L’occasione è stata l’incontro “Donna, immagine, città” che ha visto alternarsi soprattutto donne, in gran parte con back ground migratorio e che sono riuscite o stanno riuscendo ad affermarsi in un mondo ancora italocentrico, bianco e maschile, grazie alle proprie indubbie capacità e competenze. “Sediamo ai tavoli non in quanto donne ma perché meritevoli”, ha spiegato più d’una illustrando nei panel che le hanno viste protagoniste, non solo una storia personale ma la propria relazione col mondo esterno ed in particolare con quello italiano. E va apprezzata la capacità con cui, soprattutto l’organizzatrice, l’architetto Sonia Rita Marino, ha saputo mettere insieme e trovare il filo comune che ha dato all’intero incontro un carattere di organicità puntuale. Chi si è alternato alla presidenza ha rappresentato la parte di un mosaico, peraltro da ampliare, molto prezioso per demolire stereotipi, pregiudizi e retaggi, culturali e che rappresenta semplicemente, ma in maniera profonda, quella che è la realtà di oggi, composta di donne che, malgrado i tanti ostacoli che una società pensata ad immagine esclusivamente maschile e occidentale, cerca di continuare ad imporre, si fa strada, primeggia, propone anche una propria alternatività al modello dominante. «Persino le mascherine anti covid o gli occhiali per proteggersi in alcuni luoghi di lavoro, sono pensati con una forma adatta alle caratteristiche somatiche occidentali e caucasiche – è stato fatto notare – ignorando quella parte di mondo, sempre più ampia, anche nei Paesi in cui viviamo, il cui volto ha diversa conformazione».
Fra le tante interessanti persone incontrate, abbiamo scelto di dar voce ad un’amica l’avvocato Lifang Dong, (Anna), la prima donna di origine cinese a rivestire la toga in Italia. Arrivata in Italia quando aveva 6 anni, Lifang Dong continua a considerarsi cittadina del mondo: dopo aver conseguito numerosi titoli accademici, ha fondato, nel 2010, lo studio legale internazionale Dong & Partners, con sede a Roma. In pochi anni la sua attività si è sviluppata a raggiera, attraverso pubblicazioni, docenze in numerose università italiane e straniere, ruoli ad alto livello di consulenza e di sostegno alle attività commerciali in ambito globale. Uno dei punti cardine del suo agire è riassunto in una semplice frase: “spesso politica e religione dividono, mentre cultura business uniscono. Io ho scelto di lavorare per favorire ciò che unisce”, assisto società asiatiche che investono in Europa e in Africa e società occidentali che investono in Asia in numerosi settori. Dal 2019 è presidente dell’Associazione Silk Council che promuove la cooperazione multilaterale e aperta fra istituzioni pubbliche, ambasciate, enti scientifici, culturali, sociali ed economici, in numerosi Paesi lungo – da cui il nome – la “Via della Seta”, promuovendo sinergie internazionali a livello multidisciplinare secondo un’ottica di cooperazione win-win. «Mi sono sentita arricchita da questo convegno – racconta – il concetto stesso di “donna” abbraccia più mondi e culture. Al di là del background migratorio, le persone che ho incontrato hanno fatto valere il proprio merito, anche nella diversità. Da alcune, soprattutto le più giovani, ho sentito ancora gli accenti, duri a morire, di chi si sente vittima di discriminazioni continue, altre emanavano l’energia di chi aveva vinto e abbattuto i pregiudizi. Spesso si arriva, me ne rendo conto, sentendo quasi di avere addosso un marchio, dovuto al colore della pelle, al fatto che sei donna. C’è una sorta di disprezzo che diminuisce la propria autostima. Ma bisogna imparare a conoscere se stessi e a coltivare i propri sogni. Io sono stata la prima in famiglia ad andare all’università e questo è stato vissuto da tutti come fonte di riscatto comune, mi hanno sostenuta. Ho lavorato e studiato fin da giovanissima. Quando sono diventata avvocato ho trasformato la mia identità multiculturale nella mia identità professionale che mi contraddistingue rispetto ad altri colleghi, facendo da “ponte” tra l’Oriente e l’Occidente. Dopo anni di sacrifici, ora la gente pensa che tutta la mia famiglia sia composta da avvocati e da medici. Questo è un motivo di orgoglio per me e la mia famiglia che si è riscattata negli anni e, tornando al convegno, la cosa che mi ha fatto enormemente piacere è stata quella di incontrare donne che difficilmente prenderanno un premio Nobel ma che meritano di essere ancor più valorizzate per gli elementi positivi che apportano all’intera società».
