il nostro incubo quotidiano da cui gli straordinari personaggi e lo straordinario linguaggio e l’inventiva e la cultura di Lorenzo Ciampi vogliono aiutarci ad evadere. Quello che tenta di fare Davide Foster Wallace con la linguistica creativa e le note sterminate in Infinite jest, il mondo dal calendario sponsorizzato dai marchi pubblicitari.
Stavolta però Ciampi va oltre i giochi di lingua e fantasia e inscena un vero scontro dove a guidare il nostro eroe ci sono Machiavelli e Togliatti, Mohammed Ali e Gramsci. E non manca certo la durezza tra ottimati, mafiosi e chi si vuole ribellare.
Chi guida la rivolta che deve farsi rivoluzione è lui, Giuseppe Calopresti, ottantenne ancora capace di procreare.
Che poi è un po’ Spartaco, un po’ Cesare, un po’ esperto di buste paga grazie ai corsi Fiom. La truppa è variegata. Sono i nuovi guelfi bianchi (quelli storicamente più legati al popolo), i suoi generali. Lo scenario non è la giungla del Che ma una sorta di Gotham City.
Il potere ha le sembianze di un mix tra medioevo e una modernità desolante di merci, modi di essere, strumenti tecnologici e massmediatici. Comandano un re non proclamato e un consiglio di amministrazione. Gli intrighi dinastici, economici, famigliari si aggrovigliano seguendo la fantasia di Ciampi.
Ad un certo punto c’è anche una storia gialla.
Che non è una storia qualunque ma l’occasione per portare sul palcoscenico un’altra figura dominante, femminile, fin lì celata dietro una anonima vice capo dei vigili urbani. Che, con un volo di fantasia, si scopre figlia della regina delle Amazzoni, la principessa Diana.
Si scopre così che l’isola senza nome è in realtà Themyscira, l’isola fantastica delle Amazzoni e di Wonder Woman. Le giovani Amazzoni però male interpretando l’idea di libertà e “tradendo” la loro regina e le anziane hanno aperto la porta al consumismo e al potere di quello che sarà Federico primo, il costruttore del grande magazzino.
Intanto lo scontro per “riportare l’ordine” procede con l’intervento dal continente di un generale dai metodi “discutibili”. Nel racconto gli elementi fantastici si intrecciano a quelli che possono apparire più segnati dalla “realtà” e, forse, ciò pone questioni più controverse come sempre accade con la Storia.
È il fantastico ciò che rende più dirompente lo scrivere di Ciampi.
Il finale è un gran carosello di personaggi tra Lady Oscar, dai fumetti, il conte Von Fersen nella Storia amante di Maria Antonietta, le Amazzoni, Ungaretti, ancora i nuovi guelfi di parte bianca, i francesi e tanti altri. Di discussioni sul comando, l’omosessualità e il dongiovannismo, la competizione e la cooperazione, Darwin e quant’altro. E di eventi, tra rivoluzioni, restaurazioni e consumismo massmediatico.
Cosa ne sarà del grande magazzino e del re non eletto? Chi sarà il princeps? Questo non lo posso dire perché sarebbe spoiler.
Roberto Musacchio