Rosa Rinaldi, attualmente presidente del Comitato Politico Nazionale di Rifondazione Comunista, candidata Presidente alle elezioni regionali del Lazio per Unione Popolare, ha una profonda conoscenza del funzionamento delle istituzioni, locali e nazionali. Nella sua biografia politica la militanza nel PCI, fino al suo scioglimento, si fonde con quella sindacale nella CGIL, e la porta a far parte della segreteria nazionale della CGIL Funzione Pubblica e della Direzione nazionale della CGIL in rappresentanza dell’area congressuale Essere Sindacato dopo il congresso. Nel 2000 sarà chiamata ad un incarico nella Direzione nazionale della FIOM. Nel 2003 Rifondazione Comunista le propone di assumere la carica di Vicepresidente della Provincia di Roma, incarico che interrompe nel 2006 perché proposta quale sottosegretaria al ministero del Lavoro durante il secondo governo Prodi. Gli anni nelle istituzioni e nel sindacato le fanno maturare competenze che ha messo a disposizione del partito, delle innumerevoli associazioni e movimenti e, oggi, in Unione Popolare per cui è stata candidata al Senato nelle elezioni politiche del 25 settembre. La lista per cui oggi è candidata a Presidente della Regione Lazio è giovane, composta da uomini e donne soprattutto impegnate/i in battaglie sociali, che fanno della militanza attiva un’esperienza spesso totalizzante della propria vita. Rosa Rinaldi racconta di come ha accettato una scelta tanto impegnativa quanto faticosa, ma di cui si comincia a discutere anche fuori dalla bolla del mondo della sinistra di alternativa : «Parto da una consapevolezza che potrebbe suonare come ambiziosa. Sono convinta che nella Regione Lazio, come in tante altre Regioni, ci sarebbe bisogno di una vera e propria rivoluzione. Non è un termine che uso facilmente o a caso, le parole sono importanti e non vanno abusate. Io già da tempo partecipo, nei comitati nazionali, ad una lotta che ritengo dirimente, quella contro qualsiasi forma di autonomia regionale differenziata. Ritengo che questo disegno aggravi quella che è la vera piaga del Paese: l’aumento spropositato delle diseguaglianze. Ho accettato la candidatura, con spirito di servizio, perché penso ci sia bisogno di tutt’altra politica che abbia, per esempio, l’obiettivo di salvaguardare l’ambiente e sia capace di contrastare i danni compiuti. Penso, un mio pallino, che occorra una gestione dei rifiuti che operi per il recupero e il riuso delle materie, su cui innestare vere e proprie politiche di innovazione. Un intervento simile si può tradurre nella creazione di lavoro e di investimento soprattutto sul futuro dei giovani, sulle competenze e conoscenze che molte/i di loro maturano all’interno delle università ma che poi non vengono valorizzate. Insisto molto su questo tema perché non accetto che con i rifiuti si debbano arricchire le mafie e non si possa, viceversa, lavorare, nelle istituzioni, per favorire studi e ricerche. Ci leggo una contrapposizione netta fra “mafie” e giovani. Ritengo per questo che l’inceneritore che tanto vogliono alcune forze politiche ed economiche che aspirano a “comandare” la Regione, non costituisca la cura per lo smaltimento dei rifiuti ma ne rappresenti la malattia».
Ma come ben sa un’esperta nelle istituzioni come Rosa Rinaldi, buona parte sia del bilancio sia dei poteri regionali sono legati in maniera diretta alla sanità. Ed è, anche su questo che l’intervento che Unione Popolare propone non ammette indugi: «Negli ultimi decenni ci sono stati tagli economici significativi ai servizi. Continua e si perpetua la loro privatizzazione, il ricorso alla “convenzione col privato” evitando ogni tipo di investimento negli ospedali pubblici e nei poliambulatori. Questo determina una spesa fuori controllo, si arricchiscono le strutture private e contemporaneamente soffre la sanità pubblica. In un perverso combinato disposto non solo non c’è adeguato intervento sulla sanità pubblica, ma questo avviene tanto per cattive politiche nei confronti del personale, quanto per tagli e riduzione dei servizi: una volta si appaltavano alcuni servizi, mense, lavanderie, oggi si appaltano turni di lavoro nelle corsie, nelle sale operatorie ecc., un vero e proprio scandalo! Mentre è quasi del tutto assente la manutenzione delle stesse strutture esistenti.