Ed è interessante come, pur parlando di affermazioni personali, Anna Lifang Dong (le piace che si utilizzi anche il suo nome italiano), nella sua storia ci siano elementi di valore sociale da trasmettere: «Chi parte dal basso ha secondo me un altruismo naturale – riprende Anna – chi è ricco di nascita tende a fare beneficenza soltanto per dedurre qualcosa dalle tasse. A me hanno insegnato a non rinnegare le mie radici. Partire dal basso significa possedere una ricchezza interiore e un senso di responsabilità nei confronti della comunità intesa in senso lato. Parto da alcuni semplici pilastri: la famiglia mi ha trasmesso i valori, la formazione mi ha permesso di avere i mezzi per operare nel mercato del lavoro con maggiore consapevolezza e visione globale, il risultato è che nella mia missione non c’è soltanto l’obiettivo di una ricchezza personale ma quello di restituire alla società quanto mi ha dato. Il mondo è composto da persone che saranno il nostro futuro, guideranno il paese se avranno consapevolezza, se lo sapranno rendere migliore. Chi è immigrato è un ponte prezioso col paese di origine, ha un ruolo sociale e forte senso civico. Di fronte a governi che non si parlano, fare del bene al paese di origine e a quello in cui si vive permette di rompere le barriere. Siamo in un’era in cui molti valori si sono persi, pochi oligarchi usano il potere per arricchirsi. È accaduto col covid e ora con la guerra in Ucraina. La sopravvivenza è divenuta più difficile, soprattutto nei paesi che sono considerati, con disprezzo, sottosviluppati, ma loro sono il futuro. Ora l’Occidente, dicendo di difendere la democrazia attacca anche la Cina ma bisogna essere chiari. L’Occidente semplicemente non vuole altri a banchettare alla propria tavola e questo ci trascina tutti nell’incertezza». Lifang Dong non ha timore di entrare nelle tematiche della politica internazionale e sciorina gli avvenimenti che ci coinvolgono con nettezza: «Trovo terribile che l’Europa si sia sgretolata e sia divenuta un vassallo degli USA. Penso alla Germania in cui si è anche rischiato il golpe, alla Francia dove Macron non riesce ad imporsi, alla Gran Bretagna dove l’ex primo ministro Liz Truss, si è dovuta dimettere dopo soli 44 giorni, all’Italia in cui, nonostante il carisma internazionale di cui gode, Mario Draghi ha dovuto lasciare il governo. Paesi con governi instabili, forse con troppa, “finta” democrazia e troppi partiti, anche se, come dici tu, molti hanno la stessa agenda di governo. Forse sono di parte ma il fatto che ora in UK ci sia un premier di origini indiane che, pur venendo da famiglia povera, ha studiato, si è anche avvantaggiato con un matrimonio di prestigio, mi porta a pensare che almeno quello sia un segnale positivo. Almeno rompe il pregiudizio secondo cui chi viene dall’Africa o dall’Asia è, per propria natura, inferiore. La vita politica e pubblica europea, soprattutto in Italia, è poi bloccata anche dalla distorsione del mondo dell’informazione. Chi come te scrive sa bene che nel circuito mainstream c’è un trend, chi non lo segue è fuori. Un trend fatto di propaganda in cui le pecore nere vengono insultate. I vostri mezzi di informazione sono gestiti da gruppi economico – finanziari che fanno solo propaganda, per cui il giornale che si vende o il programma televisivo sono soltanto lo strumento per imporre un proprio pensiero. L’importante per loro è vendere le merci sponsorizzate».
Lo sguardo di Lifang Dong ha gli strumenti per parlare del sistema mondo in maniera realmente globale. Non le sfugge come i salari italiani siano i peggiori nell’UE e come covid e guerra stiano facendo crescere l’inflazione anche dei generi di prima necessità facendo peggiorare le condizioni di vita di chi già è povero: «Rispetto al covid, Cina e Italia hanno avuto anche atteggiamenti simili, in contrasto con quanto è avvenuto in Usa e UK. In Cina, lo Stato si è fatto carico della cura di ogni persona, (700 mila yuan a paziente), puntando a raggiungere l’obiettivo di “zero covid”. Altrimenti gli ospedali non avrebbero retto – racconta con orgoglio – in Italia si è vista la differenza fra nord e sud e senza misure rigide, il Meridione sarebbe crollato. In maniera diversa, da noi come da voi, si è data centralità alla persona. Dopo aver visto i camion militari pieni di bare, siete corsi ai ripari col vostro SSN. In Cina hanno operato congiuntamente tanto la restrizione alla libertà personale quanto la tradizione del confucianesimo che ha portato il popolo cinese a rispondere armonicamente in maniera disciplinata. Dove la sanità è privata come USA, chi non si è potuto curare è stato lasciato morire. In Gran Bretagna solo dopo il contagio dell’allora premier Johnson, si sono prese contromisure, in USA ci sono state le fosse comuni».
