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Incertezza germanica

di Franco
Ferrari

di Franco Ferrari –

Il Partito socialdemocratico tedesco (SPD) ha completato una lunga procedura elettorale che lo ha portato a scegliere una nuova leadership. Esclusi al primo turno i candidati più radicali sia a destra che a sinistra, le due coppie uomo-donna rimaste in campo rappresentavano, più che nette alternative, due varianti, l’una un po’ più a sinistra l’altra un po’ più a destra, di una linea politica comune che però fatica a trovare soluzioni chiare alla profonda crisi di identità nella quale è immerso il più antico partito tedesco.

Alla prova del ballottaggio sono risultati vincitori Norbert Walter-Borjians e Saskia Esken che hanno prevalso su Olaf Scholz (attuale Ministro delle finanze del governo di coalizione) e Klara Geywitz, capovolgendo il risultato del primo turno che li vedeva secondi anche se distanziati di meno di 2 punti percentuali.

L’ampio numero di candidati (6 coppie) e la frammentazione del voto nella prima votazione (i primi hanno ottenuto rispettivamente il 22,68% e il 21,04% dei voti) indicano la difficoltà per i militanti del partito a trovare una leadership che, per carisma e per chiarezza di idee, potesse nettamente spiccare sulle altre.

La coppia Esken/Walter-Borjians ha prevalso alla fine con 114.995 voti, pari al 53,06% contro contro i 98.246 e il 45,33% di Scholtz e Geywitz. Successo tanto più rimarchevole in quanto avvenuto dovendo scontrarsi con l’aperta ostilità dell’establishment del partito. Dalla loro parte hanno potuto contare sul sostegno degli Jusos, l’organizzazione giovanile del partito che, tradizionalmente, si colloca alla sua sinistra.

La coppia vincitrice si è caratterizzata per una critica più netta alla partecipazione alla Grosse Koalition con la CDU-CSU, l’apertura alla prospettiva di una nuova maggioranza di sinistra e la ricerca di un profilo più radicale del partito per quanto riguarda le politiche socio-economiche. L’esito della consultazione degli iscritti dell’SPD, che sono circa 425.000, metà dei quali hanno partecipato al voto, sarà ratificato nella convenzione che si terrà tra il 6 e l’8 dicembre.

La scelta della leadership non sarà messa in discussione, ma il confronto interno dovrà definire con più precisione quale linea politica l’SPD intende perseguire nei prossimi mesi. La trattativa in corso all’interno del gruppo dirigente vede già la parte più moderata del partito impegnata a sfumare la volontà espressa dai due vincitori di mettere in discussione la coalizione di governo. Nelle prime dichiarazioni rivolte alla stampa dopo il loro successo hanno ipotizzato di avanzare la richiesta ai partner di governo di una revisione del contratto sulla base del quale si è formato l’ultimo governo della Merkel.

Le richieste riguardano soprattutto le politiche sociali (aumento delle pensioni più basse e del salario minimo, maggiori investimenti pubblici soprattutto finalizzati a far fronte al cambiamento climatico) ed hanno sollevato la reazione negativa dei maggiori esponenti democristiani. In presenza di un contrasto così esplicito, le alternative sarebbero la prosecuzione di un governo di minoranza della CDU-CSU o le elezioni anticipate, possibili già da marzo. La destra ha già fatto ventilare questa ipotesi, sapendo che il ricorso immediato alle urne spaventa gli stessi socialdemocratici. Non si può escludere che l’abilità proverbiale della Merkel a disinnescare i problemi via via che le si presentano (in genere senza mai risolverli veramente, secondo i suoi critici) e le pressioni interne della componente moderata dell’SPD possano evitare, nel breve periodo, la fine dell’esperienza della GroKo.

Ma al di là delle evoluzioni immediate e dei diversi tatticismi, resta il dato di fondo ovvero che l’assetto politico tedesco sta entrando in una fase di incertezza. L’attuale governo sarà l’ultimo guidato da Angela Merkel e finora non si vede all’orizzonte una figura dotata della stessa capacità di manovra politica.

Le ultime settimane hanno visto tutti i partiti (ad eccezione della Linke) impegnati nei loro Congressi. La portata effettiva dello spostamento a sinistra dell’SPD potrà essere valutato meglio dopo l’imminente Convenzione. Per quanto riguarda la CDU si può dire che si è trattato di un passaggio ancora interlocutorio. Sembrava si potesse riaprire uno scontro tra la leader designata, Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK), che si muove in continuità con la linea centrista della Cancelliera, e l’ala più conservatrice guidata da Friedrich Merz, sconfitto di misura nella competizione per la guida del partito che si è tenuta lo scorso anno.