Unione Popolare si candida a rimettere al centro la sanità pubblica e l’intervento diretto del servizio pubblico perché non abbiamo dimenticato. La pandemia di Covid ci ha definitivamente mostrato che il “re è nudo” di fronte ad un’emergenza come quella che abbiamo vissuto e che non è scomparsa, il servizio privato è semplicemente sparito dai radar perché inadeguato e incapace di farvi fronte, perché sguarniti di terapie intensive che certo non sono remunerative ma salvano vite. Il servizio pubblico, nonostante sia così malmesso, ha fatto fronte con sacrifici enormi del personale e ha fotografato il dramma di 30 anni almeno di disinvestimento di danaro pubblico e tagli al personale. Non siamo nostalgici del passato ma continueremo, dentro e fuori le istituzioni, a rivendicare un Servizio sanitario nazionale come previsto dalla legge 833 del 1978 e ci opporremo con ogni mezzo ad ulteriori ipotesi di regionalizzazione come previsto dal ddl sull’autonomia regionale differenziata. E alla domanda del perché le condizioni siano così drammatiche c’è una risposta indubbia. Le politiche sanitarie sono da troppo tempo dettate da mere politiche di “cassa”. Nel Lazio, come in altre regioni ed indipendentemente dal colore di cui si sono ammantate le giunte, sono stati chiusi gli ospedali più piccoli o di aree interne per l’unica ragione che erano ritenuti antieconomici, non garantiscono sufficiente profitto! Come in Lombardia, dove per UP è candidata la nostra compagna Mara Ghidorzi, si è scelto di costruire grandi nosocomi, che siano essi pubblici o privati (ma spesso la scelta è caduta sul privato), unicamente nelle grandi aree urbane. Strutture che, si badi bene, garantiscono alte specializzazioni, anche di eccellenza, per talune patologie ma a scapito della cura per malattie meno remunerative o per l’intervento di prevenzione. Anche nel Lazio è più facile ormai trovare specialisti in campi innovativi che non per normali interventi di routine. Questo non accade per una improvvisa passione per la ricerca ma in quanto le prestazioni ordinarie fanno incassare meno l’ospedale che nel frattempo è diventato un’azienda. Noi ci candidiamo perché vogliamo sovvertire quest’ordine rendendo prioritaria la logica del servizio».
Il candidato del centro sinistra e del terzo polo sta già cercando di far valere come credenziali per essere rieletto, il funzionamento del piano vaccinale durante la pandemia, sottacendo i tanti tagli alla sanità pubblica di cui è stata protagonista la passata amministrazione, Rosa Rinaldi risponde in maniera netta a queste osservazioni: «Anche nel Pnrr si afferma che in tutto il Paese manca una sanità di prossimità. Questo significa che non si possono lasciare vaste aree di una regione, prive di presidi sanitari. Noi dobbiamo lavorare perché con questi fondi si riportino i servizi pubblici vicino alle cittadine e ai cittadini, l’esatto contrario di quanto si è fatto e si vuole fare seguendo il “modello Lombardia”. Poi è possibile che in una situazione di emergenza Roma abbia funzionato meglio di Milano ma, quello che posso e debbo dire è che oggi, la condizione di rispetto della salute dei cittadini non è degna di un Paese civile. Oggi, come prima del Covid, per una visita specialistica spesso bisogna attendere oltre un anno. Nel periodo in cui sono stata responsabile Sanità nel mio partito lanciammo una campagna contro le liste d’attesa in diversi territori, arrivando, in casi di urgenza, ad attuare pressioni dirette verso i direttori generali delle ASL, partendo dal presupposto che le prestazioni non possono essere negate e, in caso di non capienza, vanno sospese (nelle strutture pubbliche) le attività intramoenia, come del resto previsto da legge. L’assenza di informazione e la non conoscenza hanno sempre fatto comodo a lorsignori. Intendiamo riprendere queste nostre iniziative perché la sanità, in particolare quella pubblica, deve rispondere in tempi decenti alle necessità di interventi, visite, prestazioni di cui le cittadine e i cittadini hanno bisogno e rivendichiamo che questo deve diventare prioritario. Deve poi esserci una trasparenza, rispetto alle capienze delle liste per le prestazioni specialistiche di qualsiasi natura, dal cardiologo all’ortopedico. Una trasparenza che oggi non esiste».