E un welfare vero, che funzioni, è fondamentale secondo la visione di società di Lifang Dong. Le hanno proposto da tempo di trasferirsi in Svizzera, a suo avviso il Paese ideale per chi ha figli, in cui alle madri viene garantito un sussidio per chi deve badare alla prole e in cui è possibile conciliare la vita con il lavoro. «In Italia siamo indietro. Il guadagno di un avvocato è minore del 50% se sei donna. C’è una proposta di legge che dovrà permettere di avere asili nido nei tribunali ed è già possibile allattare nei posti di lavoro ma non basta. Nel 1985 risultava iscritto alla Cassa Forense, quella a cui versare i contributi, il 9.2% di donne, oggi siamo il 47.7% ma in questi 3 anni di crisi molti si sono cancellati cercando l’impiego nel settore pubblico e quello privato. Aggiungi che nella nostra professione, per avere diritto ad una pensione dignitosa, che dipende dal reddito dichiarato ogni anno, si deve lavorare anche in tarda età. Questo scoraggia molte e molti. Eppure è un lavoro bellissimo».
Con la serenità e il sorriso accogliente che la contraddistingue, Anna Lifang Dong, esprime il suo punto di vista anche rispetto al conflitto in Ucraina. «Io sono contraria alla guerra in se. Provoca, per qualsiasi ragione venga scatenata, morte, distruzione, sofferenza e famiglie annientate. Qualsiasi guerra lascia dietro di se una traccia di odio difficile da dimenticare. Io non sono un’analista politica – si schernisce – ma credo che la scelta di Usa e Unione Europea di dare armi sofisticate all’Ucraina e a chi la governa, sia come aggiungere del fuoco ad un grande falò. Si corre seriamente il rischio di un conflitto nucleare e non si fa nulla per evitarlo. Se io avessi il potere di farlo proporrei alle parti di sedersi ad un tavolo per negoziare una soluzione accettabile per entrambi i contendenti e per i popoli che pagano questa guerra che, non dimentichiamolo mai, sono popoli fratelli. Ma a mio avviso la questione è principalmente geopolitica. Suggerisco una chiave di lettura. Gli Usa eccellono in due produzioni: l’industria farmaceutica e quella bellica. Chissà perché contemporaneamente aumentano guerre e virus». E ragionando su quanto accade fra Usa e Cina torna a proporre una propria lettura: «Ci sono scontri ideologici ma soprattutto sono in ballo interessi economici. Io mi auguro che non succeda nulla perché la Cina è e vuole continuare ad essere un Paese pacifico. La Cina non vuole fare la guerra agli altri né colonizzare nessuno. Ma c’è il rischio che gli Usa portino la guerra in tutto il pianeta. Il “Grande fratello” vuole attorno solo sudditi. Se nascono antagonisti, potenziali rivali, partono le provocazioni come quella che si sta facendo a Taiwan, il leader nella produzione mondiale di chip. Una dimostrazione plastica di come la guerra per il potere e i soldi procedano di pari passo. Ci vorrebbe un’Europa più forte, unita ed indipendente che però, come dicevo prima, si è rassegnata al ruolo di vassallo. Peraltro correndo rischi. Se il conflitto Russo Ucraino si espande a rischiare di più è proprio l’Italia. È il paese col maggior numero di basi Nato e potrebbe divenire l’obiettivo principale. Basterebbe un “click”. L’Italia, nei secoli passati è stato il Paese più invaso ma è anche quello delle contaminazioni, culturali, sociali, politiche. Occupa uno spazio strategicamente straordinario, collega il Nord al Sud e contemporaneamente l’Est all’Ovest, un crocevia unico. Potreste giocare un ruolo determinante se vi liberaste dal giogo che vi viene imposto. Faccio un esempio forse poco noto. Se un cittadino Usa vuole andare a ricoprire un ruolo importante in una azienda cinese, gli è negato perché potrebbe essere una spia. E lo stesso accade in senso inverso. Un italiano può lavorare in entrambi i Paesi senza venire guardato con diffidenza».
Anna Lifang Dong, parlerebbe per ore e contagiando col proprio entusiasmo, dei mille progetti in cui è impegnata. Insegna geopolitica internazionale dal punto di vista della Cina presso l’Università di Calabria al Master in Intelligence diretto dal Prof. Mario Caligiuri e ha insegnato presso la Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia del Ministero dell’Interno e continua a operare per creare ponti culturali e commerciali fra Oriente e Occidente. Molti sono gli eventi che la vedono come relatrice. Il suo punto di vista è di quelli capaci di coniugare passato, presente e futuro, da guardare anche con la necessaria capacità critica ma da cui apprendere perché necessario in un presente già multipolare come quello che viviamo.
Stefano Galieni