di Roberto Morea – La fase della crisi che stiamo attraversando mette in luce alcuni elementi di carattere nazional-popolare, che rimandano a storie e attitudini già viste.
Il richiamo alla Patria, gli inni cantati dai balconi, le bandiere tricolori, i “messaggi social” con cui si ricorda il valore della nostra cultura, tutto questo accompagna la guerra al fronte dei “nostri” medici e infermieri, la richiesta dell’esercito per fermare i pericolosi runner e persone che, emigrate per necessità, cercano di tornare alle proprie radici, l’utilizzo dei droni per il controllo del territorio, in attesa di speciali applicazioni che tracceranno le strade, i percorsi, e forse i profili di ciascun proprietario di smartphone, tutto questo ha dei risvolti che non condivido.
Già la definizione di questo stato di emergenza come “guerra”, spinge e apparecchia la tavola a una serie di atteggiamenti che sono davvero pericolosi.
La crisi dell’epidemia divenuta pandemia e ampiamente prevista dalla organizzazione sanitaria mondiale, ha degli elementi di colpa, nel modo con cui si è propagata, che sono evidenti nella gestione di quella “finestra di opportunità” che si è aperta dalla prima dichiarazione delle autorità cinesi a quando si è manifestato il primo caso da noi. Sul nostro sito trovate i piani predisposti dall’OMS e il video di Vittorio Agnoletto che pubblichiamo in questo numero spiega di cosa parliamo.
Quindi dichiarando una guerra si istituisce un ministero della guerra chiamato “protezione civile”, mi direte non è nuovo, vi rispondo, infatti. Non è nuovo, era successo per il terremoto e per altre calamità naturali, che la centralità dell’emergenza venga messa nelle mani di un apposito ministero, che gestisca lo stato d’emergenza, bypassando il ruolo delle istituzioni democratiche e soprattutto fornendo uno scudo alle critiche per come si è gestito il prima della crisi.
Una faccia nuova per nascondere gli errori dei ministeri che avrebbero dovuto fare gli interventi necessari e ampiamente previsti.
Nessuno può chiedere a commissario il perché prima non sia stato fatto questo o quello, tutti siamo chiamati ad obbedire (tacendo) alle disposizioni necessarie a far fronte alla guerra.
Posso dire che io non ci sto?
Posso dire che è una vergogna che i medici siano mandati in guerra a mani nude?
Posso dire che mi fa schifo questa retorica nazionalista che serve solo a coprire trenta anni di smantellamento del ruolo del Pubblico a favore degli interessi privati, nella Sanità come nelle atre cose?
Posso dire che farebbe ridere, se la situazione non fosse così grave, che ad invocare il ruolo del Parlamento siano quelli che fino a ieri invocavano il presidenzialismo e i pieni poteri?
Posso dire che mi fanno schifo tutti quei conduttori televisivi che invocano il #iorestoacasa per tutti meno per chi va in fabbrica, anche se continuano a fabbricare armi?
Per questo non mi sento italiano, non mi sento di unirmi al coro e non mi sento di restare in silenzio per l’interesse più alto per remare tutti nella stessa direzione.
Non è questo quello che serve, serve cambiare rotta, serve cancellare le politiche che ci hanno messo in questa condizione, nel nostro paese e in Europa.
Serve una mobilitazione generale che faccia capire che per ricostruire l’economia, del paese e dell’Europa, si deve mettere al centro l’interesse delle persone e cancellare il ruolo della finanza e della speculazione, che ancora oggi si aggira come un pescecane per approfittare della preda in difficoltà.
Solo se saremo capaci di vedere le cose per quello che sono potremo cambiare veramente e non essere costrette al “business as usual” una volta finita l’emergenza.
2 Commenti. Nuovo commento
Dove sono i nostri intelletuali,queste riflessioni dovrebbero ricordargli il loro ruolo.FATEVI SENTIRE.
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