La candidata di Unione Popolare insiste molto sui danni causati al ridimensionamento del personale medico e paramedico, ma non solo: «La pandemia ha messo in evidenza una carenza impressionante nelle strutture pubbliche. Abbiamo pagato una politica universitaria che ha imposto il blocco per l’accesso ad alcune specializzazioni (il numero chiuso), che ha fatto il paio con l’insufficienza di personale infermieristico. Le strutture di sanità privata, anche convenzionata, non hanno fatto fronte all’emergenza costringendo il pubblico ad una ricerca spasmodica di personale. Sono stati richiamati in servizio persone in pensione, c’è stato un uso disinvolto del pagamento “a gettone”, proprio a causa del sottodimensionamento delle piante organiche. Anche nel personale medico e infermieristico, costretto a turni di lavoro impressionanti, ci si difende, magari associandosi in cooperative e trasformandosi in “personale a gettone”. Per questa via è evidente la grave mutazione della relazione tra medico e paziente. Noi donne siamo quelle che pagano di più il danno di una sanità basata su logiche privatistiche e di mercato. La prevenzione, l’autodeterminazione e la salute delle donne, ad esempio, necessitano che una legge dello Stato come quella sulla IVG (legge 194) possa essere applicata e questo è un tema che riguarda la Regione e i direttori sanitari. Occorre, quindi, attuare una politica di prevenzione che garantisca la possibilità di autodeterminazione delle donne sulla maternità, che permetta di poter scegliere ed è necessario lo sviluppo di servizi consultoriali per la prevenzione di malattie specifiche delle donne. Nel Lazio, come nel resto del Paese, si è abbandonata l’idea che vada garantita, sviluppata e promossa la partecipazione alla gestione, al controllo e alla programmazione dei servizi, in particolare a quelli che riguardano il territorio e la prevenzione. I consultori devono tornare ad essere luoghi di cultura, conoscenza e condivisione delle questioni di genere e, attraverso la promozione della partecipazione, si possono promuovere azioni e comitati, ad esempio contro la violenza maschile sulle donne. E queste vanno garantite paritariamente a tutte».
Insieme alla sanità una delle macro-questioni che rendono la vita spesso impossibile a chi vive nel Lazio riguarda i trasporti, soprattutto per le/i tante/i pendolari che si muovono quotidianamente verso la capitale. Rosa Rinaldi non risparmia critiche severe: «Da numerose amministrazioni ad oggi vige la totale assenza di rispetto del diritto alla mobilità. A Roma si concentrano inevitabilmente funzioni centrali che costringono un numero infinito di persone a muoversi da casa al lavoro e poi a tornare, spesso negli stessi orari concentrati. Occorrerebbe pensare ad un piano regolatore degli orari di lavoro e dei trasporti, investendo sui treni per pendolari che non siano, come oggi, carri merce. Anche in questo settore c’è poi una privatizzazione strisciante. Credo che il trasporto pubblico sia quasi una metafora degli interessi dei privati. Si va avanti a spot invece di pianificare partendo dal riconoscimento di diritti e del soddisfacimento di bisogni in nome di un interesse che è generale».