In questi mesi sono state rivolte molte critiche, all’interno del partito, ad AKK, e non è ancora certo che sarà effettivamente lei a guidare il partito nelle prossime elezioni. La componente di destra, sente la pressione della destra populista dell’AfD sul proprio elettorato, e non insensibile alle sirene che vorrebbero una CDU (come in parte già avviene per la sorella bavarese, la CSU) spostata su un profilo più nettamente reazionario. Il Congresso si è chiuso con una dimostrazione pubblica di unità, ma la permanente crisi di consenso del partito è un dato che semina inquietudine nell’apparato.

Da parte sua l’AfD ha chiuso un Congresso nel quale la componente più oltranzista, dai toni apertamente neonazisti, che ha tra i suoi leader il principale esponente del partito in Turingia Björn Höcke, non è riuscita ad affermarsi, pur mantenendo un seguito molto consistente. Anche l’AfD è guidato da una coppia (ma in questo caso sono due maschi) e uno dei due co-leader Tino Chrupalla si è espresso a favore di una politica più moderata che possa conquistare il ceto medio. Anche l’altro co-leader Jörg Meuthen ha mantenuto le distanze dall’ala estremista.

Per ora la CDU ha sollevato un muro nei confronti dell’AfD, anche a livello locale. Sono pochissimi comuni e per lo più molti piccoli quelli nei quali CDU e AfD collaborano (uno di questi porta il nome evocativo di Frankenstein, in Renania settentrionale-Vestfalia). In Turingia, dove si è votato recentemente e la Linke è il primo partito, un gruppo di funzionari minori della CDU ha pubblicato una dichiarazione nella quale si apre alla possibilità di avviare un confronto anche con l’AfD.

La chiusura a destra della CDU è stata molto netta, ma non si potrà escludere per sempre che un partito democristiano che si sposta a destra (come verrebbe Merz) e un partito di estrema destra che si ripulisce un po’ dalle sue frange estremiste non possano arrivare a qualche forma di intesa. Tanto più che la collaborazione con la destra populista avviene già a livello europeo, visto che la Von der Layen è sostenuta dalla destra nazionalista polacca e ungherese.

Per evitare questo scenario, si possono prefigurare due alternative. La prima è il ritorno in campo della cosiddetta coalizione Giamaica (dai colori della bandiera di quell’isola) con una inedita alleanza tra CDU/CSU, liberali dell’FDP e Verdi. Questi ultimi nel loro recente Congresso hanno lasciato la porta aperta a qualsiasi tipo di coalizione, secondo la linea pragmatica prevalsa da quando il partito ha visto il successo dei cosiddetti “realos”. Contemporaneamente hanno però approvato alcune richieste in materia economica e sociale (ad esempio l’aumento del salario minimo) che risultano difficilmente digeribili, non tanto dalla CDU a guida Merkel, quando dall’FDP, che è un bastione dell’ultraliberismo.

Gli attuali rapporti di forza fra i partiti, fotografati dai vari istituti di sondaggio, vedono la CDU/CSU e l’SPD ai loro minimi storici con, rispettivamente il 27 e il 13-14%. I Verdi sono in forte ascesa con il 21-22%, l’AfD stabilizzata ma su livelli alti attorno al 14-15%, e la Linke oscillante attorno al 9%. E’ evidente che oggi lo stesso nome di Grande Coalizione, risulta più un retaggio storico di quando democristiani e socialdemocratici dominavano lo scenario politico, che una fotografia della realtà attuale.

Una possibile maggioranza di sinistra tra Verdi, SPD e Linke, conterebbe oggi sul 43-45% dell’elettorato. Occorrerebbe quindi uno spostamento di consenso significativo, ma non impossibile, per dare a questa coalizione (che oggi esiste in alcuni realtà dell’est ma da qualche tempo anche a Brema) numeri sufficienti per governare. Sicuramente una scelta dell’SPD per una maggioranza di sinistra (che non si può ancora dare per scontata), sarebbe un fatto positivo, anche per l’influenza che potrebbe avere sul quadro europeo, considerato il peso che ha la Germania al suo interno. Purtroppo l’SPD non fece quella scelta quando i numeri lo consentivano, preferendo infilarsi nel percorso suicida dell’alleanza con i conservatori, dopo avere, col governo Schroeder, demolito alcune delle conquiste sociali più rilevanti per i ceti popolari che l’avevano tradizionalmente sostenuta (le leggi Harz IV ecc.).

Intanto il quadro economico tedesco resta difficile, per le conseguenze della prevista caduta del commercio mondiale, del rallentamento cinese e della guerra dei dazi su un modello di sviluppo tutto guidato dalle esportazioni. Alcuni settori importanti del mondo industriale cominciano a scricchiolare. In questi giorni i metalmeccanici della Tyssenkrupp, organizzati dalla IGM, sono in mobilitazione per la minaccia di 2.000 licenziamenti sventolata dalla direzione della multinazionale dell’acciaio.

Incertezze politiche, sociali ed economiche sembrano convergere e non lasciano prevedere un periodo di tranquillità per quello che era considerato il più solido stato europeo.

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