Nel lungo cahier de doléance dei temi da affrontare per chi governerà la Regione, quello ambientale sta da anni mobilitando giustamente molti abitanti, soprattutto nel mondo giovanile. Rinaldi parte dalla propria esperienza di vicepresidente della Provincia di Roma, quando fra le tante deleghe aveva anche quelle relative alle tematiche ambientali, per ragionare sul presente: «Ci ritrovammo con l’emergenza, mai risolta, della Valle del Sacco, che interessa l’area sud della provincia romana, Latina e Frosinone. Un impianto industriale che scaricava liquami nel fiume Sacco, liquami che hanno avvelenato prima le acque e poi le falde: Le morti delle mucche, trovate sul greto del fiume Sacco, per avvelenamento da betaesaclorocicloesano hanno portato allo stato di emergenza nei comuni interessati. La Regione doveva far fronte con un monitoraggio attento che poteva riguardare le acque, l’energia, l’inquinamento. Le Province avevano fornito le centraline per verificare il grado di inquinamento dell’aria ma ora queste centraline non sono più utilizzate. La Regione ha mostrato incapacità ad affrontare il problema in numerose aree territoriali. Sono tante le fonti di inquinamento che danneggiano la salute nella regione, basti pensare alla centrale termoelettrica a carbone di Torre Valdaliga, nei pressi di Civitavecchia. Sembra ormai saltata l’ipotesi di una sua riconversione a gas ma intanto fino al 2025 continuerà certamente a rendere insalubre l’aria. La zona è caratterizzata anche da cementifici. Noi ci candidiamo a governare la Regione perché vogliamo rimettere al centro il diritto di chi ci vive ad un ambiente pulito».
C’è poi tutta una serie di tematiche e di interventi in cui le Regioni intervengono, spesso in maniera indiretta, come lavoro, formazione ecc. con ambizioni che Rinaldi definisce “strane e particolari”. «Dovrebbero costruire programmazione sui diversi territori di competenza ma, invece di lavorarci hanno maggior interesse a gestire direttamente. Quando ero vicepresidente della Provincia le risorse del Fondo sociale europeo erano finalizzate alla gestione della contrattazione per realizzare politiche attive per il lavoro, definire un’idea generale su tali problematiche e attraverso queste linee incentivare strutture, individuare posti di lavoro, capire quali erano le qualifiche necessarie, offrendo a Comuni e Province la possibilità di uno sviluppo territoriale che ne valorizzi le vocazioni. Oggi le Regioni sembrano avere come unica vocazione quella di gestire il consenso senza dover rispondere ai bisogni reali.
Noi siamo per il ritorno all’elezione diretta dei consigli provinciali rendendo protagonisti le cittadine e i cittadini delle politiche di progresso e sviluppo per i loro territori, verificando e programmando insieme ai cittadini e alle cittadine gli interventi necessari rispetto a scuola, formazione, servizi, trasporti. Le Province avevano competenze importanti, ad esempio, rispetto alla gestione dell’acqua. Si operava tenendo conto del bacino idrico di ogni zona. Si poteva intervenire anche avendo maggiori strumenti negli ambiti territoriali. Ora è divenuta solo gestione del potere. I consiglieri provinciali e il loro presidente sono dal 2014 eletti in maniera indiretta, dai sindaci e dai consiglieri comunali che definiscono programma e interventi per tutto il territorio della Provincia. È sufficiente che si accordino fra loro un gruppo di consiglieri, secondo una logica “condominiale” para millesimale e che neanche risponde ad un elettorato, per definire progetti e assetti. E pensare che, quando sono nate, le Province erano definite da un corso d’acqua che le attraversava e la loro estensione era determinata dalla distanza che si poteva coprire a cavallo, dall’alba al tramonto, in un giorno, andata e ritorno. L’omogeneità che ne derivava permetteva di gestire al meglio le risorse. Direi che oggi occorrerebbero comitati che ne ridefiniscano la natura e non decisori che si occupano solo della natura degli interessi».
Rosa Rinaldi vorrebbe che le Province tornassero ad essere quello che erano in passato: «Va restituito il voto ai cittadini e alle cittadine. Con la riforma attuata si è realizzato uno scippo di democrazia che va restituita. Secondo me le Province hanno un ruolo importante e chi le governa deve rispondere direttamente a chi li elegge. Si tratta di un altro atto di trasparenza necessaria».
Durante la sua vita politica, lavorativa e personale, Rosa Rinaldi, per curiosa coincidenza, si è sovente divisa fra Roma e Milano, i capoluoghi le cui Regioni vanno al voto contemporaneamente ma ha vissuto in maniera completa le due città in tempi differenti. Una comparazione non è semplice: «Quando vivevo al Nord, tanti anni fa, si realizzavano “politiche di piano”, l’intervento nella sanità era all’avanguardia ed erano attivi numerosi soggetti politici con una forte presenza di studenti e lavoratori. Ora in Lombardia c’è un puro mercimonio che è nato con l’avvento del craxismo, quando si sono trasformati i servizi pubblici in aziende. Quelle che un tempo si chiamavano USL (Unità sanitarie locali) hanno anche nominalmente cambiato acronimo (la A di ASL significa appunto azienda). Ma nel nome c’è la sostanza. Noi dobbiamo operare per tornare alla migliore cultura di quegli anni, quando prevaleva il diritto alla salute, i servizi erano per la persona e non per garantire il profitto a chi definisce le prestazioni da mettere sul mercato. Oggi in Lombardia, come nel Lazio, come in tutto il Paese va rifondata un’idea di diritto e non di profitto».
La candidata presidente di Unione Popolare si è messa al servizio di un progetto i cui contorni, per quanto ancora in fase di definizione, hanno precise caratteristiche: «La campagna elettorale è anche un’occasione per condurre campagne politiche, per essere maggiormente conosciuti, per esprimere con maggior ampiezza un’idea diversa di civiltà. Il mio partito tenta da tempo di costruire un’ipotesi di alternativa partendo dalla propria non autosufficienza. L’esperienza di Luigi de Magistris come sindaco di Napoli, protagonista di tante battaglie comuni come quella sull’acqua, è fondamentale. La sua idea di ABC (Acqua Bene Comune) è anche la nostra e siamo compagni di viaggio. L’Unione Popolare che si va costruendo, con tutte le sue difficoltà, è il frutto della consapevolezza di partire da culture e approcci non sempre identici ma che ci possono far crescere. Personalmente mi coinvolge anche perché ne sono incuriosita. So bene che dobbiamo imparare tutte e tutti ad essere più pazienti anche nel riconoscere le ragioni di chi vuole partecipare al nostro progetto. Dobbiamo essere meno sospettosi e incamminarci. So che c’erano opinioni diverse sul candidarci o meno ma abbiamo verificato che non c’erano altri percorsi alternativi al centro sinistra possibili. Insomma, ci si confronta, ci si cimenta, sapendo che questa non è una gara fra chi ha più consenso ma un percorso in cui si definiscono le cose che vogliamo fare. Siamo impegnati a costruire uno spazio capace di guardare al futuro e che non si esaurisca, come è stato troppe volte in passato. Forse ci conosciamo ancora abbastanza poco e abbiamo bisogno di ulteriore partecipazione, ma a me sembra l’unica strada percorribile, certamente la migliore in cui impegnarsi».
Stefano Galieni
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È POSSIBILE OGGI RIVENDICARE UN GOVERNO REGIONALE DI SINISTRA ALTERNATIVA .
Io credo di si, e possiamo rivendicarlo anche creando un’opposione di alternativa.
Finalmente si stanno saldando le migliori esperienze politiche alternatie. Sta crescendo una credibilità maturata in mezzo alla popolazione, nelle lotte per i diritti fondamentali, la salute, l’ambiente, i beni comuni come l’acqua pubblica, un ambiente sano e cibo sano garantito in ogni angolo della terra con consumi responsabili. Bisogni vitali oggi negati in tutto il mondo perché nelle mani di pochi ricchi, del capitalismo, che ci sta portando ad un consumismo che distrugge la natura, il diritto alle scelte condivise e responsabili nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nei luoghi di formazione dei saperi, divide i popoli, fomenta guerre e regimi dittatoriali, distrugge le culture ed il diritto all’auto determinazione.
E’ ora di rivendicare questi principi e queste pratiche con tutta la nostra forza, praticando il diritto dei poteri e delle responsabilità nelle mani del popolo, la partecipazione diretta alla promozione, gestione e controllo dei beni collettivi pubblici e di pubblica utilità, nei luoghi di lavoro e nella vita quotidiana.
Un impegno di lunga durata che deve vederci protagonisti tutti i giorni, al di là degli appuntamenti elettorali.